Per Massimiliano Fedriga, presidente leghista del Friuli Venezia Giulia, e Riccardo Riccardi, vicegovernatore e assessore con delega alla Salute, la regione che amministrano è stata la migliore in Italia per quanto riguarda lo screening nel periodo pandemico, «tra le migliori regioni della penisola per quanto riguarda il testing», «prima in Italia in termini di affidabilità dei dati di testing», e con un dato sulla mortalità sotto la media nazionale. Ma i risultati di cui si compiacciono arrivano da uno studio pagato dalla stessa Regione.

Le dichiarazioni del governatore del Friuli e del suo vice, sono del 15 febbraio, rilasciate in occasione della presentazione del rapporto “Pandemia da COVID-19 e campagna vaccinale. Performance della regione Friuli Venezia Giulia”, un report redatto dalla Fondazione Gimbe di Bologna. All’evento ha preso parte anche il presidente dell’ente di ricerca, Nino Cartabellotta, tra gli autori dello studio.

Fedriga e Riccardi si dicono «particolarmente orgogliosi» perché – spiegano – il documento «dimostra come la nostra regione abbia retto molto bene il difficile periodo di emergenza e che lo abbia fatto sotto diversi e importanti aspetti». Dati, che secondo il governatore, restituiscono una fotografia di verità, perché  «indipendenti, neutri e riconosciuti».

L’affidamento

Sul carattere di indipendenza e neutralità emerge però qualche perplessità se si osserva la provenienza dello studio. Il rapporto è stato «elaborato dalla Fondazione Gimbe come da affidamento diretto da parte di ARCS – dall’Azienda regionale di coordinamento per la salute della regione autonoma Friuli Venezia Giulia», si legge nel documento, dove viene specificato che l’affidamento è stato disposto a seguito dell’unica dichiarazione di interesse pervenuta in risposta all’avviso della manifestazione di interesse del 12 ottobre 2022, volta a individuare la disponibilità di un soggetto, pubblico o privato, per la predisposizione di un report statistico.

Se è vero che «l’ente finanziatore non ha avuto nessun ruolo nella raccolta, analisi e interpretazione dei dati e nella stesura del report», come si precisa in una disclosure all’inizio dello studio, è difficile definirla un’indagine terza e indipendente se commissionata dall’Azienda regionale per la salute e finanziata con i soldi della regione. 

Con determina datata 16 novembre 2022 infatti si affida alla Fondazione Gimbe di Bologna, in quanto unico ente che ha presentato una dichiarazione di interesse nei termini previsti, «lo svolgimento dello studio epidemiologico concernente gli impatti sulla popolazione della regione Friuli Venezia Giulia della pandemia da SARS-COV-2 richiesto dalla Direzione centrale salute, Politiche sociali e disabilità della regione Fvg».

L’offerta economica, giudicata congrua da Arcs, è di 85mila euro iva esclusa, 103.700 euro dunque con il 22 per cento di Iva, cifra che – si legge nella determina – «troverà adeguata copertura» nel bilancio regionale, non comportando quindi «costi a carico del bilancio aziendale e del bilancio degli enti del servizio sanitario regionale».

La Fondazione Gimbe precisa che, una volta ottenuto l’affidamento, «la regione non ha potuto entrare nel merito della raccolta e analisi dei dati. Il report è stato stilato in maniera autonoma e consegnato così com’è». Nel lavoro di ricerca, spiega la fondazione, «l’ente finanziatore non deve avere nessun ruolo, a parte la determinazione dell’oggetto della richiesta».

Il rapporto

Le opposizioni accusano Fedriga e Riccardi di sottolineare «soltanto i dati che piacciono a loro». In una nota Andrea Ussai, consigliere regionale del Movimento cinque stelle commenta il rapporto commissionato da Arcs: «Lo studio conferma come il 2021 sia stato un anno drammatico a livello di mortalità in Friuli Venezia Giulia», regione che «è stata la peggiore per tasso di decessi Covid e la seconda in Italia per eccesso di mortalità totale, dietro soltanto alla Puglia».

Dalle risultanze del rapporto negli anni 2020 e 2021 in Friuli si sono registrati 463 decessi per 100mila abitanti, rispetto a una media nazionale di 303 su 100mila abitanti. Un dato, in base a quanto si evince dal rapporto, che da un lato è dovuto «all’elevato numero di tamponi eseguiti» e «dall’altro deve essere standardizzato per le caratteristiche anagrafiche della popolazione».

Ussai evidenzia poi la risultanza di Gimbe sugli ingressi in terapia intensiva, «superiori alla media nazionale». «Vale anche la pena ricordare», sottolinea il consigliere regionale, «che, come verificato anche da un sopralluogo ministeriale, c’è stato un errato conteggio dei posti letto di terapia intensiva, quindi i veri numeri dei pazienti gravi erano più alti di quelli dichiarati». In merito agli ingressi poi, scrivono gli esperti, «in assenza di ulteriori dati sui pazienti ricoverati in terapia intensiva è sostanzialmente impossibile identificare le cause dello scostamento, ma solo elencarne le possibili determinanti», come l’età della popolazione, il livello di copertura vaccinale, la gestione dei pazienti nell’ambito delle cure primarie.

Il rapporto rileva inoltre che l’alto numero di casi nella regione, che supera la media nazionale, può essere sì giustificato da un’intensa attività di testing ma, in alcuni periodi, può essere giustificato da «variabili di contesto dall’impatto non misurabile», come ad esempio assembramenti durante le manifestazioni no-vax «che hanno anche fomentato l’abbandono delle mascherine e flussi transfrontalieri da paesi confinanti con minori coperture vaccinali e/o differenti politiche di gestione della pandemia», scrivono gli esperti di Gimbe.

Mentre la regione dimostra una performance nettamente migliore rispetto al resto del paese sulle coperture vaccinali over 80, ciò non accade per gli over 60: la percentuale di persone tra i 60-69 anni che non ha ricevuto nemmeno una dose di vaccino è del 9,8 per cento rispetto alla media nazionale del 6,1 per cento. Così anche nella fascia 70-79, Gimbe ha registrato il 7,7 per cento contro il 4,7 per cento della media nazionale.

Ad ogni modo, la fondazione segnala la difficoltà di effettuare valutazioni sulla gestione della pandemia per l’assenza di dati raccolti in maniera strutturata e omogenea, per le numerose variabili – impossibili da analizzare sempre in mancanza di dati raccolti in maniera sistematica – che condizionano l’evoluzione della pandemia e l’impatto sui servizi sanitari e sugli esiti di salute.

E perché, soprattutto durante la prima ondata, si è assistito a «una situazione emergenziale mai sperimentata prima», ed è perciò inappropriato esprimere giudizi di merito. Non è stato quindi possibile, scrive la fondazione, fare analisi inferenziali, ma «il report si è limitato esclusivamente ad analisi descrittive», con un confronto tra i risultati del Friuli e quelli delle altre regioni.

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