Dopo l’intervento di Vera Gheno nel dibattito sull’educazione sessuo-affettiva in corso su Tempo pieno, interviene la coordinatrice della Commissione ministeriale per la revisione delle Indicazioni nazionali, la professoressa Loredana Perla
Egregio Direttore,
le chiedo diritto di replica all’articolo di Vera Gheno «Niente sesso, siamo studenti. Educare non è negare la complessità», per dire brevemente tre cose.
La prima è che Gheno ha fatto un’analisi linguistica su un testo superato.
Il lemma “patologia” era presente in una frase metaforizzata contenuta in una prima versione, poi emendata. Non è affatto vero, poi – lo dico da coordinatrice della commissione ministeriale incaricata di scrivere le nuove Indicazioni – che nei documenti programmatici il tema della sessualità non venga trattato. E anzi. A partire dalla scuola dell’infanzia, e con gradualità verticale sino alla scuola secondaria di primo grado, sono previsti precisi obiettivi di apprendimento che fanno esplicito riferimento alle differenze fra i sessi, alla conoscenza delle funzioni riproduttive e della sessualità, alla conoscenza degli apparati (anche) sessuali, ai rischi delle malattie sessualmente trasmissibili, allo sviluppo puberale.
Questi obiettivi specifici di apprendimento non solo sono prescrittivi (e, dunque, obbligatori) ma sono anche preceduti in premessa culturale da un paragrafo dal significativo titolo di “Scuola che educa alle relazioni, all’empatia e al rispetto della persona” laddove si fa riferimento a precise competenze socio-emotive senza le quali parole come sesso, sessualità e funzioni riproduttive risulterebbero amputate di quel senso educativo che dovrebbe connotarle in un contesto chiamato scuola.
Una seconda cosa che ci tengo a precisare è che un paragrafo dedicato all’empatia, alle relazioni e a un nuovo dialogo fra i sessi non era mai stato inserito prima di oggi in un testo ministeriale. È un assoluto inedito, anche per rafforzare la comprensione di un concetto: che una sessualità senza empatia, senza amore e senza rispetto reciproco non è precisamente il traguardo auspicabile della formazione scolastica.
Un’ultima cosa vorrei dirla a proposito del consenso informato.
Il tema dell’educazione sessuale e socio-affettiva a scuola tornava ciclicamente da decenni al centro di dibattiti tra diversi attori sociali in ragione del fatto che non lo si era mai affrontato con una prospettiva che chiarisse le responsabilità delle parti in causa. Il Ddl Valditara n.2423, “Disposizioni in materia di consenso informato in ambito scolastico” ha riordinato una materia delicata secondo una visione finalmente umanistica e coerente, al di là degli interessi particolaristici, col principio costituzionale di cui all’art. 30 secondo il quale “È dovere e diritto dei genitori istruire ed educare i figli”, al quale si ispira ampia parte della normativa scolastica.
Il primo impatto del dispositivo sta nell’aver creato le condizioni per consolidare la stretta cooperazione fra famiglie e scuole nel valutare – insieme – contenuti e professionalità deputate a svolgere i corsi di educazione sessuo-affettiva. L’intervento normativo, dunque, si è inserito pienamente nel quadro degli strumenti di partecipazione delle famiglie e degli studenti alla vita scolastica, in un’ottica di corresponsabilità educativa. Il tutto nel rispetto – lo ripeto perché trattasi di elemento strumentalmente sottaciuto da alcuni opinionisti “di parte” – del primato educativo delle famiglie, della libertà di insegnamento degli insegnanti e dell’autonomia delle scuole.
In tale triangolazione tutti i soggetti rivestono un ruolo strategico per il potenziamento dell’educazione sessuo-affettiva. Un ruolo fondamentale lo hanno gli insegnanti cui è demandato il compito di affrontare il tema nel curricolo di scuola che prevede, come indicato nelle Linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica e nelle nuove Indicazioni nazionali, precisi obiettivi di apprendimento sul tema di sessualità, riproduzione, prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili, contrasto alla violenza di genere.
Un ruolo fondamentale lo hanno le famiglie chiamate a esprimere un "consenso informato preventivo” nel valutare le proposte di attività extracurricolari e inscritte nell’ampliamento dell’offerta formativa che mettono a tema approfondimenti mirati.
Il Ddl precisa, però, che la partecipazione di soggetti esterni alle attività formative dovrà essere subordinata alla deliberazione del Collegio dei docenti e all’approvazione del Consiglio di istituto i quali definiranno i criteri sulla base dei quali procedere alla comparazione e alla valutazione dei titoli e della comprovata esperienza professionale, scientifica o accademica nelle materie oggetto dell’intervento, nonché della coerenza con la finalità educativa e dell’adeguatezza al livello di maturazione ed età degli studenti. Questo vaglio critico favorirà, da parte degli Enti, l’elaborazione di proposte qualitativamente elevate e la selezione di professionisti qualificati. Il Ddl, dunque, lungi dal “cancellare” l’educazione sessuo-emotiva, rende più trasparenti le procedure di scelta di soggetti terzi che non potranno accedere ai corsi qualora privi dei requisiti di alta professionalità.
L’analisi di Gheno, stranamente, non ha rilevato tutto ciò che è parte, come è evidente, di un progetto educativo complesso: forse la scuola deve insegnare solo il sesso?
Risponde Vera Gheno
La professoressa Perla ha ragione: sul sito del Mim si trovano due versioni delle Indicazioni successive a quella dell’11 marzo 2025; nell’ultima, del 7 luglio, la frase «Questo tipo di educazione è qualcosa di più dell’alfabetizzazione emozionale: allena bambine e bambini a “capirsi” nella complementarità delle rispettive differenze e sviluppa sani anticorpi di contrasto di quella triste patologia che è la violenza di genere» si ferma a «differenze». Viene espunto qualsiasi accenno – patologico o meno – alla violenza di genere, che mi pare opinabile quanto parlarne come «triste patologia».
Sulla seconda questione, si parla di sessualità solo nel contesto delle malattie sessualmente trasmissibili e della riproduzione. Rispetto all’educazione alla sessualità in un’ottica costruttiva, e non solo come possibile veicolo di infezioni o a scopo procreativo, non si dice assolutamente nulla. Non si prevede alcuna trattazione del piacere o del desiderio, o più latamente dei corpi, al plurale, in relazione. «Sessi» appare solo nei sintagmi «patto fra i sessi» e «principali differenze tra i due sessi» (manca ogni riferimento a una visione più complessa del sesso biologico e della sua intersezione con l’identità di genere).
Sulla questione del consenso, dalla replica potrebbe sembrare che prima di queste Indicazioni a scuola potessero tenere corsi persone prive di un adeguato curriculum, quando criteri di selezione – piuttosto rigidi – sono sempre esistiti. Il riferimento al «primato educativo delle famiglie», infine, pare non tenere conto del problema reale, assai diffuso, delle famiglie che non hanno gli strumenti per giudicare quanto si intenderebbe insegnare a scuola.
Nel complesso, continuo a giudicare criticamente i documenti analizzati e no, non penso che la scuola dovrebbe insegnare solo il sesso (in retorica questo verrebbe chiamato “argomento fantoccio”, dato che è un’affermazione che personalmente non ho fatto e che non ritengo deducibile dalla mia analisi); rilevo, piuttosto, che il Mim sembra preferire che di sesso a scuola si parli il meno possibile, e sicuramente non fuori dai canoni dell’eterosessualità.
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