C’è un punto in cui il confronto smette di essere una disputa tra schieramenti e diventa una domanda politica: che cosa significa essere una donna di destra al potere? È qui che parte, e finisce, il panel “Destra, sostantivo singolare femminile”, nel corso dell’evento di Domani – “Il Domani delle donne” –  alla Camera di Commercio di Roma.

Sul palco Mara Carfagna, già ministra dei governi Berlusconi, oggi segretaria di Noi Moderati, Maria Elena Boschi, già ministra del governo Renzi oggi capogruppo di Italia Viva alla Camera e Flavia Perina, giornalista, scrittrice e già direttrice del Secolo d’Italia.

A moderare Nicola Imberti, che apre con una provocazione: «Le battaglie per i diritti delle donne sono da sempre appannaggio del centrosinistra. È ancora così o c’è un femminismo di destra?». Il filo rosso è ambizioso: esplorare se esista un femminismo alla destra di questo governo oppure se la destra stia semplicemente sfruttando il linguaggio dei diritti come strumento di comunicazione, ovvero un pink-washing politico.

Donne e potere

Carfagna sceglie la via del pragmatismo: «Molti passi avanti sono arrivati da donne di destra, con il sostegno delle colleghe di sinistra». Ricorda la legge sullo stalking del 2008, «scritta e approvata in nove mesi», la doppia preferenza di genere, le quote rosa nei cda. «Il mio femminismo è meno fondato sull’attivismo e più sulla concretezza». La rivendicazione di un metodo, quasi un manifesto: «Le donne di destra si sono fatte largo con furbizia in un mondo machista, non ingaggiando battaglie frontali ma aggirando i codici maschili, lasciando giocare i maschietti da una parte e scalando le vette del potere dall’altra». È la “destra del fare” (del «centro nel mio caso», specifica la deputata) contro il «femminismo militante».

La replica, più politica, la firma Maria Elena Boschi. Non nega i risultati, ma sposta il baricentro sul piano simbolico e culturale. «Meloni è stata brava. Difficile dire il contrario. Ma ha vinto perché non ha messo in discussione il modello conservatore fondato sull’uomo».

E qui si apre il primo vero terreno di scontro: non sulla quantità di donne nei ruoli di vertice, ma sul modo in cui si esercita il potere. «Essere la prima donna a Palazzo Chigi non basta se poi si sceglie di farsi chiamare “il” presidente del Consiglio. Dire “la” presidente significa dire alle bambine che un giorno potranno farlo anche loro».

Educazione sessuo-affettiva

Non è solo una questione di linguaggio: è la grammatica del potere, quella che trasforma la presenza in rappresentanza. La frattura si allarga sul terreno dell’educazione sessuo-affettiva, dove l’attuale governo sta intervenendo per limitarne l’insegnamento nelle scuole. «Se negli stessi giorni in cui si approva la legge contro il femminicidio – avverte Boschi – si vota anche una legge che vieta l’educazione sessuo-affettiva, allora è un passo indietro. La vera prevenzione è culturale».

Su questo punto Carfagna tenta una mediazione: «Nel 2009 ho promosso io la prima campagna sull’educazione alla parità nelle scuole. Sul testo Valditara ho ottenuto l’impegno a escludere dai limiti i temi dell’uguaglianza e della violenza di genere». Ma Boschi non concede attenuanti: «Non si può migliorare una legge che nasce sbagliata. Se lasciamo la formazione affettiva solo alle famiglie, rischiamo di fare danno. I ragazzi imparano su internet, non a scuola».

Femminismo di governo

Nel mezzo del confronto, la voce di Flavia Perina, mette ordine e disincanto: «Meloni è una leader pragmatica. Ha scalato un partito maschilista senza scontri ideologici, portando Fratelli d’Italia dall’1,4% al 30%. Non ha mai cavalcato le battaglie più divisive, come quelle sull’aborto o sulla famiglia. Ha imparato dalla storia: la destra, quando si è messa contro i diritti, ha perso».

Un femminismo, dunque, “di governo più che di cultura”, che non sfida il proprio elettorato ma ne asseconda i limiti. Perina illumina anche la regressione: «Nel linguaggio pubblico della destra c’è una tolleranza crescente verso sessismo e volgarità. È un terreno che si accarezza, non si corregge».

Sul tavolo resta la questione destinata ad agitare piazze e parlamento nei prossimi giorni: il ddl Valditara contro l’educazione sessuo-affettiva. Ed è Maria Elena Boschi a riportarlo al centro nel finale del dibattito e lancia un appello alla presidente del Consiglio: «Penso che Meloni dovrebbe avere coraggio e dire “fermiamoci, non la facciamo”. Abbiamo bisogno di una società in cui si educa al rispetto e alla responsabilizzazione per la scuola». Un appello che è anche un promemoria: il potere al femminile, oggi, parla ancora al singolare.

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