Il governo di Giorgia Meloni mira ad accelerare sui centri di permanenza in Albania. Le elezioni europee, dal 6 al 9 giugno, si avvicinano e i centri devono essere operativi a partire dal 20 maggio 2024. La data è stata messa nero su bianco nell’avviso di manifestazione di interesse pubblicato dal ministero dell’Interno il 21 marzo, che ha l’obiettivo di raccogliere l’interesse di società e cooperative che andranno a gestire i due centri previsti dal protocollo Italia-Albania, firmato lo scorso 6 novembre dai premier dei due paesi. Il valore dell’appalto, solo per la gestione dei centri, è di quasi 34 milioni di euro annui.

L’accordo «per il rafforzamento della collaborazione in materia migratoria» prevede la realizzazione di due centri per migranti sul territorio albanese, in comodato d’uso, dove portare le persone salvate dalle autorità italiane in acque internazionali. Non è ancora chiaro se verranno esclusi i minori e i soggetti vulnerabili, non essendoci alcun riferimento esplicito nel disegno di legge.

E sono ancora molti i dubbi sulla costituzionalità dell’intesa e su come verranno garantiti i diritti fondamentali. A partire dal fatto che le imbarcazioni delle autorità italiane sono, in base al codice della navigazione, territorio dello stato di appartenenza e porteranno i migranti salvati, contro la loro volontà, in un paese non appartenente all’Unione europea, per impedire di fatto l’arrivo sulle nostre coste.

I centri

Il centro di Shengjin (Elaborazione grafica Domani / Foto Google Earth)

In realtà, l’avviso pubblicato dalla prefettura di Roma prevede la gestione di tre centri che, per le «ragioni di estrema urgenza sussistenti», dovranno essere operativi entro la fine di maggio, anche se le strutture non saranno completate. Non si spiega in cosa consistano i motivi di urgenza ma si lascia la possibilità che sia «assicurata una ricettività progressiva». Il che significa dimostrare all’opinione pubblica l’apertura dei centri, per poi finire eventualmente i lavori in una fase successiva.

A gestire questi centri sarà un unico operatore economico che si occuperà del funzionamento “coordinato e unitario” di tutte le strutture. Un centro per le procedure di ingresso, a Shengjin, cittadina sulla costa nel nord dell’Albania, dove non sarà previsto il pernottamento ma verrà destinato alle procedure di screening sanitario, identificazione e raccolta delle eventuali domande di asilo. Poi, si prevede che i migranti vengano trasferiti nelle strutture di Gjader, a una ventina di chilometri dalla costa: un centro, con una capienza di 880 persone, in cui verrà svolto l’esame dell’eventuale domanda di asilo; l’altro, per 144 persone, invece avrà le funzioni dei centri di permanenza per il rimpatrio, per chi non avrà diritto alla protezione. Altri 168 posti saranno invece destinati agli alloggi di servizio, «di cui 60 riservati al personale dell’ente gestore».

Una procedura complessa da portare a termine, con costi umani ed economici molto alti. Tant’è che la stessa prefettura di Roma nell’avviso prevede la possibilità di periodi di inattività dei centri: in questi casi, l’ente gestore deve assicurare i livelli essenziali di pulizia per consentire il ripristino delle attività in un tempo di massimo 8 ore.

I costi

Il centro di Gjader (Elaborazione grafica Domani / Foto Google Earth)

Le spese pro-capite pro-die, cioè i costi per la gestione quotidiana del centro per ogni persona, ammontano complessivamente a 33.950.139 euro in un anno. Oltre 34 milioni stimati a cui però devono essere aggiunti, scrive la prefettura, i costi vivi: tra gli altri, i servizi di trasporto (spese di carburante, noleggio o acquisto di mezzi), i costi per l’assistenza sanitaria, le utenze, il wi-fi, la manutenzione ordinaria e straordinaria.

Non sono poi incluse le spese per la sicurezza delle autorità, italiane e albanesi, che non sono note nemmeno per le strutture italiane, né per la costruzione, affidata al genio militare.

E i diritti?

Se per la somministrazione dei pasti e il servizio di pulizia gli allegati sono molto dettagliati, non è chiaro come vengano garantiti i diritti fondamentali. Per il servizio di informazione e orientamento legale infatti si legge: «Il servizio assicura l’informazione allo straniero», senza però specificare le modalità con cui il migrante viene a conoscenza dei propri diritti.

E nessun riferimento al diritto di difesa della persona che, privata della libertà personale, rischia di essere rimpatriata. Il business di trattenimento ha infatti trovato una nuova frontiera in Albania, dove i centri – uno sarà di fatto detentivo – saranno gestiti da società, cooperative o multinazionali, come accade per i Cpr italiani. Enti profit che non hanno alcun fine umanitario e che spesso limitano al massimo i diritti per aumentare il margine di profitto.

La procedura

Il regime d’eccezione è evidente in ogni aspetto, a cominciare dalle modalità di affidamento di questi centri: una procedura negoziata, senza gara, dal valore complessivo di quasi 34 milioni di euro, con scadenza per presentare la manifestazione di interesse a una settimana esatta dalla pubblicazione. Le procedure per affidare un campetto di calcio di quartiere finiscono per essere più lunghe e complesse rispetto a una gestione oltremare di centri dal valore di milioni di euro.

D’altronde, il nuovo codice dei contratti pubblici permette di attivare la “procedura negoziata” senza la fase preliminare di pubblicazione del bando di gara, in casi specifici e tassativi. L’avviso pubblicato dalla prefettura di Roma, il 21 marzo, nulla dice sui “motivi” che hanno condotto l’amministrazione ad attivare questa procedura, se non per un generico riferimento alle «ragioni di estrema urgenza sussistenti» che – anche stando al gioco del governo Meloni – non sono sicuramente frutto di «eventi imprevedibili», come prevede il codice.

Le stesse ragioni di «urgenza» che sembrano essere state utilizzate dall’amministrazione anche per ridurre all’osso i tempi di pubblicazione dell’avviso, danno meno di sette giorni ai possibili enti gestori per presentare le proprie manifestazioni di interesse. In ogni caso, sembra rimanere illegittima questa procedura negoziata con riferimento all’ammontare dell’affidamento: 34 milioni di euro sono una somma che supera, di gran lunga, le soglie previste per la procedura d’eccezione.

Basti pensare che il nuovo codice dei contratti pubblici prevede la procedura negoziata senza bando, previa consultazione di almeno cinque operatori economici, per i lavori di importi inferiori a 1 milione di euro. In questo caso, con un importo 34 volte superiore si prevede di consultare solo 3 operatori economici, che saranno invitati a presentare le offerte.

L’unica modalità per ritenere legittima questa procedura è appellarsi al fatto che il protocollo stipulato con l’Albania rientri nell’ambito di un «accordo internazionale, concluso in conformità dei trattati dell’Unione Europea». Ciò, infatti, permetterebbe di derogare completamente al codice dei contratti pubblici, come prevede l’articolo 56. Ma è problematico capire se questo protocollo sia stato effettivamente adottato in adesione con il trattato comunitario.

Con procedure accelerate e una chiara sospensione dei diritti, il governo sta creando in fretta un’altra Guantanamo italiana, questa volta oltremare, dove il rischio è che nessuno possa monitorare.

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