Clima e Xylella. Sono queste le due variabili che possono incidere in modo pesante sulla produzione di olio nazionale e sulla prossima stagione, che partirà da fine estate.

Un tragico bilancio

Il bilancio dell’ultimo anno è stato tragico: secondo Coldiretti l’annata si è conclusa con un calo del 37 per cento della produzione di olio, rispetto all’anno precedente, e un crollo a 208 milioni di chili di produzione, contro i 329 dell’annata precedente.

Se le piogge delle ultime settimane da nord a sud sembrano poter dare una certa speranza agli olivicoltori in vista della stagione che arriva, di tutt’altro tenore sono le risposte che arrivano dalla Puglia, regione dove si produce il 50 per cento dell’olio nazionale, che ancora non riesce a debellare la Xylella, giunta ormai in provincia di Bari dopo dieci anni di traversata dal Salento, e per niente intenzionata a fermarsi.

«Avanza di 10/15 chilometri l’anno: se non verrà fermata la Xylella si mangerà in cinque anni l’intera olivicoltura pugliese e a quel punto salterà in altre regioni» dice Gennaro Sicolo, presidente di Cia Puglia, cartello che riunisce 60mila olivicoltori pugliesi, e dell’associazione Italia Olivicola.

Un dramma che sembra essere finito nel dimenticatoio ma che minaccia seriamente l’intera produzione nazionale, già costretta ad affrontare la concorrenza sleale degli oli stranieri e dell’Italian sounding, cioè di quei prodotti con nomi che riecheggiano quelli italiani ma che tali non sono.

La Xylella non si ferma

«Stiamo affrontando forse la più grande fitopatia al mondo non con la dovuta attenzione: il problema non è per niente risolto».

È preoccupato Nicola Di Noia, direttore generale di Unaprol, associazione nazionale del settore olivicolo.

I numeri sono chiari: in questi dieci anni sono stati 21 milioni gli ulivi abbattuti che hanno portato ad un calo della produzione di olio del 75 per centoin provincia di Lecce e del 20/25 per cento in provincia di Brindisi secondo Coldiretti.

«A chi ancora non crede alla Xylella consiglio di fare una passeggiata sulla superstrada tra Brindisi e Lecce: il paesaggio è lunare con tutti quegli ulivi abbattuti» evidenzia Di Noia.

È prioritario contrastare la sua avanzata e le soluzioni per uscirne sono note: «Persistere nelle buone pratiche, cioè nel pulire i campi e anche i cigli delle strade, dove si può annidare un vettore come la sputacchina; sostenere gli agricoltori con aiuti concreti immediati, e non tra anni, e infine agevolare le ricerche del Cnr: al momento sono solo due le cultivar resistenti, troppo poco» conclude Di Noia.

Tornando indietro a quanto successo negli ultimi dieci anni è evidente come il problema sia stato non fare ciò che era necessario nei tempi utili: «Bisognava contrastare la Xylella circoscrivendo subito l’area e non seguendo le idee antiscientifiche di alcuni, che pensavano di contrastarla con il sapone o con pratiche non verificate. La Regione, per giunta, si è opposta al commissario straordinario nominato dal governo e questo non ha fatto altro che aggravare la situazione» osserva Sicolo. Il problema ovviamente non riguarda solo gli olivicoltori, ma anche tutta la filiera: «Da rappresentante dei proprietari di frantoi, coloro che cioè lavorano l’olio per renderlo migliore, mi chiedo se avremo ancora nel prossimo futuro materia prima per poter lavorare» afferma Stefano Caroli, presidente dell’Associazione dei frantoiani di Puglia, che rappresenta più di 100 soci, e del Consorzio Frantoi Artigiani d’Italia.

Per questo la richiesta è chiara: «Vedo anziani che piangono e uno sconforto incredibile. Credo sia necessario avviare un serio piano di intervento con la possibilità di reimpiantare nuovi ulivi, senza gli inutili lacci della burocrazia. Per questo ci serve un commissario nazionale» dice Sicolo.

«La Xylella è un fattore che incide su tutti i settori della vita nazionale, come ad esempio il turismo. Il rischio di desertificazione è concreto» osserva Di Noia.

Il clima

Per tutte le regioni italiane c’è poi il problema del clima, che ha visto finora un inverno arido al nord a cui ha fatto seguito una primavera con molte piogge in quasi tutto il paese. «È stata una vera e propria manna quest’acqua per l’annata che arriva. L’ultimo anno abbiamo avuto una produzione a macchia di leopardo: ci sono state produzioni scarse, come quella sulla costa bresciana, e altre più abbondanti sia in Trentino che in Veneto, ma in generale la qualità è stata buona» evidenzia il vicepresidente del Consorzio Olio del Garda Dop Andrea Bertazzi.

Un clima imprevedibile pone evidentemente dei problemi che possono mettere in pericolo la produzione, come la mosca olearia. «Solitamente vola in ambienti umidi ed era il problema in caso di una fine estate o di un inizio autunno umido. Oggi, con un clima del genere, dobbiamo tenerla d’occhio già a giugno, perché inverni così secchi portano ad anticipare il volo per la deposizione delle uova» dice Bertazzi.

La specificità di un olio del genere, che nasce in un clima mediterraneo grazie alla presenza del lago, è certificata dal marchio Dop, ricevuto nel 1997.

«Questa certificazione rappresenta un valore aggiunto per il nostro olio extravergine d’oliva ed è una tutela ulteriore per tutta la filiera e per il consumatore, che ha tra le mani un prodotto di qualità. Il punto però riguarda i prezzi: produrre un olio costa e ancora oggi c’è poca consapevolezza che un prodotto di qualità implica una certa spesa» aggiunge Bertazzi.

La concorrenza straniera

Un problema sentito da tutti resta quello dei costi troppo alti, che incidono sull’intera filiera e si ripercuotono anche sul prezzo finale di vendita, causando uno svantaggio competitivo del prodotto italiano rispetto a quello proveniente da paesi come Turchia, Marocco e Tunisia.

In Europa la situazione non è molto diversa: se l’olio nostrano ha registrato un incremento di prezzo del 47 per cento, il ritocco verso l’alto di Grecia e Spagna è giunto rispettivamente al 45 per cento e al 61 per cento.

La siccità, presente in tutta l’area del Mediterraneo, problemi endemici e fattori esogeni, come la guerra in Ucraina, sono elementi che incidono in modo pesante.

Nessuna consapevolezza

«Gli oli, così come i vini e le farine, non sono tutti uguali: per questo è importante ricordarsi che un prodotto di qualità, ricco di polifenoli e antiossidanti, ha un suo valore» dice Di Noia, che sottolinea come l’intero settore olivicolo percepisca questa differenza rispetto al mondo del vino, dove si notano professionisti ben formati e consumatori più consapevoli.

«Abbiamo iniziato una guerra dei prezzi data da continui ribassi, perché ne aveva bisogno la ristorazione, che non ci ha permesso di valorizzare appieno il nostro prodotto. Poi l’inflazione ha portato a un aumento dei costi, come ad esempio per le bottiglie, che hanno visto un apprezzamento del 200 per cento, e così la filiera non regge» rimarca Caroli.

La richiesta al governo per tutti è chiara: «Serve un piano olivicolo nazionale, che tuteli tutto il territorio e l’indotto che crea» dice Bertazzi.

L’intero settore chiede di pianificare il futuro, svolgendo ricerca e cercando di capire come poter tutelare al meglio un patrimonio di 500 cultivar.

Sicolo chiude con un auspicio: «Speriamo davvero non sia troppo tardi».

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