Nel 2002, quando nacque la prima figlia di Maria Silvia Fiengo e della sua compagna Francesca Pardi, non esisteva niente. Nessun riferimento istituzionale, nessuna legge, nemmeno un libro per bambini che le raccontasse. Solo una mailing list e il coraggio di inventarsi tutto da zero. Nel 2015, Claudio Capocchi e il suo compagno Stefano tornano dagli Stati Uniti con due gemelli nati da gestazione per altri, pronti ad affrontare un’Italia cambiata, ma ancora profondamente divisa.

Il racconto di queste due storie intrecciate – una femminile, l’altra maschile – descrive l’arco di esistenza di Famiglie Arcobaleno, l’associazione che dal 2005 dà voce, protezione e rappresentanza politica ai genitori Lgbq. Un percorso collettivo, ma soprattutto intimo, che ha inciso nel tessuto culturale del paese, scontrandosi con ostilità istituzionali, stereotipi antichi e resistenze morali.

I figli delle coppie omosessuali sono fortemente voluti, nascono da pensieri lunghi, gravidanze della mente che durano anni. È quello che raccontano entrambi: il figlio nella mente di gay e lesbiche staziona a lungo. Poi si prende coraggio, si va: ci si informa sulle tecniche di procreazione, ci si organizza. Si inizia a tessere una rete di pensieri e premure, ma anche paure. Ci si interroga su che cosa sia la famiglia, sui ruoli genitoriali, sull'educazione, sull'accoglienza, sulla scuola, sulla società, sullo stigma, sui pregiudizi.

una necessità, ma anche una sfida

«Nostra figlia è nata nel 2002», ricorda Fiengo, tra le fondatrici dell’associazione, «e ci sono voluti sette anni di studio. Ci siamo dovute inventare tutto. Il primo impulso fu quello di cercare altre famiglie. Eravamo tre coppie, poi siamo diventate qualcuna in più, ci siamo date appuntamento per una vacanza e da lì è nata l’idea di creare qualcosa». Quel qualcosa diventa una rete informale, poi un’associazione. Una necessità e una sfida: «Non volevamo emigrare a San Francisco o Amsterdam senza prima provarci qui. Dovevamo dare una spallata, conquistare un posto».

I primi anni sono caratterizzati da stupore, più che da ostilità: «Anche nei contesti conservatori c’era un atteggiamento di curiosità, non apertamente ostile. Poi è arrivata la polarizzazione». La discussione sulle unioni civili, le campagne contro la Gpa, l’irruzione della retorica “gender”. E il ritorno di antichi pregiudizi mascherati da battaglie femministe: «Pensare che la forza delle donne sia nell’utero è una condanna», dice oggi Fiengo. «È un finto femminismo. Se vuoi essere femminista, devi partire dall’uguaglianza».

Nel frattempo, Claudio Capocchi e Stefano Prandoni decidono di diventare genitori. «Nel 2013 abbiamo iniziato a studiare, leggere tutto quello che si poteva sull’omogenitorialità. L’anno dopo siamo andati negli Stati Uniti. I gemelli sono nati nel 2015». Quando tornano in Italia, però, il rifiuto è netto: «Il Comune di Milano non trascriveva i certificati di nascita. Dicevano che due gemelli non possono avere due padri diversi. Abbiamo dovuto ricorrere in tribunale. Per 18 mesi, i nostri figli hanno avuto solo il passaporto americano».

La battaglia legale si conclude con il riconoscimento, ma la strada è ancora lunga. «Abbiamo dovuto spiegare tutto: la sentenza californiana, la storia con Vanessa, la donna che ha portato avanti la gravidanza. Ma è stato faticoso. Nessuno rubava figli alla madre, nessuno veniva sfruttato. Ma questa narrativa non trova spazio». La Gpa, spiega Capocchi, «è il punto più divisivo. Tocca corde profonde, radicate nella cultura patriarcale. Ma dovremmo conoscerle, queste storie. Senza moralismi, senza pregiudizi».

La società, intanto, cambia a velocità diverse. «I nostri figli vanno a scuola, partecipano ai campi estivi, giocano nei parchi. Non abbiamo mai avuto episodi di discriminazione aperta», racconta Capocchi. Ma c’è qualcosa di più sottile: «Un giorno, al pronto soccorso, una giovane dottoressa dà una medicina a mia figlia esordendo: “Devi dire alla mamma”. E lei: “Io non ho una mamma, ho due papà”». Basta quel gesto per misurare la distanza tra la realtà e le aspettative sociali.

spianare la strada

Famiglie Arcobaleno, nel frattempo, è cresciuta. La casa editrice “Lo Stampatello”, fondata da Fiengo e Pardi, pubblica libri che illuminano una realtà bollati come “propaganda gender”. «Volevamo solo dei libri per i nostri figli», dice Fiengo, «non era un’operazione economica, ma un atto di sopravvivenza. All’inizio anche le associazioni cattoliche li compravano. Poi sono arrivate le crociate contro il gender».

E oggi? «È migliorato qualcosa», ammette Fiengo. «Alcuni diritti sono riconosciuti. Ma un diritto negato è un diritto affermato a metà. Potremmo perderli, questi diritti. E sui social è il Far West. Insulti, odio, campagne elettorali costruite contro di noi». Eppure, anche qui, uno spiraglio: «Tra i liceali è cambiato tutto. I ragazzi non si nascondono più».

Per Capocchi, i figli crescono portandosi addosso “un minority stress”, ma anche un’inedita consapevolezza: «Nostra figlia ha portato a scuola un album con le foto del nostro percorso, lo ha raccontato con naturalezza. I bambini arrivati dopo hanno trovato una strada spianata da lei». La sfida ora è culturale, spiega Fiengo: «La Gpa non è una gara di dignità. Non è più o meno etico di un’adozione. È un percorso possibile, con regole, con trasparenza, con rispetto. Ma bisogna voler ascoltare».

A vent’anni dalla nascita dell’associazione, Famiglie Arcobaleno resta un punto fermo in un paese che si muove a zig zag. Con una certezza, dice Fiengo: «Oggi esistiamo».

In occasione del ventesimo anniversario di Famiglie Arcobaleno stasera, giovedì 26 giugno, a Milano alle 21.10 al Pride Square - Lavater (lato Stoppani) Piazzale Lavaters ci sarà il talk organizzato Famiglie Arcobaleno all’interno Milano pride in media partnership con Domani.

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