Quando per risanare i debiti di una regione vengono chiusi gli ospedali pubblici succede che i cittadini per curarsi devono percorrere oltre 100 chilometri o devono andare in un’altra regione oppure rivolgersi alle strutture private. É la situazione che vivono migliaia di persone in Calabria, regione la cui sanità negli ultimi giorni è sotto riflettori dell’intero paese.

Commissariati da sempre

La sanità calabrese è commissariata da ormai 11 anni, per risanare un debito che nel 2010 ammontava a 187,5 milioni di euro. La regione fu messa sotto tutela dall’allora governo Berlusconi, con il Piano di rientro del disavanzo della spesa sanitaria. I poteri per far uscire la Calabria dal disastro furono dati a un commissario per l’emergenza. Dopo le dimissioni a catena dei vari Cotticelli, Zuccatelli e Gaudio, nel giro di un paio di settimane, il governo sta valutando altri profili, con cautela per evitare altre figuracce.

A pagare la spesa più alta dei tagli e del piano di rientro sono stati però i cittadini calabresi, che hanno visto 18 dei loro ospedali pubblici chiudere i battenti. Tra questi ce n’è uno in particolare, il Vittorio Cosentino di Cariati, paese del basso jonico cosentino, 60 chilometri a nord di Crotone, chiuso nonostante le sue ottime condizioni strutturali e l’efficienza di cui godeva. La sua storia è l’emblema della disastrosa gestione della sanità pubblica calabrese presente e passata. Un ospedale chiuso che ha lasciato un bacino di 80mila persone ( in estate diventano 200mila) senza il più essenziale dei presidi per la tutela del diritto alla salute.

La struttura lo scorso 19 novembre è stata occupata da un gruppo di cittadini, che chiedono a gran voce al ministro della Salute, Roberto Speranza, la riapertura del polo. L’ospedale, la cui struttura ha un’area di 13mila metri quadrati, è in ottime condizioni, e non servirebbero straordinarie opere di bonifica per rimetterlo in funzione.

«È una scelta tutta politica», spiega Mimmo Formaro, uno dei cittadini del presidio permanente, che da anni si batte per la riapertura del polo ospedaliero, e che in questi ultimi giorni sta animando con il movimento Le Lampare l’occupazione di un’ala del Vittorio Cosentino.

Quello che chiedono i cittadini di Cariati è anche un piano straordinario per la sanità pubblica regionale, investimenti nella medicina territoriale, l’assunzione personale sanitario e un freno allo strapotere delle cliniche private: ambito in cui la stessa sindaca del paese jonico, Filomena Greco, ha i suoi principali interessi imprenditoriali. La sua famiglia infatti è proprietaria del gruppo Ospedali Riuniti iGreco, che raggruppa tre cliniche private, Madonna della Catena, Sacro Cuore Cosenza e La Madonnina.

Dopo 40 anni

L’ospedale di Cariati era stato aperto nel 1978. Negli anni Novanta poi era stata costruita un’altra ala, collegata al blocco originario con un tunnel, che però non è mai stata attivata.

Ad oggi entrambe le aree sono in ottime condizioni, ma al momento quello che rimane dei servizi ospedalieri sono solo alcuni ambulatori specialistici, un punto di primo intervento, 8 posti di dialisi, una radiologia - ma da due anni manca di personale medico - e un laboratorio analisi, che è stato declassato a marzo 2020 a Punto prelievi. «Da quando sono andato in pensione due anni fa sono rimasti solo tecnico e un infermiere», racconta Cataldo Formaro, primario in pensione del laboratorio di patologia clinica dell’Ospedale di Cariati.

Prima del Piano di rientro del 2009, varato quando il Presidente della giunta era Giuseppe Scopelliti, che ad oggi sta scontando una condanna a 4 anni e 7 mesi in regime di semilibertà per falso in bilancio, l’Ospedale di Cariati aveva una funzionalità molto alta, con un tasso di utilizzo dell’83 per cento, contro uno standard minimo nazionale del 72 per cento. E circa 14mila persone all’anno si rivolgevano al pronto soccorso. Quelle stesse persone che oggi, per avere accesso a un pronto soccorso devono percorrere decine di chilometri.

L’ospedale serviva un numero molto grande di comuni del litorale jonico e dell’entroterra, che oggi hanno come punto di riferimento Rossano da un lato e Crotone dall’altro, che tra loro distano 94 chilometri, percorribili sulla Statale 106, nota come “la strada della morte”.

L’occupazione

A tre giorni dall’occupazione dell’ospedale di Cariati, domenica 22 novembre la responsabile dell’Asp di Cosenza, Simonetta Cinzia Bettellini, si è recata sul posto per fare un sopralluogo. La speranza dei cittadini era che si potesse valutare l’idea di riaprire il polo, invece che usare gli ospedali da campo che proprio in questi giorni stanno sorgendo per far fronte all’emergenza.

«Ci siamo resi conto che la commissaria non aveva nessuna intenzione di riaprire l’ospedale, è venuta qui per implementare di 10 posti letto la Rsa per i negativizzati dal Covid», dice Mimmo.

«Nonostante una pandemia che accentua la gravità della situazione, qui si pensa solo prendere provvedimenti marginali, che hanno il solo scopo di ammorbidire le nostre proteste, ma noi abbiamo capito questo gioco», continua Mimmo. Un gioco di rimpallo delle responsabilità, che chiama in ballo ospedali da campo e altre misure tappabuchi, che non soddisfano la richiesta di presidi ospedalieri veri e efficienti avanzata dai calabresi.

«Però non è vero che la comunità politica è spenta, è viva e non sopporta più la mafia e la malapolitica», dice ancora Mimmo, che non ci sta al giudizio frettoloso di quelli che pensano che i calabresi non abbiano fatto niente per chiedere che i loro diritti vengano rispettati.

«Il problema è molto più grande dell’ospedale di Cariati», conclude Formaro. Un problema in cui malaffare, malapolitica, mafia, sanità privata si intrecciano indissolubilmente. E che hanno trasformato la salute in un bancomat da cui attingere indisturbati.

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