Il bisogno è quello di riportare i corpi in piazza e di mostrare al governo che esiste un’opposizione sociale, che di fronte alla repressione del dissenso la società civile non sta a guardare. Mentre è approdato in aula alla Camera per la sua conversione il decreto legge Sicurezza (48/2025), con cui lo scorso 4 aprile l’esecutivo ha sostituito il disegno di legge, centinaia di persone si sono riunite in piazza Barberini a Roma con l’obiettivo di andare verso Montecitorio e far sentire la loro voce.

Sindacati, studenti, organizzazioni, cittadine e cittadini hanno voluto denunciare il «virus insidioso, profondo e pericoloso» che si sta insinuando e «vuole mettere le persone l’una contro l’altra». Così lo ha definito Gianluca Peciola, attivista e membro della Rete no dl Sicurezza.

L’intento repressivo delle nuove disposizioni entrate in vigore il 12 aprile, per la piazza, emerge sia nel metodo sia nel merito. A partire dalla decretazione di urgenza «in assenza di una reale emergenza», ha denunciato Amnesty international, usata per «aggirare il dibattito democratico del parlamento». Una scelta che, fa notare Amnesty, è stata criticata dalla Nazioni unite, da organizzazioni nazionali e internazionali: «Non si tratta di sicurezza, di tratta di repressione».

Quello che il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi in aula ha definito «un provvedimento strategico per il governo per valorizzare il lavoro quotidiano delle forze dell’ordine», per la società civile è uno strumento «liberticida», «una svolta autoritaria preventiva» che criminalizza determinate soggettività come le persone povere, le persone con background migratorio, le persone delle comunità Rom e chi non ha una casa. Un decreto che «garantisce impunità», denuncia la Rete.

Il corteo non è però riuscito ad arrivare davanti al parlamento, perché fermato a pochi metri da piazza Barberini da un cordone di polizia in tenuta antisommossa, camionette e idranti. Negli scontri è stato ferito il coportavoce della Rete nazionale e assessore del terzo municipio di Roma Luca Blasi, colpito con diverse manganellate alla testa. «Era a volto scoperto», ha fatto sapere la rete, «e un agente gli ha strappato l’orecchino. Questa è la democrazia che hanno deciso di mettere in pratica». Sul fatto Avs ha annunciato un’interrogazione. «Un amministratore della città puntato, circondato e massacrato dalle forze dell’ordine mentre era di lato», ha dichiarato il deputato Marco Grimaldi.

I manifestanti hanno deciso di occupare comunque le strade della capitale e andare verso l’università Sapienza di Roma, dove si sono riuniti in assemblea, in vista della manifestazione nazionale del 31 maggio. Anche se ci sarà il modo per dichiarare molte di queste norme incostituzionali, hanno proseguito negli interventi, ci saranno donne e uomini che verranno arrestati.

Scuola e università

Studenti di scuole e università sono arrivati a Roma da diverse città, «per comunicare con forza che c’è una rete sociale che riesce a organizzarsi in modo largo», spiega Yuki, studente di Padova. Il decreto «è un palinsesto ideologico» e il «filo rosso che collega tutto è la repressione del dissenso che sia passivo, attivo, che sia messo in atto da una soggettività o da un’altra, istituzionale o dal basso». Profili che vanno a ricadere su altre manovre del governo, che delinea una scuola «che cerca di inculcare queste istanze nella mente degli studenti e di reprimere il dissenso». Per questo, dalla mattina di lunedì 26 maggio, gli studenti si sono incatenati a staffetta in tutta Italia. «Le norme del decreto riguardano anche il nostro settore», dice la segretaria nazionale Flc Cgil, Gianna Fracassi, «come la norma che impone una sorta di delazione a tutte le pubbliche amministrazioni ma anche alle università».

In aula

In piazza era presente anche una delegazione di parlamentari di opposizione, come simbolo di garanzia e con l’obiettivo di assicurare un raccordo dentro e fuori dal parlamento, dove – denunciano – in commissione è stata stata imposta una doppia tagliola, sia sugli emendamenti sia sulle dichiarazioni di voto. Non contento, il governo ha posto la fiducia che si voterà dalle 18 di martedì 27 maggio. Se per la premier il decreto tutela i più deboli e difende la proprietà privata, attraverso gli sgomberi, per le opposizioni in aula «svilisce i principi della nostra Costituzione», ha detto il dem Gianni Cuperlo. Per Avs «fa andare in prigione anche Gandhi» e, secondo il segretario di +Europa, Riccardo Magi, «rompe l’ordine costituzionale». Lo stesso Magi ha annunciato di aderire al digiuno non violento a staffetta promosso da diverse realtà della società civile che assicurano: «Porremo i nostri corpi a difesa delle libertà e il decreto sicurezza verrà smontato pezzo dopo pezzo».

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