Le cosche lombarde unite volevano infiltrarsi in Fratelli d’Italia. La strategia messa in campo in alcuni casi ha dato i suoi frutti. Grazie anche ai legami dei boss con avvocati legati al partito, consulenti di alcuni big meloniani, con assistenti parlamentari e professionisti dell’ambiente. Sono loro il «capitale sociale», che ha permesso alla cupola mafiosa lombarda di entrare nei salotti che contano, in prossimità dei vertici dell’estrema destra al governo.

Nelle carte dell’ultima indagine della procura antimafia di Milano sono citati i nomi della ministra del Turismo, Daniela Santanchè, della sottosegretaria all’Istruzione, Paola Frassinetti, e della parlamentare Carmela Bucalo. Sono solo alcuni dei personaggi emersi dalle migliaia di pagine del fascicolo dell’inchiesta. Per capire però la genesi dell’infiltrazione è necessario partire dalle voci dei capi clan.

«Abbiamo costruito un impero», la sentenza di Gioacchino Amico, considerato uno dei capi dell’alleanza tra mafie che ha conquistato la Lombardia. «Sistema mafioso lombardo», lo hanno definito i magistrati antimafia di Milano nell’ultima indagine, condotta assieme al nucleo investigativo dei carabinieri, che ha svelato una sorta di cupola composta dalle tre organizzazioni più note e potenti nel panorama internazionale: del «sistema» fanno parte le cosche della ’ndrangheta, clan di camorra e famigerati esponenti di Cosa nostra siciliana.

Su questo c’è una spaccatura profonda, però, tra la procura e l’ufficio del giudice per le indagini preliminari. I pm avevano chiesto 154 arresti, il gip ne ha concessi undici e ha smontato diverse accuse. L’indagine, tuttavia, prosegue. Per i pm l’impianto resta solido.

Al pari di un consorzio ogni componente ha una sua quota e una sua specialità. La politica, tuttavia, è la passione che lega tutti i partecipanti al tavolo. O meglio, più che una passione, si tratta di una necessità per raggiungere obiettivi imprenditoriali e finanziari che valgono svariati milioni di euro. Politica vuol dire pubblica amministrazione e, quindi, appalti nelle costruzioni ma anche nel settore della sanificazione degli uffici.

I più attivi nel corteggiamento dei politici sono Amico e Giancarlo Vestiti, quest’ultimo «espressione della famiglia Senese». Il clan Senese, legato ai Moccia, è l’aristocrazia del crimine a Roma. Ma i pm antimafia milanesi hanno scoperto che è anche parte del «sistema» lombardo. È l’immagine di organizzazioni mafiose non più identificabili solo con un luogo, con un territorio, con un quartiere. Si muovono rapide, molto più agili di quanto lo facciano le autorità che hanno il compito di inseguire i loro capitali.

Il capo e il partito

Di certo c’è che Amico ha ottenuto la tessera del partito grazie alla collaboratrice della sottosegretaria all’Istruzione Paola Frassinetti. «Ho firmato io per te.. tra 4 giorni ti arriverà la tessera», dice al boss la donna. Amico ne parlerà poi a un suo sodale: «Mi è arrivata la tessera di Fratelli d’Italia».

È nero il colore politico della bandiera sventolata dal gruppo in questione. Negli atti dell’indagine un capitolo è dedicato ai rapporti con esponenti politici lombardi. Tra questi ci sono anche parlamentari, come raccontato nella prima puntata.

Per esempio Paola Frassinetti, con la quale Amico ha avuto un incontro a Roma nel 2020. Amico è ufficialmente un imprenditore. In contesti alti utilizza un eloquio forbito. In altri, da narcotrafficante, il lessico cambia. «Ti stermino la famiglia», ha detto a una vittima. Al pari di Amico c’è Vestiti, che briga con il sottobosco politico della destra milanese: è molto amico dell’avvocato Mario Marino, storico esponente della destra estrema del capoluogo lombardo, che vanta rapporti con le alte sfere di Fratelli d’Italia sul territorio.

Vestiti e Marino parlano al telefono di dinamiche politiche e di volti noti del partito di Giorgia Meloni. Marino, per esempio, si definisce un «consulente» di Fratelli d’Italia e ammette di conoscere molto bene Daniela Santanchè.

L’avvocato dei misteri dà l’impressione di conoscere l’ambiente tanto da aver contribuito a costituire l’associazione Noi repubblicani popolo sovrano, fondata, si legge negli atti, da «Santanchè, Dimitri Kunz, Mario Mantovani...». I primi due sono fidanzati e sono al centro dell’indagine per falso e bancarotta che stava portando quasi alle dimissioni della ministra. Mantovani è un ras del centrodestra lombardo, un tempo potentissimo da qualche tempo scomparso dai radar.

L’avvocato–consulente

Per districarci meglio in questa storia abbiamo contattato l’avvocato Marino: «Non ho incarichi politici, faccio l’avvocato e niente più. Noi repubblicani era una corrente più moderata dove andavano quelli incazzati con La Russa (Ignazio, presidente del Senato, ndr)». Nelle intercettazioni Marino dice di essere vicepresidente di Noi repubblicani di Milano. Lui a Domani replica: «Da quando avevo 14 anni sono di destra. Non ho mai avuto alcun ruolo. Forse c’era l’ipotesi di fare un circolo, ma poi che reato è?». Infatti Marino non è indagato nell’inchiesta sulla cupola, è però molto intimo di uno di quelli considerati a capo del sistema.

In questo gran parlare, Marino spiega all’uomo del clan di essere un consulente di Fratelli d’Italia e amico di Mantovani e Santanchè. Sarà vero? «Più che consulente sono un loro avvocato di riferimento per tante cose, mi chiamano e mi interpellano. Sono vicino al partito, conosco tutti. Ho relazioni amicali con Santanchè e Mantovani e altri cento deputati. Ho fatto riunioni con loro per dargli una mano. Diversi amici del partito mi hanno chiesto di candidarmi, ma ho rifiutato».

Marino ha conosciuto Vestiti «perché aveva bisogno di una consulenza legale sul penale, lui è incensurato, lui ha sempre lavorato nella moda e nell’abbigliamento, rappresentante di Versace e grandi marchi e poi si è messo in proprio». Secondo Marino, Vestiti è solo una vittima del luogo di origine, mica un mafioso: «Siccome è napoletano e conosceva Michele Senese (boss di camorra a Roma, ndr)». Aggiunge che le strade di Vestiti e Senese «si sono poi separate da giovanissimi».

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