Saturnino Di Ruscio, presidente dell’ente regionale per l’abitazione pubblica, nominato proprio da Acquaroli, e candidato, primo dei non eletti nelle elezioni di cinque anni fa con il partito Fratelli d’Italia, ha scritto una lettera per far applicare la Severino al potente collega di partito, eletto in consiglio regionale. «Mi sono dimesso dall'ente, traditi i valori», dice. Una faida interna che preoccupa Roma
Nelle caselle di posta elettronica dei consiglieri regionali delle Marche è arrivata una missiva di due pagine, che Domani ha letto. Una lettera che racconta di una guerra strisciante dentro Fratelli d’Italia che riguarda i trascorsi giudiziari di un peso massimo del partito in regione, intimo amico del candidato e presidente uscente, Francesco Acquaroli. Mentre il campo largo fa i conti con l’indagine a carico di Matteo Ricci, l’ex sindaco di Pesaro è indagato per corruzione, nel centrodestra e nel partito meloniano deflagra il caso del consigliere regionale Andrea Putzu e la sua condanna definitiva. La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, sarà nelle Marche, la prossima settimana, dopo la visita, nei giorni scorsi, della sorella Arianna che ha parlato di Acquaroli come di modello di buongoverno. Iniziative politiche alle quali ha preso parte anche Putzu, considerato uno degli esponenti più influenti del partito in regione e anche tra i più votati. Il suo curriculum politico parla per lui. Con Acquaroli ha lavorato quando l’attuale governatore era alla camera dei Deputati, lunga esperienza di militanza, attualmente è anche presidente della commissione sviluppo economico e formazione. A rovinare la campagna elettorale è arrivata la lettera firmata da Saturnino Di Ruscio, presidente dell’ente regionale per l’abitazione pubblica, nominato proprio da Acquaroli, e candidato, primo dei non eletti nelle elezioni di cinque anni fa con il partito Fratelli d’Italia. Cosa lamenta nella lettera Di Ruscio, che non è stato ricandidato e ha annunciato le dimissioni dall’ente?
La condanna per falso
Chiede la nullità dell’elezione di Putzu «perché il detto candidato risulta essere stato condannato in via definitiva alla pena di otto mesi e giorni venti di reclusione senza l’applicazione delle attenuanti generiche (...) con sentenza passato in giudicato in data 3 luglio 2018 dopo aver coltivato inutilmente i tre gradi di giudizio», scrive nella missiva rivolta al presidente del consiglio regionale e a tutti i consiglieri. Cita la legge Severino del 2012, nella parte inerente la incandidabilità alle elezioni regionali che dovrebbe, scrive Di Ruscio, portare alla decadenza di Putzu. Nell’incartamento inviato in regione il candidato non eletto allega anche la sentenza definitiva e interroga i destinatari sulla conoscenza o meno della condanna da parte dell’organo che ha deliberato la nomina.
Uno scontro che ruota attorno a una condanna, ma che in realtà è tutto politico tra un escluso d’eccezione e un peso massimo dei meloniani in regione. Di Ruscio non ha molta voglia di parlare, ma ci tiene a chiarire poche cose. «Precisiamo subito che ho rinunciato io alla candidatura in Fratelli d’Italia come ho comunicato al sottosegretario Emanuele Prisco in un incontro a Roma di qualche mese fa, solo successivamente ho saputo di questa condanna di Putzu e con la mia azione difendo solo i miei diritti», dice. Non vuole aggiungere altro se non che non ha rinnovato la tessera di Fratelli d’Italia e che si è dimesso in queste ore dalla presidenza di Erap Marche. Quando gli chiediamo le ragioni della sua fuga da Fratelli d’Italia fa una citazione. «I valori del partito sono i miei, i comportamenti no. Don Sturzo diceva: “La politica senza etica è sopraffazione, l’economia senza etica è diseconomia. Viviamo questo periodo», conclude. Una partita tutta politica che parte da quella condanna.
Il guaio delle firme
I fatti risalgono al 2013, all’epoca Putzu si occupava come consigliere provinciale di autenticare le firme dei sottoscrittori della lista La Destra per le elezioni politiche. Secondo i pm, e i giudici che lo hanno condannato, attestava falsamente l’apposizione delle firme di due persone «nonché l’identificazione per conoscenza personale». I ricorsi in appello e in Cassazione sono stati respinti e la sentenza definitiva è arrivata nel 2018.
Le due persone, infatti, ricordavano unicamente di aver firmato per le liste di Casapound, quelli che si definiscono fascisti del terzo millennio. Abbiamo contattato Putzu che non ha risposto alle nostre domande, ma ha diffuso un comunicato. «La mia posizione, in quella occasione, è stata solo quella di autenticatore delle sottoscrizioni. La pronuncia di condanna che mi riguarda prevede la non menzione nel casellario giudiziale il quale si presenta nullo. Appunto per tale ragione lo scrivente si è considerato e si considera validamente eletto», scrive. Ricorda che all’epoca si dimise da consigliere comunale e che la sua azione politica è ispirata a un «atteggiamento rigoroso».
© Riproduzione riservata



