Il derby dello stralcio fiscale. A Genova l’Agenzia delle entrate si arrende alla ragion di stato calcistica e sfodera il polso molle.

Ciò che nel giro di poche settimane la porta a abbuonare al Genoa e alla Sampdoria circa due terzi del debito fiscale. Sconti generosissimi su un debito maturato nel corso di anni e diventato ormai «abbastanza grande da poter badare a se stesso», come avrebbe detto un ex presidente degli Usa. Di sicuro c’è che non riuscivano più a badargli le due società genovesi.

Dunque ecco la vigorosa sforbiciata, con l’aggiunta della possibilità di pagare in tempi molto comodi le spettanze residue. E con tanti saluti a tutti gli altri club calcistici italiani che hanno tenuto un comportamento virtuoso in termini di regole fiscali e di bilancio, o che se non lo hanno fatto sono stati cancellati dal calcio.

Questi saluti vanno estesi a tutti i contribuenti italiani, si tratti di persone fisiche o giuridiche, che non hanno la fortuna di trovarsi in quella bolla extra-territoriale e extra-fiscale in cui vive il mondo del calcio italiano. Un mondo che continua a vivere nettamente al di sopra delle proprie possibilità, anche perché glielo si lascia fare.

Il Genoa nel silenzio generale

L’ultimo accordo in ordine di tempo, quello che ha riguardato il Genoa, stava per scivolare via sotto silenzio. A evitare che ciò accadesse è stato un articolo pubblicato dal Sole 24 Ore nell’edizione del 15 novembre. Si è così venuto a sapere che la società rossoblù ha negoziato la transazione su un debito fiscale che al 31 ottobre ammontava a 106,3 milioni di euro. Rispetto alla cifra totale che dovrebbe al fisco, il Genoa si limiterà a pagare 37,2 milioni di euro.

E poiché parte di questa cifra è stata già assicurata alle casse dello stato, rimangono in ballo circa 25 milioni di euro che la società rossoblù potrà pagare in venti rate semestrali. Andando nel dettaglio, per i primi quattro anni il Genoa pagherà otto rate semestrali da 833mila euro (più o meno la cifra che servirebbe per acquisire un buon centrocampista di Serie C), mentre nei sei anni successivi le rate salirebbero a 1,52 milioni di euro più gli interessi legali. A garanzia del debito il Genoa ha concesso all’Agenzia delle entrate il marchio.

Inoltre, a rafforzare l’impegno della società a saldare il debito ha provveduto una lettera di garanzia da parte della 777 Italy Sports Holding Spa, il veicolo attraverso il quale i proprietari americani di 777 Partners controllano il Genoa per mezzo di un’altra scatola societaria, la 777 Genoa CFC Holdings SRL.

Di quest’ultima, come raccontato da Domani il 22 ottobre, è stato dato in pegno il 25 per cento a Banca Sistema come garanzia dei crediti correnti e futuri da factoring, con atto stipulato lo scorso 13 settembre. E da un pegno all’altro la proprietà genoana si assicura ossigeno per i conti che dopo il cambio di proprietà non hanno cessato di essere in sofferenza.

Il precedente blucerchiato

Del resto aveva provveduto la Sampdoria a aprire la strada, grazie a un accordo che riguardo al debito verso l’Agenzia delle entrate prevedeva un ammontare meno rilevante di quello genoano ma che in termini assoluti aveva un peso più schiacciante.

La somma dovuta al fisco dalla società blucerchiata era di 49,1 milioni di euro. Dopo l’accordo con l’Agenzia delle entrate la Sampdoria ne pagherà 17,7. Dunque l’erario ha rinunciato a incassare dalla società doriana 31,4 milioni di euro, che uniti ai circa 69,1 milioni abbuonati al Genoa fanno una cifra di 100,5 milioni di euro. Soldi che in qualche modo saranno i cittadini italiani a compensare. Ma nel caso della Sampdoria la questione dei debiti verso le casse dello stato non si ferma qui.

Nel conto va messa anche l’escussione da parte delle banche della garanzia Sace. Tale garanzia è stata un’opportunità messa a disposizione delle società di calcio nei giorni del Covid per consentire loro di tamponare la grave crisi di liquidità.

Ad avvalersi della possibilità sono state soltanto tre società: le due genovesi e l’Udinese. Ma con la peculiarità che la Sampdoria non ha restituito agli istituti di credito i prestiti garantiti da Sace e questi hanno incamerato la garanzia. Si tratta di 48 milioni di euro che la società blucerchiata potrà restituire allo stato a condizioni che definire di favore è largamente riduttivo.

La cifra potrà infatti essere restituita per intero fra vent’anni, cioè il 31 dicembre 2043, con un tasso d’interesse annuo del 2,5 per cento che è nettamente inferiore a quello applicato per operazioni di questa portata e con persino un’ulteriore condizione di favore: si può scegliere di versare soltanto lo 0,25 per cento annuo mentre il restante 2,25 per cento può essere capitalizzato.

E se non bastasse, nel caso che la società venga ceduta prima del 2043 (cioè nell’ipotesi per la quale tutti stanno lavorando), la Sampdoria sarà tenuta a restituire soltanto la metà del debito (24 milioni di euro), mentre la restante metà dipenderà da quanto l’attuale proprietà dovesse incassare dalla cessione.

Ergo, ai 100,5 milioni di euro del mancato incasso per l’agenzia delle entrate andranno aggiunti, con ogni probabilità, altri 24 milioni di euro non restituiti alle casse pubbliche.

Nuove proprietà

A margine di tanta generosità qualcuno potrebbe dire che essa possa in parte essere giustificata dal fatto che la massa debitoria sia stata accumulata durante gli anni delle vecchie proprietà (quella di Enrico Preziosi nel caso del Genoa e quella di Massimo Ferrero nel caso della Sampdoria), e che dunque sarebbe ingiusto farne scontare le conseguenze alle nuove proprietà costituite da 777 Partners per quanto riguarda i rossoblù e dal duo composto da Andrea Radrizzani e Matteo Manfredi.

Argomentazione che trova un’obiezione immediata nel caso del Genoa, dove la proprietà statunitense è alla sua terza stagione e in questo lasso di tempo non ha certo lesinato quanto a spese per il calciomercato e per l’ingaggio-esonero di allenatori. Dunque almeno una parte di queste risorse avrebbe potuto essere impiegata per assolvere ai doveri fiscali. Ma al di là del caso singolo, l’argomento del perdonismo fiscale nei confronti delle nuove proprietà calcistiche è inaccettabile.

Chi compra è tenuto a sapere cosa compra, debiti compresi. E se accetta comunque di farlo, poi non può accampare pretese d’indulgenza da parte dei creditori. Tanto più che se passasse il principio del perdono debitorio verso le nuove proprietà, s’intraprenderebbe una china pericolosa. Se basta cedere una società di calcio per far guadagnare alle nuove proprietà il diritto a farsi abbondantemente sforbiciare il debito, ecco che si regala l’escamotage alle vecchie proprietà per farla franca e socializzare le perdite.

Ovvio che si sta parlando di casi di scuola. Sperando che un caso di scuola non diventi quello delle due società genovesi.

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