Che cosa sappiamo, cosa non sappiamo, e cosa stiamo scoprendo sulla variante Omicron? Oggi sappiamo con certezza che Omicron è molto più contagiosa di Delta. Da quando, a fine novembre 2021, è stata identificata per la prima volta in Sudafrica, il nuovo ceppo sta rapidamente soppiantando la Delta e diventando prevalente ovunque.

Nei vari paesi del mondo, il numero degli individui infettati da Omicron raddoppia circa ogni due giorni. Detto in termini tecnici, il tempo di raddoppio di Omicron è di 2,5 giorni. Ogni infetto da Delta può contagiare in media da quattro a dieci altri individui, a seconda delle varie stime. Detto in termini tecnici, Omicron ha un numero basico di riproduzione, denominato R0, compreso tra quattro e dieci, ma probabilmente più vicino a dieci. Invece, Delta aveva un R0 pari a quattro e un tempo di raddoppio di 14 giorni. La nuova variante, quindi, ha un’infettività spaventosamente superiore a Delta.

Poi, pare che gli individui infettati da Omicron sviluppino la malattia più in fretta, in soli tre giorni dal contagio, mentre quelli infettati da Delta la sviluppavano in media dopo cinque, e anche per questo siano in grado di contagiare più velocemente gli altri individui. E tutto questo spiega perché Omicron si diffonda così rapidamente.

Poi, sappiamo con certezza che la variante Omicron sfugge almeno in parte all’immunità acquisita grazie a un’infezione precedente o al vaccino. Chi è guarito da una infezione precedente o è vaccinato con due dosi ha un rischio di venire reinfettato da Omicron che è più di cinque volte superiore rispetto a quello di venir reinfettato da Delta.

Chi ha ricevuto solo due dosi del vaccino rischia molto di più di ammalarsi lo stesso se viene infettato da Omicron e molto meno se viene infettato dalla Delta. Con Omicron, l’efficacia dei vaccini nel prevenire un’infezione sintomatica è scesa di molto, mentre è ancora alta a sufficienza nel prevenire la malattia grave e le morti. Fortunatamente, pare che la terza dose del vaccino riesca a ristabilire una piena protezione sia contro l’infezione sintomatica sia contro la malattia grave.

Resta da risolvere un interrogativo cruciale: la malattia provocata da Omicron è più o meno grave di quella provocata da Delta?

Sudafrica e Regno Unito

People watch on a large screen the funeral service for Anglican Archbishop Emeritus Desmond Tutu at the St. George's Cathedral in Cape Town, South Africa, Saturday,Jan.1, 2022. Tutu, the Nobel Peace Prize-winning activist for racial equality and LGBT rights died Sunday at the age of 90. (AP Photo/Jerome Delay)

I dati clinici del Sudafrica invitano all’ottimismo. A partire da dicembre, i casi di malati infetti da variante Omicron sono esplosi, ma il numero dei pazienti ospedalizzati non è cresciuto con la stessa velocità. Inoltre, pare che con Omicron il numero dei pazienti ospedalizzati che hanno sviluppato una polmonite così grave da richiedere una terapia a base di ossigeno sia sceso, il che suggerisce che la malattia sia più lieve.

Questi dati, però, sono difficili da interpretare, poiché il Sudafrica è un paese pieno di giovani, che tendono a sviluppare una forma di Covid più lieve; inoltre, si stima che più dell’80 per cento dei sudafricani sia stato infettato dal Covid nelle ondate precedenti, e quindi abbia sviluppato un’immunità naturale che previene la malattia grave.

Anche i dati clinici del Regno Unito paiono confermare che la malattia da Omicron sia più lieve. A Londra, la variante ha provocato una crescita rapida ed enorme del numero dei contagi (+150 per cento in una settimana), che però è stato accompagnata da una crescita molto inferiore del numero di ospedalizzazioni e di morti, aumentati solo di un terzo, ma questo potrebbe essere dovuto al fatto che gran parte dei cittadini britannici sono vaccinati.

A giudicare dai dati clinici, sembra che Omicron provochi una malattia più lieve rispetto a Delta, ma è troppo presto per trarre conclusioni definitive.

Diversa da Delta

Quel che è certo è che la nuova variante ha caratteristiche molto diverse dalla precedente: come mai? Dipendono tutte dalla sua proteina spike, quella che è alla base dell’aggressività e della contagiosità del virus, che possiede ben 53 mutazioni, molte più delle varianti precedenti.
La proteina spike del coronavirus è quella che il virus utilizza per agganciarsi ai recettori Ace2 presenti su certe cellule del nostro corpo, come le cellule degli alveoli polmonari e quelle dell’endotelio che riveste internamente i nostri vasi, e poi infettarle. Essa è composta da due porzioni, definite “subunità”. La prima, denominata S1, aggancia il recettore sulla cellula attraverso una sua porzione chiamata Receptor Binding Domain, ovvero dominio che lega il recettore: meglio si lega al recettore, più la variante è contagiosa.

La seconda subunità, la S2, è legata alla membrana esterna del virus. Tra la subunità S1 e quella S2 della proteina spike c’è un sito denominato “sito di clivaggio” delle proteasi, che fa da cerniera tra le due. Quando sono in posizione di riposo, le due porzioni S1 e S2 della spike formano una specie di asta rettilinea rigida che tiene la membrana del virus lontana da quella della cellula.

Il virus Delta si attacca con la subunità S1 della sua proteina spike al recettore Ace2 sulla membrana della cellula polmonare; sulla membrana della cellula, in prossimità del recettore Ace2, si trova la molecola di un enzima, chiamato serin proteasi (Tmprss2), il quale taglia il sito di clivaggio tra le subunità S1 e S2, e questo “scatta” facendo richiudere le due subunità su sé stesse, ma ciò fa avvicinare la membrana del virus a quella della cellula favorendone la fusione, il che permette al virus di infettare la cellula.

Questo processo è fondamentale per la patogenicità del virus: il meccanismo scatta, e tac, il virus si fonde con la nostra cellula infettandola. Inoltre, la cellula polmonare infettata da Delta si mette a produrre la proteina spike del virus, che poi si inserisce dentro la sua membrana.

Grazie allo stesso meccanismo di attivazione da parte della proteasi Tmrpss2, la membrana di quella cellula polmonare si fonde con quella della cellula adiacente, e poi di quella successiva e così via, e in tal modo gruppi di cellule polmonari contigue si uniscono per formare macro cellule fuse dette “sincizi” all’interno delle quali il virus può muoversi “al riparo”, cioè senza entrare in contatto con l’ambiente extracellulare ove potrebbe essere attaccato dagli anticorpi circolanti.

La formazione di questi sincizi è correlata al grado di gravità della polmonite virale. Uno studio recente di un gruppo di scienziati dell’Università di Cambridge, guidati dal professor Ravindra Gupta, mostra che Omicron possiede una proteina spike con alcune mutazioni che diminuiscono di molto l’efficienza del taglio del sito di clivaggio da parte della proteasi Tmprss2: ma in questo modo il virus non riesce a fondere la sua membrana con quella delle cellule polmonari, né a penetrare dentro di esse per infettarle, né a formare sincizi. Forse, è per questo che la polmonite da Omicron pare essere più lieve.

Invece, Omicron riesce a infettare le cellule dei bronchi e del naso, che non possiedono la proteasi Tmprss2, e ciò spiega perché dia sintomi simili a un brutto raffreddore. Ma bisogna essere cauti. Un gruppo di scienziati dell’Università di Glasgow ha dimostrato che Omicron, per penetrare dentro alle nostre cellule, usa un meccanismo diverso da prima.

Si attacca con la sua proteina spike al recettore Ace2 di molte cellule che non possiedono la proteasi Tmprss2, perciò il clivaggio sulla membrana non avviene, e invece il virus viene “mangiato” intero dalla cellula, che lo ingloba dentro a speciali organi digestivi chiamati endosomi: però, nella membrana degli endosomi c’è un’altra proteasi, chiamata catepsina, che fa scattare il sito di clivaggio, ed ecco che Omicron si fonde con la membrana dell’endosoma e invade la cellula dal suo interno.

Qual è il problema? Il problema è che mentre solo poche cellule del nostro corpo, quelle dei polmoni, dell’endotelio dei vasi, possiedono la proteasi Tmprss2, quasi tutte possiedono la catepsina. Quindi, Omicron potrebbe subdolamente risparmiare i polmoni, e invece colpire quasi tutti gli altri organi del nostro corpo, provocando miocarditi, encefaliti, epatiti, eccetera.

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