«God save the queer» recitava uno striscione fuori dalla chiesa degli Artisti, come la frase che aveva sull’abito nuziale pochi giorni prima di morire. Michela Murgia si è spenta il 10 agosto, notte di San Lorenzo, all’età di 51 anni. Per la funzione, che Murgia ha voluto fosse cattolica, si è raccolta una folla talmente numerosa che non è riuscita a entrare nell’edificio. 

In chiesa i «figli d’anima», tra cui Alessandro Giammei che avrà il compito di curare i suoi ultimi scritti, e le amiche e colleghe: Chiara Valerio, che nel suo discorso ha deciso di usare il futuro. Chiara Tagliaferri, a cui è stata affidata la prima lettura. Teresa Ciabatti, che nei giorni scorsi le ha dedicato un editoriale. Presente anche lo scrittore Roberto Saviano. Lui tra i primi a lanciare l’invito per la funzione e a definire il funerale l’estremo atto politico della scrittrice: «Sarà così se qualcuno raccoglierà davvero il suo testimone e spero che succederà».

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E ancora l’intellettuale Paolo Repetto, la segretaria del Pd, Elly Schlein, che in prima fila si è commossa. Lo scrittore Sandro Veronesi e l’attrice Lella Costa. Tra gli omaggi floreali una composizione verde con il mirto e la corona di Roma Capitale.

Il feretro, appena arrivato, è stato accolto da un lunghissimo applauso, diventato un’ovazione, degli ammiratori che si sono organizzati per venire anche attraverso un gruppo Telegram con 600 iscritti dove hanno deciso di rendere omaggio alla scrittrice indossando una maglietta bianca. Con loro l’Anpi, la comunità Lgbtqi+, la sinistra radicale. Davanti al portone due palloncini a forma di unicorno.

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L’addio di Saviano

Roberto Saviano ha detto che sono state «le parole più difficili della mia vita». Murgia «voleva che questa giornata fosse per tutti. Sembrava suonasse quando batteva sui tasti. Per Michela la condivisione era il senso di tutto. Quando le cose non andavano lei ti diceva: “Non stare solo, vieni qui”.

Le scelte di Michela possono essere sintetizzate in: non essere soli, non lasciare soli. Michela ha protetto tutti fino alla fine, anche nei momenti dolorosissimi della fine».

«Lei è stata abile a non far sentire il dolore delle sue scelte di lotta- ha sottolineato – Ci siamo conosciuti e uniti non per quello che abbiamo fatto, ma per quello che ci hanno fatto. In questo paese è stato possibile che si considerasse una scrittrice, intellettuale attivista come una nemica politica.

Michela ha voluto stare accanto a me nei processi che mi hanno riguardato. Voglio darle tutta la mia gratitudine: durante la notte e i pomeriggi difficili, Michela c’era. "Abbi fiducia in chi ci legge e capisce”, diceva “vedrai che ci verranno dietro”».

Murgia ha presenziato alle udienze dopo che il giornalista è stato querelato dai membri del governo.

Quelli che hanno fatto davvero del male alla scrittrice, «sono quelli che avevano un piede qui e un piede lì, quelli che stavano a metà per convenienza. Sono loro ad aver reso la sua vita difficilissima. Michela sceglieva, perché il silenzio di fronte all’orrore l’avrebbe resa infelice. Scegliere è l’unica cosa che la faceva sentire in asse con sé stessa». Contro di lei c’erano «il dossieraggio, la pressione mediatica, l'orrore dei populisti e non solo che si accanivano su di lei, Giornali infami, siti immondi con il compito, anzi il mandato di insinuare e ingannare». Lunghi applausi al termine del suo discorso.

Nella preghiera degli artisti, a conclusione della celebrazione, l’intervento del marito, Lorenzo Terenzi, ha scandito: «Facci essere scomodi».

Fuori dalla chiesa, le hanno cantato Bella Ciao, omaggio a lei che non voleva morire fascista. Un saluto collettivo che è diventato un messaggio: «Michela Murgia avrà ragione anche domani, la società è un problema di ciascuno di noi, e in questo consiste il gesto politico di Michela Murgia», ha detto Chiara Valerio sull’altare.

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