Nella grande tomba a cielo aperto che è il Mediterraneo, dal 2014 a gennaio 2024 il Progetto Migranti scomparsi dell’Organizzazione mondiale per le migrazioni ha accertato la presenza di almeno 29.296 vittime.

Si tratta di stime al ribasso, perché molte persone migranti disperse in mare non vengono mai ritrovate. I corpi recuperati e quelli che raggiungono le coste portati dalle onde, o ciò che ne resta, rimangono spesso senza nome. Si stima che solo in Sicilia, nelle fosse comuni dei cimiteri, ci siano migliaia di cadaveri sconosciuti.

I vuoti legislativi

Per i familiari delle vittime, riuscire a identificare i propri cari scomparsi in Europa è quasi impossibile, nonostante sia un obbligo civile, penale e umanitario riconosciuto a livello internazionale. Una risoluzione del parlamento europeo del 2021 chiede di creare una banca dati comune per incrociare le informazioni dei morti con quelle degli scomparsi raccolti con la presentazione di una denuncia, ma non esiste ancora un coordinamento e i vuoti legislativi nazionali non aiutano.

«Si tratta invece di un diritto sacrosanto: i morti vanno identificati per i vivi, per la salute mentale della madre che soffre perché non sa dove sia suo figlio e per rispettare la dignità delle persone disperse» dice Cristina Cattaneo, medica legale e direttrice del Laboratorio di antropologia e odontologia forense (Labanof) dell’Università statale di Milano, che dagli anni Novanta si occupa di identificare i cosiddetti sconosciuti puri, cioè i morti senza alcun sospetto di identità.

Lampedusa 2013

A partire dal 3 ottobre 2013, quando a pochi chilometri da Lampedusa morirono 368 persone a seguito del naufragio di un barcone libico che li trasportava, il Labanof ha portato avanti le attività di riconoscimento di circa duemila migranti morti, incontrando i parenti di oltre 400 scomparsi. Un decennio dopo, le persone identificate sono 80. «Sono pochi, ma quello che facciamo è possibile solo tramite il volontariato delle università italiane che si rendono disponibili e della polizia scientifica», spiega Cattaneo, «il potenziale di fare di più sarebbe altissimo se ci fossero i fondi».

Per identificare il corpo di uno sconosciuto, soprattutto quando questo è irriconoscibile, è necessario confrontare il suo dna con quello di un parente prossimo, dopo aver utilizzato le sue fotografie e gli oggetti personali per cercare un primo riscontro. A far ipotizzare un nome e una provenienza ci sono le cose che i migranti portano con sé e che vengono raccolte durante le autopsie: certificati di laurea, pagelle, tessere bibliotecarie, quelle dei donatori del sangue, ma anche soldi, cellulari, auricolari, brioche, farmaci, magliette di squadre sportive e sacchetti di terra del loro paese cuciti addosso.

Gli ostacoli

Poi viene la fase di interazione con i familiari, possibile nei paesi d’origine grazie alla Croce rossa nazionale e internazionale che favorisce i contatti e a organizzazioni non governative che offrono alle famiglie servizi di supporto gratuiti. A volte però non c’è una denuncia di scomparsa a cui fare riferimento e gli unici parenti del defunto non possono spostarsi facilmente per raggiungere l’obitorio o il luogo in cui effettuare le analisi necessarie per il riconoscimento.

Anche quando i familiari vogliono chiedere il riconoscimento di un corpo, negli stati europei manca un posto fisico dedicato a cui rivolgersi e per alcuni rivolgersi a un commissariato può essere problematico. Nel caso di persone prive di uno status legale di immigrazione, fare denuncia comporta il rischio di essere identificati ed espulsi, o di essere accusati di ingresso illegale.

La politica

In Italia, la raccolta dati dei familiari dei migranti scomparsi non è prevista e attualmente avviene sulla base dell’interessamento della polizia scientifica che collabora con gli istituti di medicina forense delle università. «Se in ogni paese ci fossero degli hub per incrociare i dati, come già si fa in altri casi, sarebbe tutto più semplice. Ma manca la volontà politica, così le famiglie sono disperate perché vengono ignorate mentre i governi rimbalzano il problema» dice la dottoressa.

Da quando insieme ai suoi colleghi ha iniziato a battersi per chiedere alle istituzioni di dare un’identità alle persone scomparse, Cristina Cattaneo ha incontrato molti muri: «I primi anni, le giustificazioni erano che una cosa così non si poteva fare, che quella dei migranti che provengono dall’Africa è una cultura diversa e che non hanno bisogno di trovare i loro morti, tanto meno di avere un certificato di morte. “Hanno altri problemi”, mi dicevano».

Nel corso della sua ultima audizione al Consiglio d’Europa, Cattaneo ha chiesto ancora una volta all’Unione europea di riconoscere il diritto al nome, anche per i migranti morti. Per le famiglie che hanno perso un parente, questa operazione è infatti cruciale. Molti parenti cercano le vittime scomparse perché vogliono sapere la verità su quello che è successo, ma anche perché, senza il certificato di morte del familiare, molti orfani non riescono a ottenere il ricongiungimento con la famiglia che resta loro e che spesso si trova in un altro paese. Allo stesso tempo, le vedove con bambini a carico non possono dimostrare che il proprio compagno è morto e ricevere il supporto necessario.

Il documentario

Le storie di chi ha perso la vita cercando di raggiungere l’Italia via mare nell’esperienza di Cristina Cattaneo sono speculari alle nostre.

Il suo lavoro è diventato una missione raccontata nel documentario Sconosciuti puri, finalista del premio David di Donatello 2024. Mentre aspetta una risposta dalle istituzioni che permetta di restituire un’identità alle vittime, c’è un’immagine che resta fissa nella sue mente.

Un anno dopo la strage di Lampedusa del 2013, ha incontrato il padre di un ragazzo morto per il suo riconoscimento: «Nell’attesa di ricevere notizie, guardava in tv un servizio su un aereo di linea da poco precipitato: tutto il mondo era lì per identificare i resti dei passeggeri e io mi chiedevo cosa potesse pensare lui dell’attenzione che invece era stata riservata a suo figlio».

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