Milioni di mascherine vendute alla regione Lazio. Una truffa compiuta nel pieno della prima ondata della pandemia quando gli enti cercavano disperatamente dispositivi di protezione: mascherine, appunto, ma anche camici, tute isolanti e guanti. 

L’emergenza ha fatto saltare ogni tipo di controllo e così gli affidamenti sono stati fatti per via diretta senza alcuna gara d’appalto. Da questo cortocircuito hanno guadagnato imprenditori improvvisati del settore, che hanno trasformato la propria azienda in società di intermediazione per l’importazione dei dispositivi.

L’inchiesta giornalistica

Tra queste c’è Internazionale Biolife di Taranto. Uno scoop di Domani  aveva svelato come tramite il passaparola i dirigenti della regione guidata da Nicola Zingaretti avessero selezionato la piccola ditta pugliese per la fornitura di 6 milioni di mascherine e 2 milioni di tute: un appalto del valore di 27 milioni di euro dato così senza alcuna verifica su chi fossero i proprietari, che, come raccontato dal nostro giornale, avevano legami con la criminalità organizzata, almeno questo segnalavano alcuni documenti dell’antimafia consultati da Domani. 

Alcuni mesi dopo quello scoop la procura di Taranto e la guardia di finanza hanno eseguito degli arresti: 6 persone ai domiciliari e il sequestro di 4 milioni di euro, che corrisponde all’incirica all’acconto versato dalla regione Lazio per la maxi fornitura da 8 milioni di pezzi tra mascherine e tute. 

Il pezzo mancante dell’inchiesta, che è solo all’inizio, sono i legami con gli ambienti criminali di alcuni personaggi della Biolife: sospettati dall'antimafia di avere avuto rapporti con affiliati a camorra, cosa nostra e gruppi di narcotrafficanti. Un’azienda, la Internazionale Biolife, con 3 dipendenti, un fatturato di appena 330 mila euro e un utile nel 2017 di mille euro, che è riuscita a firmare con l’ente guidato da Nicola Zingaretti un contratto da 27 milioni di euro, incassandone (finora) quasi 5 milioni di euro.

Una truffa, stando al lavoro degli inquirenti, realizzata nel picco della prima ondata, l’emergenza aveva fatto saltare qualunque regola. Ecco cosa scrive il giudice per le indagini preliminari, Benedetto Ruberto, che ha firmato l’ordinanza di arresto: «In tale contesto normativo ha operato l’agenzia della Protezione Civile del Lazio che, avvalendosi di canali totalmente informali, ha sottoscritto il 27 e il 30 Marzo 2020 2 contratti con la società tarantina Internazionale Biolife per la fornitura di sei milioni di mascherine (FFP2 e chirurgiche) e di due milioni di camici e tute... la società ha ricevuto un acconto immediato dall'Agenzia, per entrambi, pari ad 4.960.000,00 (corrispondente al 20% dell'intero importo). I tempi di consegna della merce erano previsti in 5 giorni lavorativi. L'intero importo dell'acconto è confluito, in prima battuta, su un conto corrente aperto dalla Biolife per poi essere successivamente disseminato su altri conti in Italia e all'estero».

Passaparola da 27 milioni

Il giudice parla di canali totalmente informali, erano quelli che Domani aveva ricostruito risalendo all’inizio di questo gigantesco affare. A segnalare l’azienda International Biolife alla regione Lazio è stato Dario Roscioli, imprenditore del settore alberghiero, sotto processo per bancarotta.

Proprio Roscioli aveva raccontato che era vecchio amico di Renato Botti, manager della sanità laziale (incarico che non ricopre più da novembre scorso), entrambi non sono coinvolti nell’indagine. Botti e Roscioli, negli anni ottanta, giocavano insieme a calcio a 5, hanno vinto anche qualche scudetto insieme. Così Botti ha passato il numero a una funzionaria regionale. «Sì, ho chiamato Roscioli, come ho chiamato tutti gli altri imprenditori, una cinquantina di nomi, di cui mi è stato fornito il nominativo», confermava al Domani Lorella Lombardozzi, dirigente Area politica del farmaco della regione Lazio. Sapeva chi era Roscioli, visto la commessa milionaria? «Roscioli, a Roma, è quello del pane, c'è un forno che si chiama così, lo chiamavo senza sapere chi chiamavo come tutti quelli ai quali ho telefonato». Così sono stati scelti gli imprenditori dalla regione Lazio. Ma le mascherine sono arrivate?

Sì, ma tardi. Sono state consegnate solo nel mese di agosto, quando il virus circolava meno e il reperimento dei dispositivi era ormai più facile. I camici e le tute invece non sono mai arrivati, «anche se Biolife ha consegnato una parte del prodotto, corredata da falsa certificazione di conformità», precisano gli investigatori della finanza. 

Dietro le apparenze

Il rappresentante legale della società di Taranto risulta ufficialmente Giacomo De Bellis, anche lui indagato. Tuttavia «durante le indagini è emerso che l'effettivo potere decisionale degli altri indagati, Antonio Formaro, Raffaele Buvolo e Francesco Oliverio». 

Formaro e Oliverio sono le due figure su cui si sono concentrati i sospetti anche dell’antimafia, che in alcune informative ricostruiscono i loro rapporti con ambienti criminali di un certo peso. 

In parallelo si muovevano anche Luciano Giorgetti e Pietro Rosati, che curavano i rapporti con gli istituti di credito. Il primo, amministratore delegato, aveva risposto alle nostre domande così: «Formaro non fa più parte dell’azienda». Versione smentita dalle indagine della guardia di finanza.

Rosati, invece, è un avvocato, con un un trascorso di «inchieste per truffa e reati fallimentari». Il suo nome lo ritroviamo in una recentissima operazione della procura di Roma: l’avvocato non è indagato, ma chi gli investigatori lo considerano il punto di intersezione tra l’ambiente criminale dell’imprenditore Luciano Iannotta, il principale protagonista dell’indagine, e il mondo dei servizi segreti.

Rosati, contattato da Domani, aveva smentito categoricamente la sua vicinanza ai servizi. Nelle carte dell’antimafia, però, c’è scritto il contrario e con dovizia di particolari(luoghi, giorni, ore) i detective ricostruiscono un suo incontro con uomini degli apparati di sicurezza.

La figura di Rosati è centrale nell’inchiesta sulla truffa alla regione. L’avvocato svolge il ruolo di mediatore con il dirigente regionale. Biolife dopo aver incassato l'acconto con denaro pubblico versa a Rosati la considerevole somma di 250mila euro. «Più che una parcella», scrivono gli investigatori. Denaro che poi in parte, 106mila, lascia i conti correnti di Rosati per finire su quelli di Formaro e Oliverio, personaggi che stando alla versione dell’amministratore delegato Giorgetti non avrebbero avuto nulla a che fare con Biolife. Formaro e Oliverio, i due nomi che conducono agli ambienti criminali segnalati nei documenti dell’antimafia. 

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