L’Italia è l’unico paese dell’Unione Europea in cui il salario reale è in discesa inesorabile.
Nonostante i salari reali siano diminuiti in tutta l’Ue, l'Italia rimane agli ultimi posti secondo l’ultima classifica Ocse che si basa sui dati Eurostat sui redditi medi dei paesi membri dell’Unione Europea. Alla fine del 2022 i salari reali nel nostro paese erano diminuiti del 7,5 per cento rispetto al periodo pre pandemico.

Secondo l'economista Azzurra Rinaldi, fondatrice della società Equonomics, «il nostro è un paese in cui i salari non crescono da trent’anni. In tutto questo si intersecano tutti i temi legati alla fragilità. La situazione è peggiore, dunque, per le persone giovani e per le donne». Con un salario medio basso, che per Inps nell’ultimo anno di rilevazione si aggira intorno ai 22mila euro di media annui, «è chiaro che si modifica il paniere dei consumi e si va ad utilizzare il poco reddito disponibile soprattutto per i beni primari».

Questa situazione, dovuta anche alla crescita dei prezzi, ha ridotto in modo significativo il potere d’acquisto delle famiglie, a cui si somma il mancato aumento degli stipendi. Il calo dei salari, infatti, è stato maggiore per chi percepisce retribuzione più basse (10,3 per cento) mentre per i salari medi la diminuzione è stata del 7,5 per cento. L’erosione del potere d’acquisto pesa soprattutto su famiglie a basso reddito mentre l’indebitamento colpisce anche la classe media.

Sanità e casa

L’allarme che riguarda sovra-indebitamento e usura, secondo Assoutenti, riguarda ogni cittadina e cittadino italiano (neonati compresi) che a fine 2023, risultano indebitati mediamente per circa 9.949 euro, mentre ogni famiglia residente porta sulle spalle un debito verso banche e società finanziarie che ammonta in media a 22.674 euro, per il primo Osservatorio sull’indebitamento di Bravo.

Il debito medio a persona è stato pari a circa 25.500 euro, in crescita del 6,6 per cento rispetto all’anno precedente. Secondo un’analisi di Facile.it, invece, il valore dei prestiti personali erogati agli assistiti nel 2023 per far fronte alle spese mediche, supera il miliardo di euro. Il dato, in aumento rispetto agli anni precedenti, è un grande campanello d’allarme intorno al tema dell’accesso dei cittadini alla sanità pubblica, con valori di indebitamento ancora più preoccupanti, che raddoppiano le cifre al Sud.

In crescita è anche il fenomeno di quelle che vengono definite "spese sanitarie catastrofiche" che, secondo l’Oms, sono quelle che impoveriscono le famiglie quando superano del 40 per cento le capacità economiche di sostenerle. Alle diseguaglianze economiche, si sommano poi quelle territoriali, per cui se le famiglie che si sono impoverite per curarsi sono il 4 per cento nel Nord Est, raddoppiano all’8,2 per cento al Sud, mentre al Centro sono il 5 per cento e il 5,9 per cento a Nord-Ovest.

La grande maggioranza delle persone che si indebita ha un lavoro stabile, a dimostrazione di come l’indebitamento sia un fenomeno trasversale. Le persone con un lavoro stabile hanno una maggiore propensione a richiedere prestiti, sia perché spesso avere un contratto a tempo indeterminato è un requisito fondamentale per ottenerli – soprattutto per importi elevati – sia perché la sensazione di stabilità porta a contrarre più debiti senza considerare che il reddito non solo non aumenta, ma il potere d’acquisto viene eroso dall’inflazione.

Donne e lavoro

Per Azzurra Rinaldi, secondo l’ultimo Osservatorio Inps sui dipendenti privati, il dato del differenziale salariale tra uomini e donne «contiene dati agghiaccianti». «C’è un differenziale di circa ottomila euro annui. Significa che gli uomini guadagnano circa ottomila euro in più delle donne, solo nel settore privato, ma è soltanto il rilevato», dice l’economista.

Uno studio della Uil, uscito pochi giorni fa, racconta che nel nostro paese la differenza occupazionale tra uomini e donne è la più alta in Europa: più di 18 punti percentuali tra tasso di occupazione maschile e femminile, che raddoppia in presenza di figli.

Rispetto alle politiche economiche del governo Meloni, per Rinaldi, è ancora troppo presto per dare una valutazione: «Puntano sull’occupazione e questo è positivo, ma puntano su un occupazione prevalentemente maschile e questo è negativo. Questo focus che il governo Meloni dà alla maternità è un focus che allontana le donne dal lavoro». Che cosa servirebbe, dunque, alle donne? «Più soldi per fare impresa e asili nido. Misure come il bonus mamme, che è quello per madri lavoratrici a tempo indeterminato che abbiano almeno tre figli, risalta molto sui titoli dei giornali ma non crea impatto reale».

Per Rinaldi, per quanto riguarda la situazione femminile, «il focus va spostato dalla maternità al lavoro: non solo in un'ottica di liberazione, perché lavorare significa guadagnare denaro e indipendenza, ma anche in una prospettiva di natalità. Nei paesi ricchi tutti i dati ci confermano che quando è più alto il tasso di occupazione femminile è anche più alto il tasso di natalità. La famiglia monoreddito, adesso, in Italia, non può permettersi di fare figli». Sostenere l’occupazione femminile è l’unico modo, per Rinaldi, di sostenere il Pil e, insieme, di dare una spinta alla natalità.

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