Con una sentenza inattesa il giudice dell’udienza preliminare di Milano, Ottone De Marchi, ha spostato a Brescia il primo troncone del procedimento «complotto Eni», che nella ricostruzione della procura sarebbe stato architettato per depistare i pubblici ministeri che indagavano su una presunta tangente da oltre un miliardo di dollari che sarebbe stata versata da Eni e Shell in Nigeria (tutti assolti nel primo grado del processo per corruzione).

La decisione cambia la prospettiva su Fabio De Pasquale, il procuratore aggiunto che insieme al sostituto Sergio Spadaro ha condotto il processo per corruzione internazionale sul giacimento nigeriano Opl 245. Quel processo, finito con un’assoluzione omnibus, ha finito per schiacciare i due magistrati che sono ora sul banco degli accusati a Brescia per rifiuto d’atto d’ufficio: avrebbero nascosto alcuni elementi favorevoli ai vertici dell’Eni sotto processo.

Pm indagato e vittima

De Pasquale adesso è allo stesso tempo indagato, perché avrebbe commesso un’omissione penalmente rilevante ai danni dei suoi imputati Eni, e vittima (quantomeno danneggiato, in gergo tecnico, se non proprio parte offesa) di oscure manovre ordite da personaggi con un passato all’Eni allo scopo di tenerlo lontano proprio dalla sua inchiesta madre. Fino al punto di renderlo inoffensivo e oggetto di una azione disciplinare del Csm nei suoi confronti: sarebbe stato proprio questo il fine di una nota firmata e presentata dai due avvocati dell’Eni (non indagati) nel marzo del 2017 all'ex capo della procura milanese Francesco Greco, contenente una falsa email creata ad arte e per gettare una pesante ombra sul magistrato, descritto come l’ispiratore della linea difensiva dell'avvocato Luca Santa Maria, legale al tempo dell’ex dirigente Eni, Vincenzo Armanna, allontanato dalla società nel 2013.

Armanna è imputato anche in questo troncone dell’inchiesta «complotto»: sarebbe la persona che ha inviato questa email dopo aver concordato il contenuto con Piero Amara, ex legale esterno Eni e considerato dalla procura l’organizzatore di questo depistaggio che vede tra i danneggiati De Pasquale oltre all'avvocato Luca Santa Maria. De Pasquale qualche mese prima della consegna della nota contro di lui aveva chiuso l’inchiesta Eni Nigeria e si sarebbe apprestato a chiedere il rinvio a giudizio per gli indagati. Un procedimento disciplinare in quel momento lo avrebbe messo fuori gioco.

Amara, peraltro, è anche l’uomo degli esposti alla procura di Trani del 2015, dove ha origine questa complessissima vicenda che è normalmente riassunta sotto la voce «complotto Eni», con varie manovre che miravano a sabotare il processo milanese per corruzione ai vertici dell’azienda. Questi depistaggi hanno inquinato anche la procura di Milano? L’ipotesi sorge considerando ciò che è successo non solo a Trani ma anche a Roma, dove la procura si è spaccata per le manovre di Amara così come è successo a Milano dopo le sue rivelazioni sull'esistenza della fantomatica loggia Ungheria che avrebbero portato il pm Paolo Storari ad abbandonare le indagini dopo aver consegnato all’allora consigliere del Csm Piercamillo Davigo i verbali di Amara. Su tutte queste vicende sarà ora la procura di Brescia a lavorare.

De Pasquale in questi giorni è all’attenzione anche dei funzionari Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), arrivati in Italia per la consueta revisione sul lavoro della nostra magistratura nell'ambito della Convenzione per il contrasto alla corruzione internazionale.

Le indagini a carico del pm milanese dopo la conclusione del procedimento nigeriano hanno destato in passato molti sospetti e lo scorso novembre 15 magistrati internazionali avevano firmato una petizione a favore di De Pasquale, sollevando dubbi sull’azione dei pm bresciani.

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