Piero Colaprico ha buttato robuste e giuste secchiate d’acqua sui facili entusiasmi e le polemiche sui nuovi sviluppi della famigerata vicenda di Garlasco. Ha saggiamente ricordato, da cronista di razza che conosce il codice e i tribunali, che c’è già una sentenza definitiva di condanna e un colpevole acclarato: l’algido biondino Alberto Stasi.

Tuttavia Colaprico ha anche il merito di aver ricordato il genere di prove per cui l’ex fidanzato di Chiara Poggi è stato condannato.

In particolare ha ricordato come in quel processo una prova del tutto neutra, se non addirittura favorevole all’allora imputato, e cioè la totale assenza di macchie ematiche sulla suola delle scarpe calzate da Stasi quando scopri il cadavere della fidanzata immerso in una pozza di sangue, sia stata rovesciata come elemento a suo carico.

Poiché non è possibile che egli non abbia calpestato alcuna traccia di materiale ematico, Stasi avrebbe consegnato agli inquirenti un diverso paio di calzature per ingannarli, e dunque egli è l’assassino.

Il bias «della conferma»

Un grande scienziato cognitivo, Daniel Khaneman, mezzo secolo fa scrisse un saggio fondamentale dimostrando gli errori di ragionamento della mente umana, le fallacie o bias, sorta di scorciatoie apparentemente logiche ma che in realtà sono espressione di errori e distorsioni mentali a causa dei quali inavvertitamente giudichiamo secondo pregiudizi e così commettendo errori. Il bias è la principale fonte degli errori giudiziari commessi dai giudici.

Colaprico forse non lo sa, ma egli è incorso (al pari dei giudici che condannarono Stasi) nel bias che Kanheman ha battezzato come quello «della conferma». Una specie di tic mentale per cui interpretiamo ogni elemento di conoscenza come una conferma di una decisione in realtà già presa e radicata pregiudizialmente.

Un esperimento giudiziale condotto insieme ad altre venti perizie di vario genere nel giudizio abbreviato di primo grado aveva concluso che, contro Stasi, non c’erano evidenze scientifiche di alcun tipo (dalle informatiche alle genetiche fino alle cognitive) capaci di dimostrarne la colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio. È stato assolto in primo e secondo grado, ma la corte di Cassazione, con una sentenza di reinterpretazione soggettiva dei medesimi fatti che per più giudici di merito non erano stati sufficienti a condannarlo, ha ordinato di rifare il processo. Non senza aver esplicitato che, per quei supremi giudici, “il biondino dagli occhi di ghiaccio” fosse il sicuro colpevole.

Un’atroce ingiustizia

E così Stasi è stato condannato nei successivi due processi in cui sono state assunte presunte nuove prove non meno dubbie di quelle di prima e rimasticature di quelle vecchie con una grave mancanza: pur essendo diversi i giudici, non sono stati nuovamente ascoltati i 19 esperti le cui consulenze e perizie avevano legittimato, in primo e secondo grado, l’assoluzione del ragazzo.

Soprattutto, i giudici popolari non hanno potuto sentirli con le loro orecchie. È stata una atroce ingiustizia perché in quegli stessi giorni le sezioni unite della Cassazione stabilivano una nuova prassi secondo cui non si poteva ribaltare una assoluzione in condanna in appello senza riascoltare nuovamente le dichiarazioni dei testimoni decisivi. E periti e consulenti erano da considerarsi testimoni e dunque andavano riesaminati se si voleva cambiare una sentenza di assoluzione.

È stata varata una apposita legge che, da allora, si applica a pena di nullità. Ma per Stasi era troppo tardi. Era già stato condannato in via definitiva quando questa elementare garanzia è stata introdotta. Non sappiamo se lui sia colpevole e non sappiamo se lo siano i nuovi indagati, ma, se è possibile esprimere un desiderio, ci auguriamo che non si commettano nuovi errori.

Stasi non poteva essere condannato perché semplicemente, dopo due assoluzioni, ogni processo si deve fermare. E insistere a trovare un colpevole significa solo aggiungere errore a errore. Qualcuno chieda scusa a Stasi e lo liberi. A qualcun altro mi auguro serva di lezione.

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