Ridisegnare la catena della produzione e della distribuzione del cibo. Ridurre la struttura dell’intermediazione. Soprattutto, restituire alle comunità una matrice produttiva che è anche fondamento identitario. Sono molti gli obiettivi che è possibile raggiungere attraverso l’utilizzo di uno strumento qual è il food hub (fh), un’infrastruttura intermedia per il conferimento, l’organizzazione e la redistribuzione del cibo lungo un raggio di portata contenuta. Il fh si basa su una piattaforma digitale trasparente di commercializzazione (e-commerce) e di logistica che si appoggia su un nodo fisico.

Svolge una funzione di aggregazione della produzione proveniente dai piccoli produttori agricoli e di trasporto tra produttore e consumatore, consentendo così una relazione diretta tra i due. Attraverso l’aggregazione dell’offerta i fh consentono ai produttori di raggiungere anche le mense scolastiche e la ristorazione commerciale e collettiva, non raggiungibile attraverso i tradizionali canali di vendita collettiva. Si tratta dunque di un’alternativa, rispetto alle catene dominanti del cibo fondate su strutture della distribuzione disegnate intorno a soggetti dalla chiara vocazione oligopolista.

Questi ultimi impongono al mercato un sistema e una serie di meccanismi che hanno il duplice effetto di omologare la qualità dell’offerta e gli stili di consumo e di tenere costantemente sotto scacco i piccoli e piccolissimi produttori. Una catena del cibo così organizzata ha strutturato squilibri sociali e territoriali complessi, alimentati da un sistema che crea asimmetrie a cascata e su esse specula mettendo in contrapposizione le periferie territoriali e produttive.

Che sono state trascinate dentro una dinamica della concorrenza reciproca il cui solo effetto è fragilizzarne il profilo degli attori periferici del mercato e di perpetuare meccanismi della dipendenza da cui essi rimangono schiacciati.

Ri-territorializzare

Rispetto a un assetto così sfavorevole per gli attori di piccola e piccolissima taglia del sistema del cibo, la prima missione cui la formula del fh assolve è quella della “ri-territorializzazione” del sistema. Il ritorno ai territori è il pilastro di una nuova politica del cibo che riconnetta un tessuto sociale e produttivo slabbrato per effetto dell’applicazione delle logiche capitalistiche della grande distribuzione.

Le conseguenze dell’applicazione di lungo periodo di queste logiche hanno impatto non soltanto sull’economia politica del cibo ma anche sui sistemi territoriali, che vengono inquadrati come nulla più che punti periferici di una mappa del sistema. La sola alternativa è fra essere o non essere nella mappa. E non esserci significa andare incontro a conseguenze che, oltre alla selezione darwinianamente negativa sul mercato, possono giungere alle estreme conseguenze date dallo spopolamento dei territori e all’abbandono delle terre produttive.

Rispetto a questo stato delle cose, la riscoperta della dimensione locale e territoriale attraverso le politiche del cibo, oltre a dare sostanza al principio “farm to fork”, reinventa un ruolo delle comunità che si muovono intorno ai loro produttori. Il cibo riprende a essere elemento cruciale dell’identità locale, in contrapposizione ai localismi standardizzati fabbricati dalla mcdonaldizzazione degli stili di consumo. In questo senso la riscoperta dei territori dà impulso a un’economia alternativa, che trova nel legame sociale tra produttore e consumatore la sua principale ragione d’essere e dunque si basa non soltanto sull’applicazione delle logiche di mercato ma anche sulla consapevolezza che intorno al mercato debba animarsi un tessuto sociale capace di autodeterminazione e vitalità.

La tutela di qualità e sostenibilità delle produzioni è tra le finalità principali, ma affinché tale obiettivo venga ottenuto è necessario che intorno al processo produttivo si ricostituisca un contesto sociale e territoriale capace di valorizzare identità e specificità.

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