L’informativa al parlamento del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, del 7 marzo scorso, va esaminata in punto di diritto. Perché, al di là delle incongruenze logiche o delle carenze di empatia, è sul piano giuridico che le affermazioni del ministro contengono falle che rischiano di far naufragare la sua ricostruzione. Serve, dunque, valutare quelle più rilevanti.

L’attivazione di un’operazione Sar

«L’attivazione dell’intero sistema Sar non può prescindere da una segnalazione di una situazione di emergenza», ha detto Piantedosi.

La domanda è: la segnalazione di Frontex poteva essere considerata come indicativa di un’emergenza al largo di Cutro, cosa che il ministro esclude? Proviamo a comporre il puzzle normativo.

In primo luogo, secondo il «Piano nazionale per la ricerca e il salvataggio in mare» predisposto nel 2020 dall’allora ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Paola De Micheli, un’operazione Sar (Search and rescue) dev’essere attivata a seguito di una «notizia di pericolo per la vita umana in mare, comunque pervenuta», che faccia anche solo «dubitare della sicurezza di una persona, di una nave o di un altro mezzo».

Per sapere quali sono le condizioni che possono determinare uno stato di «incertezza, allarme o pericolo» di un natante in mare, il riferimento normativo è nel regolamento dell’Unione europea sulla «sorveglianza delle frontiere marittime esterne» da parte dell’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli stati membri», cioè Frontex (art. 9, § 2, lett. f, regolamento n. 656/2014).

Innanzitutto, la richiesta di assistenza «non è l’unico fattore per determinare l’esistenza di una situazione di pericolo», e ciò smonta una sorta di circostanza attenuante richiamata da Piantedosi: «nessuna segnalazione di allarme o richiesta di aiuto proveniva dall’imbarcazione in questione».

Il regolamento individua altri nove fattori che possono indicare «incertezza, allarme o pericolo» di un natante in mare, tra i quali «il numero di persone a bordo rispetto al tipo di natante e alle condizioni in cui si trova»; «l’esistenza e la funzionalità di dispositivi di sicurezza»; «le condizioni e previsioni meteorologiche e marine»; «la presenza di un equipaggio qualificato e del comandante del natante».

Questi fattori ricorrevano nella segnalazione di Frontex. Come riportato da numerose fonti, l’agenzia aveva infatti rilevato una «significativa risposta termica», e quindi l’eventuale presenza di persone sotto coperta, gli oblò della nave aperti, probabilmente per consentire loro di respirare, la linea di galleggiamento molto bassa, anch’essa indizio della presenza di molte persone sulla nave.

Frontex aveva altresì fatto presente che non erano visibili giubbotti di salvataggio, cioè i «dispositivi di sicurezza» di cui parla il regolamento. Inoltre, le previsioni meteorologiche preannunciavano un peggioramento rilevante. Peraltro, Frontex parlava di «un uomo fuori coperta», di notte e su un'imbarcazione fragile, e ciò poteva destare sospetti, nonché dubbi sulla «presenza di un equipaggio qualificato e del comandante», citata dal regolamento.

In base a questi elementi forniti da Frontex nella sua segnalazione, poteva configurarsi una condizione di emergenza. Peccato Piantedosi abbia solo detto che Frontex si era limitata «a evidenziare la presenza di una persona sopra coperta, di possibili altre persone sotto coperta e una buona galleggiabilità dell’imbarcazione», omettendo di indicare altri elementi segnalati dell’Agenzia. Elementi che, se enunciati dal ministro, avrebbero minato la tenuta giuridica della sua informativa.

Quanto disposto dal regolamento europeo circa gli elementi che configurano una condizione di rischio, anche solo eventuale, trova conferma nella giurisprudenza.

Come affermato dalla procura di Agrigento, nella richiesta di archiviazione relativa al caso di Carola Rackete, le imbarcazioni che trasportano migranti «devono essere considerate sin da subito in distress» – cioè in una situazione di «pericolo attuale di danno grave alla persona» – «in ragione del fatto che sono sovraccariche, inadeguate a percorrere la traversata, prive di strumentazione e di personale competente». Situazione nella quale si trovava il caicco, sulla base della comunicazione di Frontex.

Infine, è vero, come viene esposto nel citato disciplinare Sar del 2020, che in un sinistro in mare possono esservi tre fasi di emergenza – una prima di “incertezza”, una seconda di “allertamento” e una terza di “pericolo” – e solo al terzo stadio si prevede un pieno intervento operativo da parte della Guardia costiera.

Tuttavia, secondo il medesimo disciplinare, «la velocità di evoluzione degli accadimenti» potrebbe «configurare fin dall’inizio il livello superiore». Dunque, il tentativo di Piantedosi di far ricadere l’evento di Cutro nella prima o nella seconda fase non può escludere responsabilità per i mancati soccorsi.

La Guardia di finanza e le operazioni di soccorso

Laddove «non venga segnalato un distress» – ha detto il ministro – «l’evento operativo è gestito come un intervento di polizia», aggiungendo comunque che, «nel corso di 300 operazioni di polizia per il contrasto dell’immigrazione illegale, la sola Guardia di finanza ha tratto in salvo 11.888 persone (…). Dunque, dati alla mano, è del tutto infondato che le missioni di law enforcement non siano in grado di effettuare anche salvataggi».

Premesso che, come visto, il distress era stato segnalato, è vero – come si legge sul sito della Guardia di finanza – che «nello svolgimento dei compiti istituzionali molto spesso le unità aeronavali del corpo sono impegnate in operazioni di ricerca e soccorso (Sar)».

E nell’informativa Piantedosi ha precisato che «gli assetti navali di polizia sono attrezzati anche per operazioni di soccorso». Tuttavia, lo stesso ministro ha reso noto che le due navi della finanza dirette verso il caicco a un certo punto sono state «costrette a rientrare in porto a causa delle pessime condizioni meteo marine».

Dunque, le navi erano inidonee all’operazione in atto, anche solo a quella di polizia (law enforcement).  A maggior ragione, in quella situazione non potevano effettuare salvataggi. Del resto, nel disciplinare Sar sopra citato si dice che i mezzi della finanza «iniziano» le operazioni di soccorso: evidentemente perché solo la Guardia costiera dispone di quanto necessario a concluderle, non essendovi certezza che la Gdf possa riuscirci.

Dunque, l’affermazione del ministro secondo cui la Gdf può fare soccorsi è vera, ma solo a metà: non sempre la Gdf ha i mezzi per portarli a termine. Tant’è che nel caso di Cutro servivano imbarcazioni che sono solo nella disponibilità della Guardia costiera.

Il ministro ha anche detto che, quando la Gdf ha informato l’autorità marittima del suo rientro a causa del mare grosso, il «quadro conoscitivo» non era cambiato. Di fatto, qualcosa era cambiato: si era attivato un ulteriore indicatore di quelli previsti da regolamento Frontex, cioè «condizioni e previsioni meteorologiche e marine». Se il mare era proibitivo per le navi della Gdf, con quel mare anche «l’efficienza operativa» del caicco poteva dirsi «compromessa al punto di rendere probabile una situazione di pericolo» (art. 9, § 2, lett. e, reg. n. 656/2014).

I corridoi umanitari

L’attuale governo – ha affermato ancora Piantedosi - «sin dal suo insediamento, ha intensificato i corridoi migratori legali, portando in Italia 617 persone, un numero mai registrato in un così breve lasso di tempo» e si è impegnato ad accogliere «1.481 persone, entro il primo semestre del 2023», mentre, sempre per il 2023, c’è l’impegno «di accogliere altre 850 persone».

Questi numeri rappresentano una goccia nel mare. Basti pensare che, dall’inizio dell’anno, sono sbarcate in Italia circa 15 mila persone, secondo il Viminale, e sono solo quelle delle quali si ha conoscenza.

Ma il ministro dell’Interno vanta quei numeri irrisori. Una beffa, a fronte delle persone che, non potendo rientrare nei numeri puntualmente citati dal ministro, sono morte in mare.

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