Clientele, fondi regionali, progetti faraonici che hanno cambiato il volto di Salerno, costruttori di successo, appalti, cooperative infiltrate dai clan. Nei giorni scorsi abbiamo svelato i pilastri su cui si regge il “sistema” De Luca.

Ma c’è ancora un capitolo inedito nei documenti ottenuti da Domani. Riguarda le tecniche di creazione del consenso di cui ha beneficiato Vincenzo De Luca, grazie alle quali ha dominato la scena di Salerno prima e poi ha ottenuto la presidenza della regione Campania (e un secondo mandato nel 2020).

Una storia che solleva questioni spinose per il Partito democratico. Perché rivela il metodo con cui De Luca avrebbe condotto la campagna elettorale delle primarie 2015, in cui i militanti campani dovevano scegliere tra lui e Andrea Cozzolino, oggi coinvolto nello scandalo Qatargate a Bruxelles, e racconta di voti sospetti canalizzati alle successive regionali.

Il dissidente intercettato

A rivelare i meccanismi nascosti della macchina del consenso deluchiana sono due politici del Pd, uno dei due intercettati.

Dialoghi del 2015, anno delle primarie, allegati a un’informativa del nucleo investigativo dei carabinieri di Caserta inviata alla procura antimafia di Napoli, impegnata all’epoca in una delicata indagine sul famigerato clan dei Casalesi, l’incarnazione di Gomorra.

Le confidenze che si scambiano sono un atto d’accusa prima di tutto politico sulle prassi seguite dei “cacicchi” evocati alla nuova segretaria del Pd Elly Schlein come una zavorra di cui liberarsi. Il metodo dell’allora sindaco di Salerno e dei ras delle tessere è noto da tempo, da almeno 15 anni. Infatti l’intercettato era un politico democratico locale che già nel 2009 aveva avvertito la segreteria nazionale del Pd sulle opacità del sistema salernitano del partito.

E denunciava ai vertici romani le disfunzioni clientelari del blocco costruito da De Luca prima a Salerno da sindaco. Segnalazioni dettagliate, con nomi e cognomi, personaggi che molti anni dopo saranno al centro di inchieste giudiziarie. Eppure le sue lettere restarono chiuse in un cassetto, e il partito perse l’occasione di prevenire scandali, grandi e piccoli.

L’autore di questa denuncia preventiva si chiama Fausto Morrone, prima sindacalista poi consigliere comunale di minoranza in una lista di sinistra nella sua Salerno dal 2006 al 2011 governata dalla giunta De Luca, e, infine, da responsabile anticorruzione di un’azienda regionale, la Sma. Si era iscritto al Partito democratico fin dalla fondazione, lo lascia nel 2010 per l’Italia dei Valori.

Negli anni di militanza nel Pd ha scritto a tutti i vertici del partito, a Dario Franceschini, oggi sostenitore di Elly Shlein e della guerra ai “cacicchi”, a Pier Luigi Bersani, a Massimo D’Alema, a Walter Veltroni ottenendo sempre la stessa risposta: il silenzio.

Nelle lettere, Morrone, denunciava quello che sarebbe emerso più avanti, ma che era chiarissimo: il patto di ferro siglato con imprenditori in cambio di consensi e voti, il controllo militare delle partecipate, il tramonto delle voci critiche, la costruzione di una classe dirigente opaca e a disposizione.

«Ma come vengono reclutati i dipendenti delle società collegate al Comune di Salerno? Vi rispondo subito: per la maggior parte sono “clienti”, ma anche persone per bene, mentre molti, evidentemente, devono possedere come titolo preferenziale il fatto di essere pregiudicati, figli o mogli di pregiudicati e camorristi o basta pure essere solo delinquenti o noti picchiatori», scriveva nel 2009.

In un’altra lettera segnalava i rapporti tra il clan D’Agostino e Nino Savastano, fedelissimo del presidente della regione, prima assessore comunale poi consigliere regionale, oggi a processo per corruzione in ragione dei rapporti con l’imprenditore Fiorenzo Zoccola, detto Libero. Di Savastano, nelle puntate precedenti, abbiamo raccontato le relazioni pericolose con i clan salernitani.

«Il partito assiste inerte al fatto che parlamentari notoriamente vicini a De Luca facciano iniziative elettorali a sostegno di candidati sotto processo per concorso esterno in associazione camorristica, che le nostre liste accolgano chi ha concesso illegittimamente un alloggio pubblico a un camorrista, e che lo stesso sindaco non dica una parola rispetto alle reiterate denunce di frequenti infiltrazioni di aziende in odore di camorra negli appalti aggiudicati dal Comune. (...) caro Dario, il silenzio e questa compagnia non fanno bene al nostro partito, men che meno in campagna elettorale», scriveva Morrone che denunciava il ruolo dei clan e le infiltrazioni delle ditte beneficiarie di appalti pubblici, fatti che trovano riscontro nelle informative lette da Domani che riportano dialoghi risalenti al 2015. Quando De Luca diventava, per la prima volta, presidente della regione Campania dopo aver vinto le primarie contro Cozzolino.

Soldi e voti

Nel 2015 Edmondo Iannicelli, funzionario regionale, confidava a Morrone di essere a conoscenza di intese politiche che avrebbero portato alla vittoria di De Luca grazie allo stanziamento di una cifra record. L’interlocutore quantifica la spesa affrontata dal candidato, o da chi per esso, pari a circa 300mila euro, e candidamente afferma: «La campagna elettorale per le primarie a De Luca è costata oltre 300 mila euro… allora voglio dire tu devi fare una campagna elettorale a Napoli devi girare con i sacchi di soldi per convincere la gente… non è che la fai così»

In un’altra conversazione, Morrone parlava del sistema di potere di De Luca e delle imprese legate ai Casalesi che avevano iniziato a lavorare a Salerno.

«Si ritiene che tale dichiarazione debba essere del tutto genuina e ritenuta attendibile attesto che Fausto Morrone per oltre cinque anni ha avuto rapporti con De Luca, sia come ente locale che provinciale, e quindi, sicuramente a conoscenza delle strategie politiche e delle modalità elettive che hanno portato alla vittoria netta di De Luca alle elezioni primarie per il Partito Democratico», si legge nell’informativa.

Morrone, sentito da Domani, conferma il resoconto di quei dialoghi. «La campagna elettorale del 2015 segna il rinnovamento di un patto di De Luca con gli ambienti legati a Nicola Cosentino, già avviato anni prima, lo denunciammo pubblicamente così come ho denunciato pubblicamente le aziende, in odore di camorra, che avevano iniziato anni prima a lavorare a Salerno. Si prenda per tutti l’esempio di una ditta impegnata nei lavori preparatori per la costruzione dell’inceneritore che, a seguito di una mia denuncia, era stata raggiunta raggiunta da interdittiva antimafia», dice Morrone.

Quelle regionali avevano visto anche la denuncia pubblica di Roberto Saviano, secondo cui nel Pd e nelle liste a sostegno di De Luca c’era «tutto il sistema di Gomorra», lo scrittore criticava in particolare la presenza di candidati fedeli a Cosentino, l’ex sottosegretario poi condannato per complicità con la camorra. Oggi l’ex consigliere comunale Morrone è in pensione e guarda al nuovo corso del Pd.

«Schlein può essere una speranza, ma è complicato cambiare questo partito. Comunque una volta uno dei segretari aveva parlato di Salerno, insomma una risposta l’abbiamo avuta», dice. E quale? «Eravamo a un’iniziativa a Napoli e c’era l’allora segretario dei Ds (poi confluiti nel Pd, ndr), Piero Fassino. A un certo punto si avvicina all’orecchio del segretario della Cgil regionale, Michele Gravano, e gli dice: “Dì ai tuoi di finirla di rompere il cazzo a De Luca”. Io ero poco distante e quel giorno ho capito che ci avrebbero abbandonati»

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