Da anni la Cooperativa Valle del Marro è nel mirino della ‘ndrangheta, ma mai ha subito un’escalation del genere. Gli episodi sono sempre più ravvicinati. Non si fa in tempo a stimare i danni che nuovi fuochi divampano. E ora il pericolo è anche il decreto sicurezza, che permette la vendita dei beni confiscati ai privati. Schlein: «È un nostro dovere non lasciare un centimetro alla ricattabilità»
Il telefono squilla. «E’ un giovane - ci dice Antonio scuotendo la testa - che da giorni mi chiede se quest’anno ci sarà lavoro per lui. Ma con il grosso incendio che abbiamo subito la raccolta delle olive calerà drasticamente e, quindi, anche la manodopera di cui avremo bisogno. Dire di no è una sofferenza».
Antonio Napoli è uno dei soci della Cooperativa Valle del Marro Libera Terra che coltiva da più di venti anni oltre cento ettari di terreni confiscati ai principali clan della ‘ndrangheta della Piana di Gioia Tauro, tra i comuni di Oppido Mamertina, Rosarno, Rizziconi, Gioia Tauro e Taurianova. Nell’ultimo mese il fuoco è arrivato più volte, quasi a cadenza regolare, come un pegno da pagare, una colpa da espiare. Da anni la Cooperativa Valle del Marro è nel mirino della ‘ndrangheta, ma mai ha subito un’escalation del genere. Gli episodi sono sempre più ravvicinati. Non si fa in tempo a stimare i danni che nuovi fuochi divampano.
Danni devastanti
Pochi giorni fa è toccato ad un uliveto confiscato di 11 ettari in località Baronello, frazione di Castellace, nel Comune di Oppido Mamertina, distruggendo circa 830 alberi su quasi 4 ettari dell’appezzamento. Le fiamme hanno interessato in particolare la parte pianeggiante, dove si concentrava la maggior parte del raccolto. Il danno è stato ingente: si stima la perdita di circa 20mila chili di olive con relativo calo produttivo delle piante, che recupereranno la piena produttività entro i prossimi tre anni.
Una manciata di giorni prima a finire divorati dal fuoco erano stati oltre 5 ettari di grano biologico, pronti per la mietitura, coltivati a Gioia Tauro. Sempre nella piana di Gioia Tauro erano stati vandalizzati gli impianti irrigui di due terreni coltivati a clementine e di un piccolo appezzamento di Kiwi.
In totale i danni accumulati fino ad oggi sono stimabili in circa 50mila euro. Una cifra enorme per la Cooperativa che fino ad ora è riuscita a farvi fronte grazie alle donazioni di qualche soggetto privato, ma non nasconde che la situazione è critica. E non si tratta solo del lato economico.
La cooperativa da 21 anni dà lavoro a soggetti svantaggiati, italiani e stranieri, nonché a lavoratori con più di 50 anni di età, rimasti ai margini del mercato del lavoro. Valle del Marro produce lavoro dignitoso, ma anche formazione etica e speranza in territori storicamente segnati da dinamiche criminali mafiose che comportano povertà economica ed educativa.
Ma la società civile rimane ai margini. «Dovrebbe essere la comunità la prima a indignarsi per quanto accade su suoi territori - afferma Napoli - ma, al contrario, sentiamo un grande senso di solitudine dettato anche dalle lacune dell’attuale legge sui beni confiscati, la 109 del 1996, che meriterebbe di essere rivisitata». «Contro l’azione di chi aggredisce risorse che sono simboli di riscatto civile ed economico – aggiunge - bisogna potenziare l’uso sociale dei beni confiscati, stanziando risorse adeguate, non solo per la rifunzionalizzazione degli immobili, ma anche affinché le attività possano continuare nel tempo e non vengano compromesse da atti intimidatori e vandalici. Se viene meno l’indotto economico a rimetterci per prime sono le ricadute sociali del riutilizzo dei beni confiscati».
Intanto ieri la leader del Partito Democratico Elly Schelin ha visitato i terreni carbonizzati di Castellace, Oppido Mamertina, dove ha incontrato una delegazione della cooperativa e di Libera, nonché i ragazzi dei campi della Legalità attualmente in corso. La segretaria del Pd ha detto che «ci vuole più impegno dello Stato per la tutela dei beni confiscati, servono più finanziamenti ai comuni, perché da soli fanno fatica, poiché non hanno le risorse. Bisogna aumentare la formazione di legalità all'interno delle scuole, perché la mafia si sconfigge dalla cultura, di cui ha una grande paura, paura del pensiero libero, paura del pensiero critico. È un nostro dovere non lasciare un centimetro alla ricattabilità. Quando tagli il sociale, quando tagli sanità pubblica, quando rendi il lavoro precario, crei terreno fertile per la mafia che può far fiorire i suoi interessi».
Pericolo decreto sicurezza
La legge ha quasi la stessa età della Cooperativa. Una legge importante, spartiacque, che attacca il patrimonio dei mafiosi e lo restituisce alla comunità. Ma gli ‘ndranghetisti preferiscono la galera alla confisca dei beni. Togliere loro ricchezza, darla ad altri e trasformarla in qualcosa di sociale e comunitario, è per loro un oltraggio troppo grande. Da qui il susseguirsi di intimidazioni che sta riguardando non solo la Calabria ma tutta l’Italia.
«Dietro - ci dice il referente di Libera Calabria Giuseppe Borrello - c’è una strategia volta a colpire quell’economia rigenerativa praticata da Cooperative come quella di Valle del Marro. Colpire il sistema dei beni confiscati significa colpire il sistema di principi e di valori su cui si regge la legge 109 del 1996: legalità, giustizia, lavoro dignitoso».
Per l’associazione di don Ciotti la legge va rivista o rischia di rimanere un contenitore vuoto. A partire dalla previsione di maggiori risorse per l’avvio delle attività, tenendo conto che spesso i beni vengono devastati poco prima dell’assegnazione, e di ristori per chi subisce intimidazioni e atti vandalici onde evitare che la loro sopravvivenza economica sia continuamente in pericolo.
Preoccupa l’articolo 36 del Decreto Sicurezza che liberalizza la vendita ai privati, con aste pubbliche, dei beni confiscati ai boss. Da un lato per Libera nei territori ad alta densità mafiosa sarà difficile trovare chi abbia il coraggio di acquistare magari, la villa del mammasantissima, dall’altro potrebbero farsi avanti prestanome.
Il decreto inoltre prevede che solo il 20 per cento dei proventi della vendita vada alle funzioni dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata. La parte più corposa è destinata ai ministeri dell'Interno e della Giustizia schiacciando il modello con il quale nasce la normativa sul riutilizzo dei beni confiscati: le ricchezze rubate alla comunità devono essere restituite alla comunità in un'ottica risarcitoria.
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