Si rimane perplessi nel leggere le riflessioni con cui il professor Mario Giro affronta, nel suo editoriale di lunedì 21 giugno, la questione legata alle Rsa e agli anziani. Tale perplessità è indotta dalle argomentazioni utilizzate dal notista politico che in parte affondano le radici in dati che andrebbero meglio contestualizzati ed in parte appaiono del tutto fuorvianti ed inesatti.

Il tema è quello della malnutrizione che un report del ministero della Salute evidenzia come gravemente sottovalutata dalla clinica in tutti gli ambiti sanitari e, di conseguenza anche nelle Rsa. Tema che nello svolgimento dell’articolista, dovrebbe portare, senza remora alcuna, a chiudere le Rsa in un ideale, ma a parere di chi scrive irrealistico, superamento dell’esistente.

I dati riportati nel documento ministeriale sono innanzitutto dati vecchi (2011). Ne fa fede la stessa meta analisi citata nel documento (Cereda 2016,) che riporta numeri in netto miglioramento: ma ne fa fede, soprattutto, il fatto che parte di quelle linee guida del ministero, oggi, sono patrimonio consolidato delle Rsa le quali applicano menù e valori nutrizionali vidimati dagli organismi (pubblici) di vigilanza.

La malnutrizione e la disidratazione determinano, unitamente ad altre patologie, il fatto che si ricorra alle Rsa, le quali all’interno del Piano assistenziale individualizzato dovranno intervenire, in Italia come in Europa, confrontandosi, inevitabilmente, con un insieme di fattori para fisiologici, neuropsichiatrici, sociali e clinici legati alle alterazioni dovute al processo di invecchiamento. E proprio un paragone con altri paesi europei dovrebbe indurci ad affrontare la questione Rsa in maniera razionale e costruttiva: se noi confrontiamo i posti letto con Germania o Francia e persino (a noi paese più simile) Spagna, ci rendiamo conto di quanto i 250mila posti letto risultino deficitari rispetto agli 876mila tedeschi, 720mila francesi, 373mila spagnoli.

Quello che auspica Mario Giro, in realtà, avviene, in assenza dello stato ma in presenza di quel welfare familiare che surroga le carenze di una sanità territoriale depauperata, e conta 4 milioni di anziani assistiti dalle famiglie sotto forma di caregiver. Ma i rapidi cambiamenti demografici e sociali ci inducono a pensare che, in prospettiva futura, il welfare familiare sarà sempre più fragile, meno presente, e con maggiori difficoltà di risposta se è vero che (dati dell’istituto Mario Negri) si stimano in 350mila persone annue, il numero di coloro che vengono colpiti da patologie legate a forme di demenza di cui due terzi investono gli ultraottantenni. Un fenomeno in crescita a livello mondiale nelle società in cui le aspettative di vita sono aumentate, e che vedono altri paesi europei attrezzarsi anche con un aumento di posti in strutture riabilitative e per lungo degenti.

Se la risposta, suggerita da Giro, investe la domiciliarità quale unica soluzione, la si ritiene risposta del tutto irrealistica. Una buona parte degli anziani, oggi in Rsa, necessiterebbero, nel proprio domicilio, di una assistenza lungo l’arco delle 24 ore con un numero di operatori insostenibile in termini, prima ancora che di costo, di reperimento. Giro insiste sul fatto che non si vuole modificare l’esistente per ragioni di ordine difensivo e corporativistico. Si crede, al contrario, che l’esistente non possa prescindere dal principio di realtà, anche quando si presenta dolorosa nel suo impatto emotivo.


Risponde Mario Giro: Sui dati a proposito della malnutrizione e disidratazione nelle Rsa (assieme alla loro congruità e contestualizzazione) prego rivolgere le critiche al ministero: è sul sito del ministero della Salute che sono state pubblicate e pubblicate proprio ora. Per noi cittadini significa che il problema esiste, esiste ora ed esiste ancora. Per quanto riguarda il resto, l’argomento usato è uno solo e viene illustrato con freddezza burocratica: la domiciliarità sarebbe irrealistica. Fa davvero una profonda tristezza tale rassegnazione, camuffata da pragmatismo. Il fatto che tanti anziani poveri debbano trascorrere gli ultimi anni della loro vita in ambienti anonimi e istituzionalizzati, senza decoro, senza rispetto ecc., mentre chi ha i mezzi può restare a casa sua, è soltanto segno di insensibilità sull’aumento delle diseguaglianze. Non è ciò che pensavano coloro che si sono battuti in passato contro l’istituzionalizzazione dei minori e dei malati psichiatrici. Se in Europa si fa peggio (lo sappiamo) non è una giustificazione. Che in Italia funzioni ancora una certa cura familiare, grazie anche alle badanti, è cosa di cui essere orgogliosi se miriamo a una società umanista e non ridotta a mercato.

Infine il fatto che nella reazione di Anteo non vi sia nemmeno un accenno di autocritica sulla recente tragedia delle Rsa causata da una pessima gestione del Covid, con così tante morti in più, abbandoni, solitudine, impossibilità di visita dei parenti malgrado la decisione del ministero ecc.: ecco tutto ciò è davvero uno scandalo.

 

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