L’ex fidanzata del calciatore 27enne del Cosenza è stata condannata per concorso in omicidio volontario. Cade così la tesi del suicidio per la morte di Bergamini, avvenuta il 18 novembre 1989 sulla statale jonica 106
L’ex fidanzata del calciatore del Cosenza Donato “Denis” Bergamini, Isabella Internò, è stata condannata a 16 anni di reclusione per concorso con ignoti in omicidio volontario. La procura aveva chiesto 23 anni, ma la giuria ha considerato la premeditazione, ma non le altre aggravanti – come quella della crudeltà e dell’uso di sostanze tossiche –, a cui ha anteposto le attenuanti generiche. È stata disposta anche l’interdizione dai pubblici uffici e dei diritti civili, oltre al risarcimento dei danni, da stabilire in separata sede.
La difesa di Internò aveva richiesto l’assoluzione «perché il fatto non sussiste» e aveva tentato di screditare le tesi e le indagini della procura, suggerendo una connivenza tra la famiglia di Bergamini e la procura stessa. Quest’ultima ha detto di essersi basata soltanto sui fatti, spiegando che il delitto è riconducibili a motivi di natura passionale, in seguito al mancato matrimonio dopo un’interruzione di gravidanza.
L’avvocato di parte civile Fabio Anselmo ha invece sottolineato che, a prescindere dall’assoluzione o dalla condanna dell’imputata, questo processo ha dimostrato «che Denis Bergamini è stato ucciso». Internò ha dichiarato: «Voglio solo dire che sono innocente e non ho commesso niente. Lo giuro davanti a Dio».
La vicenda
All’epoca dei fatti, Donato “Denis” Bergamini giocava nel Cosenza in Serie B. La sera prima di una partita contro il Messina, il 18 novembre 1989, morì in circostanze sospette sulla strada statale jonica 106, vicino a Roseto Capo Spulcio, proprio in provincia di Cosenza. Dopo aver raccolto le testimonianze dell’ex fidanzata che era con lui, Isabella Paternò, e dell’autista di un camion Iveco che passò sopra il corpo quella notte, Raffaele Pisano, l’ipotesi che si configurò fu che il calciatore 27enne si fosse suicidato.
Bergamini, secondo Internò, aveva chiesto alla ragazza di partire insieme per andare all’estero e, dopo il suo rifiuto, aveva deciso di togliersi la vita. Pisano, processato con l’accusa di omicidio colposo, fu assolto sia in primo grado che in appello.
Corsi e ricorsi giudiziari
L’ipotesi del suicidio non ha però mai convinto la famiglia, che anni dopo ha chiesto alla procura di riaprire le indagini. Furono disposte le intercettazioni dei telefoni di Internò e dei suoi famigliari, ma queste non furono mai effettuate perché gli indagati si trovavano in vacanza. Le indagini furono quindi archiviate.
Il caso è stato riaperto nuovamente nel 2011. Internò è stata indagata per omicidio volontario, in concorso con persone non ancora identificate, ma anche in questo caso è stata fatta richiesta di archiviazione.
Le indagini sono state infine riaperte nel 2017 dopo la consegna di nuovi elementi da parte dell’attuale avvocato della famiglia, Fabio Anselmo, già legale di Federico Aldrovandi e Stefano Cucchi.
La procura di Castrovillari ha disposto la riesumazione del corpo di Bergamini e l’autopsia, dalla quale si è scoperto che l’ex calciatore era morto per soffocamento e che le ferite non erano riconducibili a un investimento e a un trascinamento per 60 metri come ipotizzato, anche perché la collanina e l’orologio di Bergamini non avevano subito danneggiamenti.
Da qui la nuova ipotesi che ha portato al rinvio a giudizio per Internò come mandante dell’omicidio e al processo di oggi, partito nel 2021: il 27enne è stato prima ucciso e poi adagiato sull’asfalto della statale jonica 106 e, secondo l’accusa, la responsabile sarebbe Isabella Internò, che non avrebbe accettato che Bergamini volesse lasciarla e non volesse sposarla dopo un’interruzione di gravidanza.
L’omicidio, secondo le indagini, sarebbe avvenuto per asfissia meccanica, con un sacchetto di plastica o una sciarpa. Inoltre, la testimonianza di un camionista che viaggiava dietro a Raffaele Pisano posizionerebbe Internò su una piazzola a lato della strada al momento del fatto, insieme ad altri due uomini, poi ripartiti verso Cosenza.
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