L’Italia è un paese che appare insieme sessuomane e sessuofobo. Si prendano, su suggerimento della sociologa Graziella Priulla, le parole per offendere le donne (che ruotano attorno al campo semantico della prostituzione), soprattutto se confrontate con quelle riservate agli uomini (offesi o per via indiretta, tramite riferimenti ai comportamenti sessuali delle loro donne, come nel caso di “figlio di”, “tua sorella” o anche “cornuto”, o con la devirilizzazione, ossia i riferimenti all’omosessualità).

Solo questa osservazione dovrebbe mostrare l’urgenza di intervenire sulle giovani generazioni illustrando loro la sistemicità di forme di oppressione che nella lingua si concretizzano e si cementano. Ma in un mondo in cui per le giovani generazioni è naturale parlare di identità di genere, e superare il binarismo biologico dei sessi maschile-femminile, come risponde la scuola, o meglio il ministero dell’Istruzione e del merito? A quanto pare, negando l’esistenza stessa della complessità: togliendo ogni riferimento al sesso e alla sessualità dai suoi documenti programmatici.


Le parole dei documenti del Min, un’analisi

Abbozziamo un’analisi delle parole usate in tre documenti; il primo è intitolato “Nuove Indicazioni 2025 per la Scuola dell’Infanzia e primo ciclo di Istruzione” (11 marzo 2025). Nel paragrafo "Scuola che educa alle relazioni” si legge: «Rispetto è, infine, oggi, l’obiettivo di un’educazione alle differenze di genere […]. Questo tipo di educazione è qualcosa di più dell’alfabetizzazione emozionale: allena bambine e bambini a “capirsi” nella complementarità delle rispettive differenze e sviluppa sani anticorpi di contrasto di quella triste patologia che è la violenza di genere. È necessario un profondo lavoro educativo da iniziare a scuola: un’educazione del cuore che crei occasioni didattiche di esperienza di sentimenti basilari come la fiducia, l’empatia, la tenerezza, l’incanto, la gentilezza. […] E questo è anche il tempo in cui il diritto ad autodeterminarsi come donne, conquista del Novecento, possa finalmente giovarsi dell’impegno istituzionale alla costruzione di un nuovo patto fra i sessi da far fiorire con matura consapevolezza nelle aule delle scuole e, possibilmente, entro gli anni del primo ciclo di istruzione».

Si parla di rispetto, certo, di alfabetizzazione emozionale, che suona bene pur essendo in linea di massima un’espressione vaga; si parla di bambine e bambini e di complementarità, come se i sessi, rigorosamente due, si dovessero completare a vicenda.

Altre possibilità non sono contemplate: maschi e femmine come pezzi del puzzle che si incastrano a vicenda.

Dematerializzare il sesso

Ma il meglio arriva dopo, con il riferimento alla triste patologia della violenza di genere. È un modo per negare l’esistenza di un sistema sociale e culturale che porta, in non pochi casi, a manifestazioni violente soprattutto, ma non solo, nei confronti delle donne. Chi è violento, dunque, soffrirebbe di una psicopatologia, sarebbe una mela marcia in una società che, di conseguenza, non ha colpe nel modo in cui educa le persone.

Dal patto tra i sessi, poi, manca qualsiasi riferimento al sesso: affettività, gentilezza, onestà, amore: tutto dematerializzato, come se qualsiasi riferimento alla passione, al desiderio, all’eros fosse troppo “basso” per venire affrontato a scuola. Il sesso si praticherà, forse, un giorno, ma non se ne deve parlare a scuola (e forse anche fuori dalla scuola).

Le parole sesso e sessualità non vengono menzionate nell’intero documento. I sessi nominati sono ovviamente due, nel pieno solco della tradizione binaria.

Negare la relazione tra i corpi

Nella sezione dedicata alla scuola dell’infanzia, là dove si parla di corpo e movimento, tra le competenze attese c’è «Riconoscere i segnali e i ritmi di funzionamento del proprio corpo, le differenze sessuali e di sviluppo», che per la scuola primaria si evolve in «Maturare un corretto e completo schema corporeo e saper riconoscere le principali differenze sessuali e di sviluppo e i segnali del proprio stato di salute». E con questo, il riferimento alla sessualità risulterebbe coperto. Cenni di anatomia e di fisiologia, senza alcuna compenetrazione con l’educazione alle relazioni. Una strana dicotomia, dalla quale viene lasciato fuori l’ambito delle relazioni tra i corpi.

Il secondo documento è “Linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica” (7 settembre 2024). Anche qui non compaiono le parole sesso, sessualità e perfino genere. Si trovano indicazioni simili a quelle presenti nel documento precedente; in particolare nella sezione “Il corpo e il movimento” leggiamo che si «offre lo stimolo alla scoperta del sé corporeo, proprio e altrui, che richiede cura, attenzione, rispetto, a partire dalla corretta alimentazione e da un’adeguata igiene per arrivare all’assunzione di comportamenti a tutela della propria salute e sicurezza»; questo, in uscita dal triennio dovrebbe portare a «un positivo rapporto con la propria corporeità», e a una consapevolezza «dell’importanza di un’alimentazione sana e naturale, dell’attività motoria, dell’igiene personale per la cura della propria salute». La corporeità è tutta declinata sulla questione igienica e alimentare, senza alcun riferimento, ancora una volta, alla sessualità. Nelle indicazioni per il ciclo scolastico successivo, anche questi pochi riferimenti al corpo scompaiono, come se l’istruzione a scuola dovesse essere completamente mentalizzata, disconnessa dalla vita dei corpi delle giovani persone che la scuola la frequentano.

Consenso informato

Il terzo e ultimo documento è il DDL n° 2423 “Valditara” (“Disposizioni in materia di consenso informato in ambito scolastico”, 23 maggio 2025). A onor del vero, in questo testo compare, finalmente, la parola “sessualità”, ma con una finalità ben precisa, dato che si intende introdurre un obbligo al «consenso informato preventivo delle famiglie o degli studenti maggiorenni, in relazione alle eventuali attività scolastiche riguardanti il tema della sessualità».

Vuol dire, in poche parole, che per affrontare il tema della sessualità a scuola occorre che le famiglie visionino preventivamente il materiale proposto, potendo ovviamente negare il consenso alla realizzazione di quanto pianificato. La supposta tutela del corpo studentesco (o forse del corpo degli e delle studenti!) passerebbe dall’avallo dei genitori, evidentemente elevati a massimi esperti sull’argomento. Penso alle migliaia di giovani che incontro ogni anno nelle scuole, e a quante e quanti trovano supporto, comprensione, guida e sollievo in quanto viene loro insegnato in quell’ambito su temi che per i genitori sovente sono o troppo pruriginosi, o proprio fuori dalla loro portata epistemica. Se è vero – ed è vero – che le giovani generazioni, su questi temi, sono infinitamente più avanti delle generazioni precedenti, qual è la ratio di questo provvedimento?

L’idea alla base sembra quella di perpetuare una visione tradizionalista delle relazioni umane, costringendo ai margini tutte quelle che non sono canoniche: ancora una volta, anche senza nominarla, la “famiglia naturale” diventa l’unica concepita e concepibile. Rimane fuori tutto il resto: le relazioni non eterosessuali, alla pari di qualsiasi interrogativo riguardante l’identità di genere propria e altrui; come se si diventasse queer per osmosi, come se nascondere la complessità dell’essere umano non nominandola equivalesse a eliminare il problema alla base.

L’ingiustizia ermeneutica

Sapete che cos’è l’ingiustizia ermeneutica? La descrive la filosofa Miranda Fricker: è negare alle persone gli strumenti cognitivi e linguistici per comprendere la loro esperienza esistenziale. L’intento presente in queste indicazioni, per quanto mi riguarda, appare – volontariamente o meno – non fornire alle giovani menti gli strumenti per comprendere il proprio sé, la propria identità di genere e la propria sessualità, nella speranza che, non nominandola, la complessità (che per molte persone è semplicemente “confusione”) scompaia. Ma non nominare la complessità non la fa scomparire. Casomai, la rende ancora più difficile da comprendere.

© Riproduzione riservata