«Sono grato per il vostro supporto, finalmente sono fuori». Quando Domani lo raggiunge telefonicamente attraverso il cellulare della fidanzata, la voce di Patrick Zaki è quella di un ragazzo esausto, probabilmente stordito dall’accelerazione che la sua vicenda giudiziaria ha vissuto nelle ultime ventiquattr’ore. Stanco ma felice.

E riconoscente, tanto da non dimenticare di ringraziare per il loro sostegno l’Università di Bologna, Amnesty International e tutti gli amici della campagna Patrick Libero.

Dopo gli abbracci e le prime foto che faranno rapidamente il giro del web, sale sull’auto che lo porterà da Mansoura verso il Cairo.

Sull’ottovolante

Sono ore concitate e Patrick dice di sentirsi ancora molto confuso per quello che è successo all’improvviso. Non sa cosa ne sarà del suo futuro, né sa cosa aspettarsi dalla prossima udienza del processo a suo carico, fissata per il primo febbraio.

In macchina con lui c’è anche la sorella Marise. «Appena l’ho incontrato fuori dal commissariato non sono riuscita a dire una parola. L’ho abbracciato e basta», racconta. «Dopo tanto tempo, ho visto mia madre respirare di nuovo».

Neppure i familiari del ricercatore, ammette, si aspettavano il rilascio. «Siamo ancora tutti sull’ottovolante. Stiamo andando nella nostra casa del Cairo e passeremo lì la prima notte con Patrick finalmente a casa».

La liberazione

Il giovane ricercatore è stato rilasciato dalla stazione di polizia locale della cittadina sul delta del Nilo ventiquattro ore dopo la decisione del giudice monocratico di Mansoura di scarcerarlo in attesa della ripresa delle udienze.

Erano circa le tre del pomeriggio, le due in Italia, quando Patrick è uscito. Indossava la stessa tuta bianca – quella dei detenuti in attesa di giudizio – esibita all’udienza di martedì, aveva i capelli raccolti in una coda e l’espressione felice mentre in mano reggeva il sacchetto dei vestiti che la famiglia gli aveva preparato.

Ad attenderlo la madre, la sorella, la fidanzata e un’amica di famiglia. Lunghi abbracci e molte foto rilanciate sui social anche da Eipr, l’Egyptian Initiative for Personal Rights, l’organizzazione per cui Patrick collaborava e di cui fa parte il suo team legale.

Forza Bologna

«Sto bene, sto bene», ha ripetuto all’uscita prima di salire sull’auto accompagnato dal solito «Forza Bologna».

E poi, prima di entrare nella sua casa di Mansoura l’abbraccio più toccante, quello con il padre. Nemmeno lui riesce a contenere la gioia. Da ieri parla con una voce diversa rispetto a quella dei mesi precedenti. È squillante, piena.

«Se sono contento? Certo che lo sono, Patrick è qui!». Proprio dalle pagine di questo giornale, lo scorso anno, George Zaki aveva lanciato un appello all’allora presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte. Chiedeva al governo di fare qualcosa sapendo che non avrebbe potuto passare il Natale copto (che cade il 7 di gennaio) senza suo figlio. Quest’anno, invece, Patrick sarà a casa. E la famiglia Zaki celebrerà insieme la ricorrenza, quando forse non ci sperava più.

«È una gioia indescrivibile», conclude. «Io rimarrò a Mansoura per ora, mentre Patrick sta già andando al Cairo. È giusto che si prenda il suo tempo dopo tutti questi mesi passati in carcere». «Ora Patrick ha bisogno di riposare e di capire cosa gli sia successo», conferma Marise. «Quello di cui sono certa è che i miei genitori torneranno a vivere».

Le incognite giudiziarie

Le ventiquattro ore che sono passate tra la decisione del giudice e la sua liberazione sono state caratterizzate dal rincorrersi di notizie contraddittorie. Sino alla tarda mattinata non era chiaro quando sarebbe avvenuto il rilascio, né se Patrick sarebbe stato liberato al Cairo o a Mansoura.

Dopo la decisione del giudice, Zaki era stato portato nell’ufficio della National Security Agency per firmare i documenti di routine del rilascio. Poi altre ore di incertezza sino alla comunicazione, in mattinata, che il giovane ricercatore si trovava alla seconda divisione del commissariato di Mansoura e che dunque sarebbe uscito direttamente da lì. Una procedura eccezionale visto che di solito in questi casi il rilascio dei detenuti avviene dal carcere di Tora.

«Sono molto contento per quello che è successo, finalmente Patrick dormirà su un materasso e non sul pavimento», dice Mohammed Hazm, amico di Patrick e attivista della campagna Patrick Libero.

«A livello dell’iter giudiziario non sappiamo cosa succederà. La cosa positiva è che il procuratore non ha fatto ricorso per la scarcerazione ma su quello che succederà alla prossima udienza del primo febbraio resta l’incognita».

«Ora noi della campagna ci prenderemo qualche giorno per un po’ di riposo», dice Hazm. «Dobbiamo riorganizzarci e continuare a premere affinché Patrick possa tornare a Bologna e libero da qualsiasi accusa».

Le accuse

Ma dal punto di vista giudiziario, la situazione resta molto complicata. Se nel processo le accuse sono di «diffusione di notizie false e diffusione di terrore tra la popolazione» sulla base principalmente di un articolo che racconta la situazione della minoranza cristiano copta del paese, nel fascicolo dell’inchiesta ci sono altre accuse ancora più gravi.

Sono le accuse per istigazione al terrorismo basate su 10 post di facebook che erano state formulate al giovane ricercatore subito dopo il suo arresto il 7 febbraio del 2020.

Post che la difesa ha sempre definito falsi e su cui i legali, su proposta dello stesso Patrick, hanno chiesto una perizia informatica del pc del giovane ricercatore per dimostrare che lui non è il vero autore di quei post.

Quelle accuse non sono mai state archiviate ufficialmente e potrebbero finire in un nuovo processo, oppure lasciare aperte le indagini anche nel caso di un’assoluzione o di una condanna leggera nel procedimento giudiziario che è già in corso.

Intanto, resta da capire se il tribunale per i reati minori di Mansoura accoglierà le richieste fatte dalla difesa – un teste e alcuni verbali di un processo civile – che permetterebbero di dimostrare che l’articolo firmato da Patrick su el-Darraj non contiene notizie false.

E poi se verrà accolto il video delle telecamere di sorveglianza dell’aeroporto del Cairo, il giorno dell’arresto del ricercatore, che proverebbero che l’arresto è avvenuto al Cairo e non a Mansoura come sostenuto invece nel fascicolo delle indagini.

Tre scenari possibili

«Ci sono tre scenari», conclude Hazm. «Il primo è l’assoluzione completa; la seconda possibilità è che riceva una condanna pari ai 22 mesi che ha già scontato in detenzione preventiva. La terza è la peggiore: ossia che riceva una pena più lunga e che quindi debba tornare in carcere. Ovviamente nessuno di noi sa cosa aspettarsi».

Nessuno lo sa, nemmeno Patrick. A tutto questo, però, il giovane, i suoi familiari e il team della difesa avranno tempo di pensare a partire da domani. Oggi è il giorno del sollievo e degli abbracci.

© Riproduzione riservata