A pandemia sotto controllo è venuto il momento di fare il punto, senza esasperazioni, sui vaccini e sul futuro della campagna vaccinale anti Covid.

Non merita tornare più di tanto sul tema dei No-vax e dei No-green pass perché tutto è già stato detto. Alla fine una buona parte di chi era dubbioso si è sottoposta obtorto collo alla vaccinazione, mentre gli irriducibili, che hanno scelto di rischiare il posto di lavoro pur di mantener fede alle proprie convinzioni, meritano l’onore delle armi piuttosto che ulteriori, probabilmente inefficaci, tentativi di convinzione.

Certo bisogna ammettere, a dieci mesi dalle prime somministrazioni, che quella delle vaccinazioni è stata una storia caratterizzata dal susseguirsi, a volte molto rapido, di ipotesi, azioni, errori e correzioni di tiro che hanno contribuito a creare un clima generale di incertezza, quando non di aperta diffidenza nei confronti degli esperti e dei loro consigli.

Errori e correzioni

Cito solo alcuni dei capisaldi che sono crollati nel giro di pochi mesi: AstraZeneca solo sotto i 55 anni, Johnson & Johnson in singola somministrazione, vietato cambiare vaccino, non fare il vaccino anti Covid vicino ad altre vaccinazioni. Oggi invece AstraZeneca viene somministrato solo alle fasce più anziane della popolazione, di Johnson & Johnson si è iniziato a raccomandare una seconda dose a distanza di due mesi dalla prima. Cambiare il tipo di vaccino per la terza dose è considerato addirittura vantaggioso e infine in questi giorni la vaccinazione anti Covid e quella antiinfluenzale vengono praticate in una sola seduta al personale sanitario degli ospedali.

Dobbiamo preoccuparci per tutto questo? Dobbiamo dedurne che quanto ci era stato fino a oggi consigliato non era scientifico o che ci ha messo a rischio? In realtà è vero il contrario, perché quello a cui abbiamo assistito, da attori e spettatori al tempo stesso, è stato il grande spettacolo della scienza che si va costruendo, della ricerca clinica che si affina via via che il tempo passa e i dati a sua disposizione crescono.

Non la scienza immaginaria, che vorremmo avesse sempre una risposta certa a ogni perché, ma la scienza vera, che affronta problemi ignoti e piano piano li risolve, accumulando osservazioni e analizzandole con un corretto approccio metodologico e statistico.

Dove siamo arrivati

Vediamo allora dove siamo arrivati, salvo ulteriori aggiornamenti, per quanto riguarda la terza vaccinazione, meglio nota come booster nella letteratura scientifica internazionale. Intanto è opportuno dire che ci troviamo in un campo non particolarmente diverso da quello di molte altre vaccinazioni, come per esempio quelle (obbligatorie) contro la difterite, il tetano, la polio, la pertosse, l’epatite B che vengono somministrate per tre volte nel primo anno di vita e che prevedono ulteriori richiami nel corso dell’infanzia e dell’adolescenza.

Pur riconoscendo che si tratta di patogeni e di vaccini molto diversi tra di loro, il concetto di fondo non cambia: l’immunizzazione contro certi virus o batteri cresce con il crescere delle dosi somministrate ed è spesso indispensabile somministrarne più di una per conseguire un’immunità adeguata e duratura. Capire quale sia il numero di dosi necessarie per raggiungere questo obiettivo richiede una osservazione epidemiologica prolungata nel tempo e in alcuni casi, come quello dell’influenza, la conclusione può essere che una protezione adeguata si mantenga solo ripetendo la vaccinazione ogni anno.

Venendo al Covid, l’andamento dell’immunità dopo le prime due dosi è oramai noto e cominciano a essere disponibili anche i primi dati sulla terza dose. Tre recentissime ricerche pubblicate tutte nel mese di ottobre sul prestigioso New England Journal of Medicine ci hanno offerto informazioni particolarmente utili. Il primo dei tre studi (in realtà il terzo per data di pubblicazione) dimostra come in Israele l’incidenza di nuove infezioni nei soggetti vaccinati cresca progressivamente man mano che ci si allontana dalla data della seconda dose.

Nel secondo studio (che ha seguito un gruppo molto limitato, ma ben controllato di persone) si conclude che un mese dopo la terza vaccinazione gli anticorpi anti Covid sono quasi cinque volte più alti del picco che gli stessi soggetti avevano raggiunto un mese dopo la seconda, dimostrando che il nostro sistema immunitario risponde in modo molto vivace alla dose booster. Questo avvalora l’ipotesi che, partendo da valori più elevati di anticorpi, la discesa verso livelli potenzialmente non protettivi possa essere più lunga dopo la terza dose e dunque la protezione più duratura nel tempo.

L’ultimo dei tre studi, che viene di nuovo da Israele, ha infine valutato i dati disponibili su oltre un milione di cittadini ultrasessantenni confrontando l’incidenza di infezioni e di infezioni gravi tra chi era stato sottoposto solo a due vaccinazioni e chi aveva praticato anche il terzo richiamo. Nel corso di una osservazione durata per ora poco più di un mese, l’incidenza di infezioni da Sars-CoV-2 è stata undici volte più alta e quella di infezioni severe quasi venti volte più alta nei soggetti che non avevano ricevuto la dose booster.

I vantaggi della terza dose

Tutti questi dati indicano chiaramente che chi deciderà di sottoporsi a una terza dose di vaccino ne riceverà certamente un vantaggio in termini di protezione individuale. Meno certi sono, a oggi, i vantaggi in termini di popolazione, se si considera che i numeri assoluti dei nuovi infetti tra chi ha ricevuto almeno le prime due dosi del vaccino sono ancora molto bassi e non tali da far prevedere a breve termine una nuova impennata della pandemia. Non c’è fretta dunque, ma tutto lascia prevedere che nel tempo (come è stato per i vaccini contro la difterite, la polio, il tetano e l’epatite B) una terza somministrazione del vaccino diventerà una buona pratica alla quale tutti dovranno adeguarsi.

 

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