La jeep inglese sembra uno stambecco mentre si arrampica lungo la mulattiera a strapiombo sulla valle del Monte Guardia, tra pietroni e basse gallerie di fronde d’ulivo che al passaggio, spezzandosi, mitragliano pezzetti di legno e fogliame. Crepitando fortissimo, si infilano dai finestrini: impari alla svelta a schivarli visto che schizzano come proiettili. Ma è lo stretto che spaventa, più delle pallottole nature e quel venticinque per cento di pendenza. «Tengo anche io alla mia vita, le dico che è sicuro», fa intrepido Arturo Rocca, settantenne ex professore di matematica e una laurea in Letterature, oggi guida ambientale in Aspromonte, di cui conosce ogni filo d’erba.

Lui è a capo della Resistenza che combatte contro l’installazione, proprio dove abbiamo fermato il fuoristrada, di un parco eolico progettato dalla milanese SKI 23 s.r.l. per conto della multinazionale norvegese Statkraft, primo produttore in Europa di energia rinnovabile.

La sua isola di Arturo è in queste montagne incantate della Locride, dove ritorna tutte le volte come fosse il primo appuntamento con una innamorata. Se allunghi lo sguardo, la distesa azzurra del mare Jonio, e poi il monte Scifo, i due maestosi monoliti Timba Tronata e Timpa Pizzuta, con tanto di casco argonautico che ribattezziamo “marziani”, col suo benestare, conglomerati di arenaria, “cugini”, come altri enigmatici massi del Parco Nazionale, dell’imponente Pietra Cappa, il più grande monolite d’Europa, risalente all’Oligocene; dall’altro, laggiù, Agnana Calabra, con le sue viuzze medioevali, sede, negli anni dei sequestri, di una base per carabinieri e polizia poi sbaraccata, oggi sgangherato parcheggio dei camion del Comune. Su un fianco, tra le erbacce, desolato, il fantasma di un vecchio campetto dove i militari giocavano a pallone con un orecchio a eventuali allerta.

I giganti del vento

Eravamo partiti da lì per raggiungere questa balconata sull’eden, la valle del Novito. Un tempo le pareti del promontorio erano coltivate a terrazza, ci sono ancora le antiche mura; oggi l’ultima delle cinque pale verrà piazzata esattamente dove stanno le nostre scarpe da trekking.

Le altre quattro lungo la dorsale del canyon, fin verso Antonimina. Un inaspettato gioiello naturalistico e archeologico per chi ci arriva la prima volta. Verrà di fatto calpestato, sostiene Arturo. Come se quei giganti del vento mettessero gli scarponi, divertendosi poi a distruggere un’aiuola preziosa, da secoli tutelata dagli uomini e dalle donne di questa terra.

Sull’impatto ambientale dovrà discutere la Conferenza dei servizi della Regione Calabria. Scelgono di non risponderci. «Non interveniamo», letterale, è il sintetico Whatsapp del presidente forzista Roberto Occhiuto.

La domanda sarebbe stata lecita: come mai un governo locale finanzia per esempio la costruzione del Cammino Basiliano, un lungo percorso che ricalca la storia millenaria dei monaci orientali profughi nella Magna Grecia, da nord a sud della Calabria, che passa proprio da questa fetta di Aspromonte, e poi ne avallerebbe l’oltraggio?

Un percorso, il Cammino, da ascrivere alla vecchia amministrazione in realtà. Tuttavia è sempre un bene della comunità calabrese intera e, senza dubbio, italiano (ma non soltanto) questo incanto di vallata.

I timori

«Non sarà mai una Val di Susa del Sud, noi facciamo resistenza etica», ripete Arturo. Tuttavia, lui e i “partigiani” dell’Osservatorio ambientale-Diritto per la Vita, giurano che fino all’ultimo tenteranno il possibile per non permettere di “deturpare” la loro “casa”.

Secondo Rocca sventreranno la montagna per fare una strada larga abbastanza per raggiugere l’impianto, poi l’elettrodotto per la corrente fino a Siderno. «Una devastazione – denuncia – che non porterà lavoro né energia, perché quella prodotta sarà riservata al nord».

SKY 23 respinge il battesimo di aggressore: «Non si faranno impianti imponendosi – risponde la società – e capiamo perfettamente che si tratta di una terra che i suoi abitanti vogliono preservare. Tuttavia il nostro è un piano industriale, non un’invasione tout court.

La Statkraft è una multinazionale europea, con seimila dipendenti, non una scatola cinese. Siamo in Italia da tre anni e crediamo molto nella Calabria. Ma anche la comunità può dire la sua, ovviamente nei luoghi preposti».

Nel frattempo i “ribelli” costituiscono un comitato regionale anti-scempio. Anche scrittori come Gioacchino Criaco sostengono la causa. «Non siamo trogloditi, siamo partigiani – afferma l’autore di Il custode delle parole (Feltrinelli, ndr) – e siamo pure senza armi, ma non abbiamo altra scelta se non quella di lottare”, perché «l’invasione delle società nordiche, all’attacco per riempire la nostra terra di marchingegni per produrre energia da portare altrove, ha il carattere dell’assalto definitivo».

Le radici

Agnana è deserta oggi, giusto qualche anziano fuori dall’unico bar aperto. Qualcuno ricorda i resoconti dei bisnonni. Proprio da questa strada passò Ferdinando II di Borbone. Veniva per visitare le miniere, perché fu il carbone di Agnana Calabra a far muovere il primo treno che collegò Napoli a Portici e il sovrano volle rendere omaggio a questa gente.

Il veliero aveva fatto il giro dello Stretto di Messina risalendo la costa dall’altra parte, fino a Siderno. Da lì il re salì in carrozza, e dal paese ai giacimenti prese il ciuccio. Lo lasciò proprio all’entrata di una delle grotte dove lavoravano all’estrazione uomini e ragazzini. Il contadino che mise a disposizione l’asinello alla fine del giro disse: non lo farò più lavorare, come potrei dopo che ho avuto l’onore di avere sua maestà in groppa? Ferdinando dispose così per lui una sacca di denaro, per ripagarlo del lavoro che avrebbe perso senza l’uso dell’animale.

Ci addentriamo anche noi in una delle principali gallerie. Arturo fa strada con la torcia del cellulare scansando enormi pipistrelli, garantendoci della loro innocuità. Da queste miniere venne fuori anche il combustibile che servì a costruire la linea ferroviaria Roma-Frascati, spiega, mostrandoci la linea del carbone ancora intatta, e grosse e nerissime pietre.

La vallata del Novito non è un sito protetto, ma lambisce la Zona Speciale di Conservazione, tra Monte Mutolo, le cosiddette Dolomiti del Sud e il Monte Nafruso, uno scenario sorprendente che andrebbe mantenuto così com’è sempre stato, ribadisce il professore. Senza scalfire nemmeno un granello della dignità evolutiva (qui, tra questo calcare di età giurassica, fu rinvenuto lo scheletro di un balenottero, l’Antracoterio, conservato oggi al museo di Scienze Naturali di Napoli) e storica del luogo. Fosse quella pure di un singolo ciottolo. O di una sola delle olive che ammacca Maria.

«Ottantadue anni», risponde, scalza, a capo chino. Ci fermiamo, irretiti. La tecnica è un colpo deciso e delicato assieme. Il rombo delle pale investirà anche lei e i suoi occhi azzurri, perché, spiega Rocca, il riverbero sonoro si riverserà su Agnana. Allarga le spalle, Maria. L’unico contributo che può dare alla “Resistenza”, dice, è fare bene il suo mestiere.

Come fa la custode del pane, Loredana La Rosa, 40 anni. A Canolo, borgo a due passi da qui, produce quello cosiddetto “jermano”. In dialetto indica la segale. «Era sempre una festa la trebbiatura – racconta – la gente veniva a macinare il grano dalle montagne, tutti insieme. Oggi mi alzo ogni mattina alle tre, cerco di difendere una tradizione antichissima». A Canolo esiste anche il forno comunitario. Ci si prenota, costa un euro. Ciascuno può farsi il suo pane. Sa di “rivoluzione”, rispetto alle grandi economie del profitto. E in un mondo uniformato soltanto su quello.

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