Claudia Alivernini ha 29 anni, fa l’infermiera al reparto malattie infettive dell’ospedale Spallanzani di Roma. Alicja Jakubowska ha una vita simile: anche lei infermiera per un ospedale impegnato contro Covid-19, pure lei in una grande capitale europea, Varsavia. Da ieri, Alivernini e Jakubowska hanno un altro elemento di unione: sono le prime ad aver ricevuto il vaccino nei rispettivi paesi, Italia e Polonia. Il 27 dicembre, prima giornata europea della vaccinazione contro Covid-19, è un giorno di speranza per tutta Europa. «Finalmente iniziamo a voltare pagina. Il vaccino sarà disponibile nello stesso momento in tutta l’Ue: un segno di unità» ha detto la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Usciamo da questa crisi un po’ diversi da come ne siamo entrati: meno divisi, come europei, anche se non ancora del tutto uniti.

La scelta di un giorno comune per cominciare le vaccinazioni serve a guarire l’Europa non solo da Covid-19 ma anche dai fallimenti precedenti. All’inizio dell’epidemia, quando l’Italia era considerata il “guinea pig”, la cavia del continente, il ministro della Salute cercò invano la solidarietà degli altri paesi; Francia e Germania risposero anzi bloccando l’esportazione di dispositivi sanitari. Fu necessario che anche Berlino e Parigi vedessero i contagi avanzare perché Ursula von der Leyen pronunciasse finalmente, l’11 marzo, le prime parole di solidarietà in italiano. La scelta di contrattare insieme, come Ue, le condizioni con le aziende farmaceutiche ha rappresentato una svolta, e l’annuncio della giornata comune del vaccino serve a sancirla. «Ora siamo tutti più europei», ha twittato il commissario Paolo Gentiloni. Entro la fine dell’anno, è previsto che l’Ue riesca a vaccinare sei milioni di persone. In Italia, da oggi, arriveranno poco meno di 500mila dosi a settimana.

Le differenze

Al di là dei simboli, rimangono le differenze. Ungheria e Slovacchia hanno cominciato un giorno prima. Pure in Germania, la prima dose è stata iniettata alla 101enne Edith Kwoizalla già sabato. In Francia c’è polemica per la scelta di escludere dalle prime dosi il personale sanitario. In tutti i paesi la priorità è stata data ai più anziani, a chi ha patologie pregresse, a medici, infermieri e operatori delle case di riposo, ma ognuno ha dosato i criteri a modo suo. In Repubblica Ceca il primo a farsi vaccinare è stato il premier. Quanto alle dosi ricevute, in Italia a Natale sono arrivate le prime 9750 fiale Pfizer-Biontech. La Germania si è aggiudicata la stessa cifra, ma per ogni land: più di 150mila dosi. Il vaccino Pfizer è stato comprato dall’Ue a 15,5 euro per dose (31 a ciclo). Se avrà semaforo verde, quello AstraZeneca sarà più semplice da conservare e molto più economico (circa tre euro). Moderna ha già ricevuto l’ok dell’Fda, l’ente regolatorio Usa, e il 6 gennaio arriva il responso dell’agenzia Ue.

Dosi per tutti

Le risorse sono adeguate perché tutti, in tempi rapidi, possano vaccinarsi? «Il vaccino sarà gratuito per tutti e sarà lo stato a distribuirlo perché si tratta di un bene pubblico, non un privilegio» ha detto ieri il ministro della Salute Roberto Speranza. «Non possiamo generare diseguaglianze». C’è chi guarda anche oltre i confini europei. Papa Francesco ha usato il messaggio di Natale per un appello a condividere il vaccino con i paesi più poveri. È possibile, dopo aver festeggiato le prime vaccinazioni, sperare anche che il vaccino venga “liberato”, che sia per tutti? A parole, Ursula von der Leyen lo aveva promesso. Ad aprile ha detto che sarebbe stato «un bene universale»; idea scomparsa poi dal piano strategico di giugno. Circa 17mila europei si sono già messi insieme usando il diritto di iniziativa, strumento di democrazia diretta dell’Ue che consente di far arrivare una proposta alla Commissione. La raccolta firme è in corso, ne servono almeno un milione. Il messaggio da far arrivare a Bruxelles è “no profit on pandemic”: «Sì al vaccino e alle cure come beni comuni, accessibili a tutti e gratuitamente».

Vaccino bene comune

Marc Botenga, europarlamentare belga della sinistra europea, dice che «la soluzione è a portata di mano e ci libera dal timore che le dosi non bastino: si tratta di non lasciare il monopolio a poche aziende, ma liberare i brevetti, così da produrlo massicciamente e abbassare i prezzi». L’idea non è peregrina. Nel 1955, quando fu introdotto il vaccino contro la poliomielite, l’inventore Jonas Salk disse: «Non si brevetta il sole». Non è necessario contare sulla generosità delle aziende per rivendicarne la “liberazione”: basta considerare che i vaccini sono anche un investimento europeo. «Li stiamo pagando più volte: abbiamo finanziato ricerca e sviluppo; coi contratti di acquisto paghiamo anche parte della capacità produttiva. Inoltre ci stiamo assumendo i rischi finanziari». In caso di effetti secondari indesiderati, «la Commissione, col beneplacito degli stati, ha inserito nei contratti una clausola che scarica sui governi i rischi».

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