Il tribunale amministrativo ha annullato la proclamazione degli eletti alle comunali del 2024, ordinando di votare di nuovo in 27 sezioni. Oltre 16mila cittadini saranno richiamati alle urne
A un anno dalle elezioni amministrative dell’8 e 9 giugno 2024, a Pescara è tutto da rifare. Con una sentenza articolata e dettagliata, lunga 96 pagine, il tribunale amministrativo regionale dell’Abruzzo ha annullato gli atti di proclamazione del sindaco e dei consiglieri comunali, disponendo la ripetizione del voto in 27 sezioni sulle 170 totali. Al centro della decisione ci sono irregolarità giudicate gravi: verbali mancanti, plichi manomessi, schede non tracciate, sigilli assenti.
Un numero di anomalie tale da compromettere la regolarità del voto e da superare, secondo i giudici, la soglia decisiva che aveva evitato il ballottaggio. La conseguenza diretta è che oltre 16mila cittadini pescaresi saranno richiamati alle urne. Intanto, gli atti sono stati trasmessi alla procura della Repubblica per la valutazione di eventuali profili penali.
Un’istruttoria lunga, tra richieste di verifica e riscontri oggettivi
Il contenzioso ha preso le mosse dal ricorso presentato da due cittadini, tra cui una candidata non eletta nella lista “Carlo Costantini Sindaco”, assistiti dagli avvocati Gianluigi Pellegrino e Luca Presutti. La richiesta: annullare o correggere l’esito del voto per presunti vizi e irregolarità in una parte consistente delle sezioni cittadine.
Fin da subito, il Tar ha disposto una serie di approfondimenti tecnici, affidando a verificatori esterni il compito di ricostruire nel dettaglio le operazioni di scrutinio. Le ordinanze preliminari hanno chiesto, per ogni sezione esaminata, di indicare con esattezza la quantità di schede autenticate, usate, non usate e presenti nei plichi. È in quel passaggio che emergono le prime incongruenze: in diverse sezioni, i numeri non tornano.
A distanza di mesi, i verbali di consegna non sono stati rinvenuti in oltre 150 sezioni; le liste elettorali risultano assenti in 14 casi. In 47 sezioni ci sono discrepanze tra schede autenticate, usate e restituite. In almeno due casi documentati, gli elettori avrebbero votato su schede prive di autenticazione, cioè senza timbro e firma del presidente: un’irregolarità grave, che rende invalido il voto e apre scenari di vulnerabilità sistemica.
Plichi manomessi, verbali assenti: cosa scrivono i giudici
La sentenza dedica ampio spazio alla valutazione dei riscontri materiali raccolti nel corso dell’istruttoria. In 21 delle 27 sezioni annullate, i plichi contenenti le schede e la documentazione elettorale risultano manomessi: sigilli mancanti, buste aperte o richiuse con mezzi di fortuna, timbri non riconducibili all’Ufficio centrale.
In alcune sezioni, le schede presentano timbri blu non ufficiali, oppure le buste sono state richiuse più volte, con nastro adesivo o senza le firme previste. Il Tar parla apertamente di «inadempienze serie», di «violazioni che superano i limiti della tolleranza» e di anomalie che rendono impossibile ricostruire con certezza l’effettivo svolgimento delle operazioni.
Per questo, il collegio ha deciso di trasmettere gli atti alla procura della Repubblica, precisando che, pur non essendo in grado di accertare un dolo specifico, la gravità delle violazioni riscontrate giustifica un approfondimento penale.
I problemi, tuttavia, non si fermano alla sigillatura. In numerose sezioni mancano interi verbali di consegna, registri dei votanti, o risultano differenze macroscopiche tra il numero delle schede autenticate, quelle utilizzate e quelle restituite. In alcuni casi mancano 284 schede autenticate; in altri ve ne sono 764 in più. In almeno due sezioni, è stato accertato che elettori abbiano votato su schede non autenticate.
Un ulteriore sospetto riguarda l’utilizzo della cosiddetta “scheda ballerina”, cioè schede regolari fatte uscire dal seggio, precompilate e poi reintrodotte attraverso altri votanti. I giudici amministrativi non affermano che tale meccanismo sia stato effettivamente utilizzato, ma ne riconosce la possibilità, aggravata dalla mancanza di controlli e documentazione tracciabile.
In alcune sezioni, la documentazione non è solo incompleta ma del tutto assente, o composta da materiali incongruenti rispetto a quanto verbalizzato. Anche il verificatore nominato dal tribunale, incaricato di controllare gli atti, in diversi casi ha ammesso di non poter ricostruire il numero effettivo di votanti o di schede autenticate. Il tribunale insiste su un principio chiave: non è sufficiente che il risultato numerico sembri corretto.
La validità democratica del voto si fonda sulla possibilità di verificarne la genuinità. Dove questa possibilità viene meno, scrivono i giudici, «l’incertezza assoluta» prevale su ogni altra considerazione.
Il margine minimo e la prova di resistenza
Il sindaco uscente Carlo Masci, sostenuto da una coalizione di centrodestra, era stato rieletto al primo turno con il 50,95 per cento dei voti: 31.535 preferenze contro le 30.952 richieste per superare la soglia della metà più uno. Uno scarto minimo, pari a 584 voti, sufficiente ad evitare il ballottaggio. Ed è proprio questo margine ridotto a rendere determinanti le irregolarità rilevate.
Il Tar applica il principio della “prova di resistenza”: se il numero di voti potenzialmente inficiati dalle irregolarità supera lo scarto tra i candidati, allora il risultato non è più considerato affidabile. In questo caso, i giudici ritengono che la soglia sia stata superata.
Da qui la decisione: annullare il voto nelle sezioni viziate, sospendere la validità dell’intero atto di proclamazione degli eletti, e richiamare gli aventi diritto al voto. Si tratta di circa 16.000 persone, pari a un sesto del corpo elettorale pescarese.
Masci annuncia ricorso, Costantini rivendica una «verità ripristinata»
Le reazioni politiche non si sono fatte attendere. Il sindaco Masci ha diffuso una nota durissima, in cui contesta «una sentenza distorta nei numeri e nelle conclusioni, non rispettosa della volontà popolare». Secondo il primo cittadino, «gli errori sono stati commessi dai presidenti di seggio e non hanno inciso sul voto espresso dai cittadini», e «il riconteggio ha confermato una vittoria piena in 163 sezioni su 170».
A suo dire, si è data rilevanza a «meri vizi formali di verbalizzazione», ignorando che «i voti veri non sono mai stati messi in discussione». Per questi motivi, ha annunciato ricorso al Consiglio di Stato. Di tutt’altra opinione Carlo Costantini, che ha definito la decisione «un passaggio obbligato per ristabilire la legalità». Con lui si sono espressi anche Luciano D’Alfonso (Pd) e Daniele Licheri (SI), che parlano di «una brutta pagina per la città», ma necessaria per «ripristinare una parziale verità».
Cosa succede adesso: urne riaperte, ma esito incerto
La sentenza del Tar lascia aperti diversi scenari. Il primo riguarda la tempistica: non è ancora stata fissata una data per il ritorno alle urne nelle 27 sezioni coinvolte. Fino ad allora, il sindaco e la giunta resteranno in carica solo per la gestione dell’ordinaria amministrazione e per gli atti urgenti.
Il secondo nodo è politico: l’eventuale nuovo voto potrebbe cambiare radicalmente la composizione del consiglio comunale e, se i numeri dovessero spostarsi oltre i 584 voti, rimettere in discussione anche la legittimità della vittoria al primo turno.
Infine, resta il terzo fronte: quello penale. La trasmissione degli atti alla procura potrebbe aprire nuovi fascicoli su responsabilità specifiche, a partire da presidenti e componenti di seggio.
La sentenza, intanto, impone un interrogativo più ampio sulla macchina elettorale: com’è possibile che, in una città capoluogo, nel 2024, si voti in condizioni tanto approssimative da impedire, come rileva il Tar, qualsiasi verifica postuma della regolarità del voto?
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