«È il tempo in cui viviamo ma io non mi fermo davanti a nulla». Egle Doria ha cinquant’anni, attrice, attivista di Famiglie Arcobaleno e madre di Marina che di anni ne ha 9, unita civilmente con Maria Grazia che ama da 12 anni. A Domani racconta l’aggressione subìta al Pride Village di Catania. Il tono è fermo, lucido. Giovedì pomeriggio un uomo è entrato nella sede della Cgil, dove si tenevano una serie di letture per bambini e ha insultato Egle, spintonandola davanti ai bambini. Prima le urla, poi l’aggressione fisica ma lei non si è scomposta. «Sono rimasta ferma. Sobria. Per loro. Per i bambini». Parla mentre si trova in questura per denunciare l’aggressore: «Ci metterò la faccia come sempre. Anche domani al Pride di Catania. Se pensano di fermarci, hanno sbagliato persona».

Può raccontare cosa è successo?

«Eravamo al Pride Village verso le quattro. Come ogni anno, organizziamo eventi per i bambini di Famiglie Arcobaleno. Stavamo per iniziare un laboratorio di letture quando è arrivato un uomo. Ha puntato il dito sulla nostra maglietta con la scritta “Genitori omosessuali”. Legge ad alta voce, rispondo “Sì, esatto”. Pensavo volesse chiedere informazioni, invece mi ha messo le mani sul petto con forza e ha cominciato a urlarmi in faccia: “Questi sarebbero genitori? Fate schifo. Come fate i figli? Nella Costituzione non c’è scritto che possono esistere due mamme o due padri. Dovete andarvene dall’Italia!”».

Ha avuto paura?

«Sono rimasta lucida, ferma. Davanti a me c’erano i bambini. Quando lui urlava più forte, anch’io ho alzato la voce. Poi sono arrivati i ragazzi del Comitato Pride che lo hanno cacciato. Subito abbiamo ricominciato il laboratorio, per far star bene i bambini e far loro dimenticare».

E sua figlia?

«Marina ha nove anni ed era presente. Lei è consapevole di cosa significhino questi attacchi. Sa benissimo che dobbiamo essere in piazza anche per questo. È la prima a difendere la sua famiglia. Ma quello che è grave è che quell’uomo, chiaramente mosso da una matrice cattolica integralista, ha detto parole oscene di fronte a questi bambini che hanno sentito tutto. Le parole tagliano più dei coltelli. Restano. E fanno male, soprattutto quando vengono da adulti che mettono in discussione la loro famiglia. Perché loro lo sanno benissimo chi è la loro famiglia. Ma chi le discrimina, chi le fa sentire “meno”, le ferisce profondamente. Quest’uomo, che si dice tanto preoccupato dei bambini, avrebbe dovuto fermarsi di fronte a quei bambini. Invece ha urlato insulti davanti a loro. Che difesa dell’infanzia è questa? In questo momento sto per sporgere denuncia».

È la prima aggressione fisica che subisce?

«Sì, è la prima volta. Ma da quando sono in Famiglie Arcobaleno so che tutto può succedere. Non mi fermerò. Il nostro impegno è creare luoghi sicuri per i nostri figli, e il Pride Village lo è sempre stato. A Catania ci sono stati attacchi omofobi, come scritte fasciste sull’Arcigay e aggressioni. Ma è la prima volta in un contesto così pubblico. La solidarietà nei miei confronti è stata enorme».

A cosa lega questo episodio?

«C’è un clima che si respira. Queste persone si sentono legittimate da ciò che leggono e ascoltano, soprattutto sui social, non credo che comprino i giornali. C’è una narrazione omofoba che parte dalla politica e che rafforza tutto questo. È un dato di fatto. Abbiamo un elenco, solo nell’ultimo anno, di attacchi contro la nostra comunità: le dichiarazioni di Sasso (deputato della Lega), la legge Varchi contro la gestazione per altri, la sentenza della Corte Costituzionale che riconosce due madri, disattesa».

Perché disattesa?

«A Catania il sindaco è assente. L’ufficio dello Stato civile dice di “aspettare direttive ministeriali” per i riconoscimenti, direttive che non arriveranno mai. Nel nostro caso, dal 2019 abbiamo un riconoscimento annotato, ma l’estratto dell’atto di nascita riporta solo me come genitore. Le carte d’identità? Non ci sono. Abbiamo solo il passaporto con i due nomi. Con questa amministrazione è impossibile dialogare».

Con che spirito scenderà in piazza domani per il Catania Pride?

«Non ho paura. So che qualunque cosa succeda non ci fermerà. Sono pronta a tutto per i diritti di mia figlia e per difendere le nostre famiglie. Mi preoccupa che episodi come questo si ripetano, forse più violenti. Le parole restano, ma spero che anche lei impari a lottare per i suoi diritti».

Il suo sta diventando un caso nazionale e la politica a Roma resta silente. Da madre si aspetta solidarietà dalla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni?

«Mi aspetterei dei fatti, non parole. Vorrei chiedere alla presidente Meloni: la smettiamo di permettere che i nostri figli vengano feriti? I nostri figli sono figli di cittadini come tutti gli altri. I bambini hanno tutti gli stessi diritti. Vogliamo smetterla di impedire che nelle scuole si possa parlare di affettività? Di rispetto per tutte le identità? Non sarebbe migliore, così, questo mondo? Che vivano la loro di famiglia. Ma che fastidio dà la nostra? Perché continuare a dare strumenti a persone ignoranti per compiere atti come quello di ieri?».

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