Immaginatevi una mandria di diecimila antilopi nella savana: questi siamo noi. Arriva una famiglia di dieci leoni: quelli sono il virus. All’inizio noi antilopi ce ne stiamo belle tranquille, poi però i leoni cominciano a darci la caccia e a sbranarci uno dopo l’altra.

Noi antilopi superstiti fuggiamo via, impaurite. I leoni ben pasciuti si riproducono e aumentano di numero, mentre noi antilopi diventiamo sempre meno. Passa il tempo, i tanti leoni fanno sempre più fatica a trovare la carne di cui nutrirsi perché noi antilopi siamo rimaste poche e sappiamo come sfuggire, i leoni cominciano a morire di fame, e allora noi antilopi sopravvissute, non più cacciate dai leoni, cominciamo a fare cuccioli e a moltiplicarci. Ma i nostri cuccioli diventano una preda facile dei leoni che ricominciano ad aumentare di nuovo. Loro aumentano, noi caliamo, loro calano, noi aumentiamo, e così via.

Le epidemie

Tutte le epidemie causate da virus, compresa questa di Covid-19, dove il virus è il predatore e noi siamo la preda, seguono questo andamento a picchi successivi nel tempo, detto “a denti di sega”. All’inizio il virus trova un’enorme massa di individui tutti suscettibili, li infetta, si riproduce, ne uccide molti, i sopravvissuti si immunizzano, ma poi il virus trova sempre meno persone da infettare perciò circola di meno, al che noi umani possiamo riprodurci e prosperare di nuovo.

Questo andamento è l’effetto della cosiddetta immunità di gregge: maggiore è il numero degli immunizzati all’interno del gregge e minore è la probabilità che il virus riesca a colpire i pochi individui ancora suscettibili. Quindi, se un numero sufficiente di individui vengono immunizzati, perché sono stati infettati dal virus o sono stati vaccinati, anche gli altri non immuni rischiano sempre meno di ammalarsi.

Nella storia del mondo tutte le epidemie si sono comportate così, un picco di contagi seguito da una discesa, poi un nuovo picco, e una nuova discesa, e così via. Per esempio, prendiamo le epidemie di morbillo: prima che fosse introdotta la vaccinazione, in Italia il morbillo colpiva un gran numero di persone, anche 60-70mila all’anno: c’era un picco epidemico, la maggior parte della popolazione si immunizzava, il virus circolava di meno, nasceva una nuova generazione di bambini non immuni così qualche anno dopo scoppiava una seconda ondata epidemica, e così via.

Quando è stata introdotta la vaccinazione di massa contro il morbillo, i picchi epidemici sono praticamente scomparsi, e oggi i casi sono un migliaio all’anno, quasi tutti bambini non vaccinati. Oppure, prendiamo l’influenza, che ha un andamento un po’ dissimile perché è causata da un virus capace di mutare: il virus dell’influenza provoca un picco epidemico, la maggior parte della popolazione diventa immune, qualche anno dopo sorge un nuovo ceppo di virus influenzale mutato, in grado di sfuggire all’immunità precedente, e così scoppia una seconda ondata epidemica, e così via. Per questo, i vaccini antinfluenzali devono essere aggiornati ogni due-tre anni contro il nuovo ceppo prevalente, e noi dobbiamo fare il richiamo.

Arrivare all’immunità

Quand’è che è un virus produce un’immunità di gregge sufficiente per arrestare l’epidemia? Le leggi che regolano l’immunità di gregge sono semplici.

Ogni virus può essere più o meno contagioso di un altro. Per esempio, ogni individuo infettato dal virus del morbillo in una popolazione totalmente suscettibile contagia in media altri 10-12 individui.

Invece, ogni individuo infettato dal Sars-CoV-2 del ceppo originario, quello di Wuhan, contagiava in media 3 altri individui.

Il numero basico di riproduzione, chiamato R0 (R con zero) indica il numero di individui che un infetto da un determinato virus contagia in media in una popolazione ideale in cui tutti siano suscettibili. Così, il virus del morbillo ha un R0 pari a dodici; e il Sars-CoV-2 del ceppo di Wuhan ha un R0 pari a tre.

È facile comprendere che il numero basico di riproduzione di un virus indica quanto esso sia contagioso. R0 dipende da diversi fattori: soprattutto dalle caratteristiche molecolari del virus, un virus che si attacca meglio alle nostre cellule è più contagioso di un altro; ma anche dalle caratteristiche demografiche del luogo ove il virus si sta diffondendo, in una città dove abitano 5mila persone al chilometro quadrato il virus si diffonderà più rapidamente rispetto a un paese dove magari di abitanti ce n’è uno per chilometro quadrato.

Invece, il numero effettivo di riproduzione Rt (dove “t” sta per tempo) è il numero di individui che un infetto dal virus contagia nella popolazione reale al tempo “t”: col passare di mesi, aumenta il numero degli immunizzati e dei vaccinati, e se introduco anche misure di controllo dell’epidemia, come il lockdown, ovviamente il virus si diffonde meno, perciò un infetto può contagiare un numero inferiore di persone, indicato da Rt.

Ad esempio, noi sappiamo che la variante delta del coronavirus dapprincipio aveva un R0 pari a sei, cioè un infetto contagiava in media altri sei, ma poi con il lockdown e la vaccinazione di massa il numero delle persone suscettibili è diminuito, e ora Delta ha un Rt pari circa a uno. Perché è così importante che Rt sia uguale o inferiore a uno? Perché quando Rt è uguale o inferiore a uno l’epidemia si arresta.

Quando Rt è uguale a uno, un individuo infetto riesce a infettare in media al massimo solo un altro individuo, e il virus resta stabile nella popolazione; se poi Rt diventa inferiore a uno, ogni infetto ne contagia in media meno di uno, e l’epidemia comincia a declinare. E quand’è che questo accade? Una semplice legge dell’epidemiologia stabilisce che un’epidemia si arresta solo quando la percentuale di individui immunizzati in quella popolazione raggiunge un determinato valore, chiamato soglia di immunità di gregge, e che dipende da R0.

Seguite il ragionamento: un’epidemia si arresta quando Rt è uguale o inferiore a uno, cioè quando un individuo infetto riesce a infettare in media solo un altro individuo, o meno di uno. E cosa devo fare, cioè quante persone devo immunizzare? Ad esempio, prendiamo la variante Delta del coronavirus, che ha un R0 uguale a sei. Ipotizziamo che un individuo infettato dalla variante Alfa si trovi in una stanza con altri sei soggetti: li contagerà tutti e sei. E adesso ipotizziamo che in quella stanza con l’infetto ci siano altri sei individui, cinque dei quali però sono immuni al virus, perché sono vaccinati: allora l’individuo infetto ne potrà contagiare al massimo solo uno, e così l’epidemia si stabilizza.

Se poi tutti e sei gli individui fossero vaccinati, la persona infetta non ne potrebbe contagiare nessuna e perciò l’epidemia comincerebbe a declinare.

Quindi, l’epidemia da virus Delta si arresta se almeno 5/6=0,83, cioè se almeno l’83 per cento degli individui sono vaccinati: questa è la soglia dell’immunità di gregge. Seguendo lo stesso ragionamento, se diventasse prevalente Omicron, che ha un R0 forse pari a dieci, dovremmo vaccinare 9/10=0,90, cioè il 90 per cento della popolazione.

Servono più vaccinati

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A dire il vero, l’immunità di gregge è un concetto teorico ideale, che va “aggiustato” tenendo conto di altri fattori che peggiorano le cose: i vaccini adesso utilizzati non hanno un’efficacia del cento per cento, ma inferiore; inoltre, essi hanno un’efficacia molto alta nel prevenire la malattia grave ma più bassa nel prevenire la trasmissione del virus da un individuo all’altro. Quindi, per arrestare l’epidemia da variante Delta o Omicron dovremmo vaccinare “molto più” del 90 per cento della popolazione, paradossalmente oltre il cento per cento degli individui, cosa ovviamente impossibile.

In sintesi, la soglia di immunità di gregge è il valore ideale di immunizzati a cui tendere per frenare un’epidemia. Però tenete a mente una cosa: nessun virus in natura raggiunge da solo la soglia di immunità di gregge perché la sua diffusione si autolimita prima. Perciò ci resta solo una cosa da fare: vaccinare quanti più individui possibili, somministrare le terze dosi, e vaccinare anche i bambini.

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