La decisione inaspettata e unilaterale di Pfizer di ritardare la distribuzione in Europa dei suoi vaccini piomba nel pieno della campagna vaccinale, quando gli stati, compresa l’Italia, iniziano a iniettare il richiamo. In tante parti d’Europa non si è badato troppo all’ampiezza delle scorte per la seconda dose, vaccinando tante persone, perché, in teoria, c’erano impegni dell’azienda ritenuti rassicuranti. Il cambio di rotta capita in un momento delicato.

Equilibri difficili

Nel Regno Unito i livelli di ospedalizzazioni per Covid-19 superano quelli della scorsa primavera anche per la diffusione della nuova variante. L’Oms si raccomanda di sequenziare il virus per monitorare - e arginare - la diffusione delle varianti (note come inglese, sudafricana, brasiliana). Nel nostro paese, dove oggi si sono registrati 12.415 nuovi casi e 377 decessi, cifre in miglioramento rispetto al giorno prima, il ministro della Salute Roberto Speranza ha chiesto un parere al comitato tecnico scientifico sull’avvio della didattica in presenza per le superiori al 50 per cento a partire da questo lunedì, e il cts ha detto no al rinvio in virtù del fatto che «stanno emergendo problematiche legate anche alla sfera psichica nella popolazione giovane in età scolare e anche negli studenti delle università». Se le regioni volessero prendere decisioni diverse e chiudere le scuole, «se ne assumeranno la responsabilità» In questo contesto il vaccino rappresenta una speranza, e quello di Pfizer la speranza più a portata di mano: la distribuzione di Moderna, il secondo e unico altro vaccino a essere già autorizzato dall’agenzia europea del farmaco, è cominciata solo da poco. Come è potuto accadere quindi che arrivino meno dosi? Ecco punti salienti e controversi.

La mossa di Pfizer

L’11 gennaio le previsioni sono rosee. BioNTech comunica di poter produrre due miliardi di dosi entro il 2021, più del miliardo e trecentomila previsto inizialmente. Tra i motivi di ottimismo ci sono il nuovo standard – consente di ricavare dalla stessa fiala non 5 dosi come pareva all’inizio ma 6 - e l’aumento dei siti produttivi. Ora le dosi europee arrivano da Puurs, in Belgio, ma è calendarizzata per febbraio l’inaugurazione di uno stabilimento in Germania, a Marburgo. Il 15 però il gigante del farmaco spiazza l’Europa con una clamorosa retromarcia: con pochi giorni di anticipo, informa che dalla settimana seguente (questa in arrivo) saranno consegnate meno dosi rispetto alle pianificate. La motivazione data è che l’azienda vuol produrre di più, per farlo deve rivedere la filiera manifatturiera, sono necessari altri via libera delle autorità. Ma non preoccupatevi, dice Pfizer: «L’impatto dei ritardi sarà temporaneo, riguarderà le consegne di fine gennaio e inizio febbraio; poi le consegne di fine febbraio e di marzo saranno massicce». Produrre di meno ora per produrre di più dopo. Perché dirlo all’ultimo? Il 15 inizia con un annuncio della authority norvegese: potrebbe essere troppo rischioso, visti 23 casi di decessi, usare i vaccini per persone molto anziane e già gravemente malate; i comuni effetti collaterali potrebbero aver contribuito a reazioni serie in chi già era anziano e fragile. Poche ore dopo, il capo infettivologo dell’istituto pubblico di sanità norvegese notifica che Pfizer manderà a Oslo il 18 per cento in meno delle dosi previste per la settimana entrante.

Asimmetria tra zone

Alla Svezia arriverà il 25 per cento in meno, all’Italia circa il 30. Per ogni paese la percentuale cambia, ed è l’azienda a decidere, in modo arbitrario e asimmetrico, in quali regioni la diminuzione sarà più importante. Lo denuncia, in Italia, il commissario Domenico Arcuri, e si dice pronto a fare ricorso: «L’arbitraria distribuzione è decisa dall’azienda, senza condividerla né comunicarla ai miei uffici, e produce un’asimmetria tra regioni». Sei non subiranno tagli: Abruzzo, Basilicata, Marche, Molise, Umbria e Valle d'Aosta. A patire di più la sforbiciata saranno regioni molto colpite dal virus: Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto riceveranno circa 25mila dosi in meno. Lo sconcerto arriva non solo da Roma ma anche da altri paesi europei, Lituania Lettonia Estonia Finlandia Danimarca e Svezia scrivono a Bruxelles. Mentre gli aspetti logistici sono definiti da protocolli fra azienda e stati, i punti generali sono infatti stipulati dalla Commissione nell’accordo con Pfizer. I termini, noti ai governi, sono segreti sia all’opinione pubblica che agli europarlamentari, che hanno potuto vedere solo stralci di uno dei contratti (CureVac).

Venerdì Ursula von der Leyen ha riferito di aver parlato col ceo di Pfizer e aver ricevuto «rassicurazioni che tutte le dosi previste arriveranno nel primo trimestre», il che non elimina i ritardi immediati; la presidente della Commissione non ha fatto accenno a violazioni dei patti né a ricorsi. Pfizer ha comunque poi ammorbidito il suo annuncio: promette la ripresa normale degli arrivi già dal 25.

Gli aspetti controversi

Restano le polemiche. In altri paesi ben paganti le consegne vanno a pieno ritmo, e già a dicembre il Belgio patì l’annuncio di 300mila dosi in meno mentre Israele festeggiava arrivi massici. Su Pfizer si abbattono anche gli “EmaLeaks”: a seguito di un hackeraggio dell’agenzia europea del farmaco, per il quale Le Monde considera possibile una “pista russa”, sono state pubblicate mail che mostrerebbero le pressioni alle quali era sottoposta l’agenzia quando valutava il via libera. Nondimeno Ema chiedeva all’azienda più chiarezza su alcuni aspetti tra i quali le differenze qualitative tra alcuni lotti di vaccini; un aggiustamento delle procedure di fabbricazione e quindi una maggior quantità di rna avrebbe potuto garantire più certezza di efficacia.

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