Fca ha commesso negli Usa una frode sui motori diesel paragonabile a quella della Volkswagen. Stellantis, che dopo la fusione Fca-Peugeot controlla FcaUs, ha ammesso che la sua filiale americana ha venduto tra il 2014 e il 2016 oltre 100mila veicoli dei marchi Jeep e Ram con motori diesel dotati di dispositivi illegali per aggirare i test sulle emissioni.

L’azienda ha accettato, in un accordo (settlement) raggiunto venerdì con il Dipartimento alla Giustizia statunitense, di pagare sanzioni penali per circa 300 milioni di dollari (poco meno di 300 milioni di euro) fra multa e rinuncia ai guadagni illeciti. In base alla sentenza, FcaUs sarà anche soggetta a un periodo di sorveglianza di tre anni e dovrà collaborare alle ulteriori indagini del governo Usa sulla materia.

La dichiarazione

Nel comunicato diffuso venerdì sera, Stellantis afferma che «FcaUS ha raggiunto un accordo che risolve un'indagine penale del dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti su 101.482 veicoli con motori diesel venduti negli anni dal 2014 al 2016. L'accordo, soggetto all'approvazione del tribunale federale degli Stati Uniti, include una dichiarazione di colpevolezza, una multa di 96,1 milioni di dollari e un’ammenda di 203,6 milioni di dollari sui guadagni derivanti dalla condotta». La decisione non ha conseguenze finanziarie, spiega Stellantis, in quanto l’azienda aveva già accantonato i fondi per pagare la sanzione.

Stellantis ricorda che «i reclami dei consumatori relativi ai veicoli in questione sono già stati risolti e non sono necessari ulteriori richiami». Nel gennaio 2019, in effetti, FcaUs aveva già raggiunto un accordo del costo complessivo (stimato a bilancio) di circa 750 milioni di euro per chiudere le cause intentate in sede civile dal Dipartimento di Giustizia Usa e quello della California nell'indagine sulle emissioni, e per risarcire gli acquirenti dei veicoli diesel.

Le accuse

Le accuse a Fca erano state sollevate per la prima volta nel gennaio del 2017 dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti. All’epoca, l’allora amministratore delegato di Fca Sergio Marchionne le aveva definite «stronzate allo stato puro» (unadulterated hogwash). Queste stronzate, alla fine, sono costate a Fca un miliardo di euro.

Una volta ratificato dal tribunale, l’accordo raggiunto da FcaUS chiuderà definitivamente il caso. Resta invece aperto negli Usa il processo contro tre manager italiani di Fca: Emanuele Palma, Sergio Pasini e Gianluca Sabbioni; questi ultimi hanno lavorato alla Vm di Cento sui motori diesel Fca di grossa cilindrata destinati al mercato Usa. La Vm è stata per anni una joint venture tra Fiat e General Motors, e dal 2013 è interamente controllata dalla prima.

Test alterati

Le accuse delle autorità Usa sono state ricordate in dettaglio venerdì in un comunicato e accettate da Fca nell’ammissione di colpevolezza. Kenneth Polite, vice avvocato generale della divisione penale del dipartimento alla Giustizia, ha affermato che «FcaUs ha agito per più anni per ingannare le autorità Usa e i consumatori».

Secondo i documenti presentati dalla corte, «FcaUS calibrava di proposito i sistemi di controllo delle emissioni (dei veicoli in questione) in modo da produrre durante i test quantità di Nox (ossidi di azoto) inferiori a quelli prodotti durante la guida in condizioni normali da parte dei clienti». Fca, insomma, ha utilizzato nei veicoli diesel proprio quei dispositivi illeciti (defeat devices) di cui ha sempre negato l’esistenza e che furono anche alla base della condanna di Volkswagen.

Gli altri

La sanzione a carico dell’azienda di Stellantis è nettamente inferiore ai quasi 3 miliardi pagati da Volkswagen in sede penale, soprattutto perché il numero di veicoli coinvolti è molto inferiore. Volkswagen aveva anche sostenuto costi enormi in sede civile e per i risarcimenti ai clienti, con un esborso complessivo (Europa compresa) stimato in oltre 30 miliardi di euro.

Le indagini avviate a tappeto in Europa sui motori diesel dopo la scoperta della frode Volkswagen sono in parte ancora in corso e coinvolgono Stellantis sia per la parte ex Fca che per quella ex Peugeot. Altri concorrenti sono ancora indagati, come Renault in Francia; la tedesca Mercedes nel 2019 ha accettato di pagare una multa da 870 milioni di euro per “violazione degli obblighi di sorveglianza”; la Bosch, fornitrice di centraline controllo motore per quasi tutti i costruttori, ha pagato oltre 300 milioni negli Usa ai clienti di Volkswagen e una sanzione di 90 milioni in Europa.

Campanilismo nei controlli

Le differenze nel trattamento dei motori diesel tra Stati Uniti ed Europa sono significative. I limiti Usa alle emissioni di ossidi azoto sono più severi; la normativa europea lascia inoltre ai costruttori margini di manovra notevoli, ammettendo ampie deroghe ai limiti sulle emissioni nocive in caso di rischi di danni ai motori. La ripartizione dei compiti di sorveglianza tra i vari paesi ha portato infine a una sorta di campanilismo in cui i singoli stati europei tendevano a “difendere” i propri produttori.

Per quanto riguarda la parte Fca, per esempio, le possibili irregolarità sui diesel erano emerse inizialmente in test condotti dalle autorità tedesche. È seguita una disputa fra Italia e Germania, con il governo italiano che, schierandosi dalla parte di Fca, ha rivendicato di essere l’unico possibile giudice della regolarità o meno dei motori omologati in Italia. Il risultato è che la Commissione UE ha inviato a Roma nel dicembre scorso una notifica per il mancato rispetto dell’obbligo di vigilare sulle regole di omologazione.

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