Alla fine il cardinale Giovanni Angelo Becciu è stato condannato dal Tribunale vaticano a 5 anni e 6 mesi e all'interdizione perpetua dai pubblici uffici nel processo per la compravendita con fondi della segreteria di Stato dell'immobile situato in Sloane Avenue a Londra.

«Rispettiamo la sentenza ma certamente faremo appello», ha detto, immediatamente dopo la lettura della sentenza da parte del presidente del tribunale Giuseppe Pignatone, Fabio Viglione, avvocato del cardinale che ha pure voluto ribadire l'innocenza del suo assistito.

Becciu, ex sostituto per gli Affari generali ed ex prefetto per le Cause dei santi – carica della quale era stato privato tre anni fa da papa Francesco insieme alle prerogative del cardinalato – era accusato di peculato, abuso d'ufficio e subornazione di testimone.

Nei suoi confronti il ​​promotore di giustizia Alessandro Diddi aveva chiesto la condanna a sette anni e tre mesi di reclusione.

Si chiude così una lunga vicenda processuale che ha visto sul banco degli accusati un cardinale di Curia e per questo ha avuto un'attenzione mediatica mondiale. Restano i dubbi su un procedimento che, fortemente voluto dal papa, non è riuscito a diradare tutte le ombre circa il funzionamento della segreteria di Stato e del Vaticano in generale, nella gestione dell'affare Sloane Avenue in particolare e sul fronte finanziario in una prospettiva più ampia.

Di certo il processo ha contribuito a svelare la gestione opaca e a volte personalistica delle risorse della Santa sede, altro però è provare senza ombra di dubbio la colpevolezza degli imputati, su questa strada per il Vaticano resta ancora della strada da fare.

Becciu al centro della sentenza 

In ogni caso bisogna considerare che il Tribunale vaticano ha condannato Becciu per tutte e tre le vicende contestate dall'accusa: la compravendita dell'edificio di Sloane Avenue, il versamento di somme di denaro alla Caritas di Ozieri e quindi per la questione legata ai suoi rapporti con Cecilia Marogna, in questo caso l'accusa era di truffa aggravata.

In ordine al filone principale del procedimento, cioè la gestione dei fondi della segreteria di Stato, «il Tribunale ha ritenuto sussistente il reato di peculato – recita un comunicato della Santa Sede – in ordine all'uso illecito, perché in violazione delle disposizioni sull' amministrazione dei beni ecclesiastici, della somma di 200.500.000 dollari, pari a circa un terzo delle disponibilità all'epoca della segreteria di Stato».

«Detta somma – si legge ancora - è stata versata tra il 2013 e il 2014, su disposizione dell’allora Sostituto mons. Giovanni Angelo Becciu, per la compravendita di quote di Athena Capital Commodities, un hedge fund (fondo speculativo, ndr), riferibile al dr. Raffaele Mincione, con caratteristiche altamente speculative e che comportavano per l’investitore un forte rischio sul capitale senza possibilità alcuna di controllo della gestione».

Non solo: «Il Tribunale ha quindi ritenuto colpevoli del reato di peculato mons. Becciu e Raffaele Mincione, che era stato in relazione diretta con la Segreteria di Stato per ottenere il versamento del denaro anche senza che si fossero verificate le condizioni previste, nonché, in concorso con loro, Fabrizio Tirabassi, dipendente dell'Ufficio Amministrazione, ed Enrico Crasso. Quanto all’utilizzo successivo della detta somma, servita - fra l’altro - per l’acquisto della società proprietaria del palazzo di Sloane Avenue e per numerosi investimenti mobiliari, il Tribunale ha ritenuto Raffaele Mincione colpevole del reato di autoriciclaggio».

Questo il cuore della sentenza letta dal giudice Pignatone. Ancora, da sottolineare che «in relazione invece al riacquisto da parte della Segreteria di Stato, nel 2018-2019, attraverso una complessa operazione finanziaria, delle società di cui faceva capo la proprietà del palazzo già citato, il Tribunale ha ritenuto la colpevolezza di Torzi Gianluigi e Squillace Nicola per il reato di truffa aggravata e del citato Torzi anche per il reato di estorsione in concorso con Tirabassi Fabrizio, nonché per il reato di autoriciclaggio di quanto illecitamente ottenuto».

Complessivamente sono state comminate pene per 37 anni, la richiesta originaria del promotore di giustizia era di 73 anni per tutti i dieci imputati coinvolti.

Il plauso di Diddi 

Se, dunque, da una parte c'è un ridimensionamento rispetto a quanto chiedeva l'accusa, dall'altra esce confermato però l'impianto complessivo messo a punto dal promotore Diddi.

«Credo che l'impostazione abbia tenuto – ha detto Diddi commentando la sentenza del tribunale – e questa per me è la cosa più importante, credo che in questi processi non bisogna mai esultare per il risultato, un pubblico ministero non può essere mai felice per le condanne, quello di cui sono soddisfatto è che il lavoro lungo e meticoloso ha retto nonostante le contestazioni che ci sono state mosse in questi anni, ci è stato detto che siamo degli incompetenti, degli ignoranti, in realtà il risultato ci dà ragione».

D'altro canto lo stesso Pigantone, in mattinata, prima del pronunciamento della sentenza, aveva affermato in una dichiarazione pubblica, che «come molti di voi hanno rilevato, il dibattimento ha fatto emergere non pochi nuovi elementi di valutazione, non importa qui se a conferma o smentita dell'impostazione iniziale dell'Accusa. Se così è, e il Collegio ne è convinto, risulta confermato che il contraddittorio tra le parti è il metodo migliore per raggiungere la verità processuale e, mi permetto di aggiungere, per cercare di avvicinarsi alla verità senza aggettivi».

Condanne e assoluzioni 

Termina quindi con una sentenza grossa modo in questi termini anche nei sacri palazzi, il processo “monstre” celebratosi in Vaticano che ha preso il via il 27 luglio 2021, dopo una lunga fase istruttoria. Dieci erano gli imputati rinviati a giudizio, il più celebre dei quali era senza dubbio il cardinale Becciu accusato di peculato, abuso d'ufficio e subornazione (l'offerta di denaro a un testimone per spingerlo a testimoniare il falso), quindi fra gli imputati figuravano René Brülhart e Tommaso Di Ruzza, rispettivamente ex presidente ed ex direttore dell'Aif (l'Autorità di Informazione finanziaria, ora Asif) accusati di abuso d'ufficio, il primo, e peculato, abuso d'ufficio e violazione del segreto d'ufficio, il secondo.

I due sono «intervenuti nella fase finale del riacquisto del Palazzo di Sloane Avenue» e «sono stati assolti dei reati di abuso di ufficio loro contestati e ritenuti colpevoli solo dei delitti per omessa denuncia e per la mancata segnalazione al Promotore di giustizia di un' operazione sospetta».

Entrambi condannati a una multa di 1.750 euro. Enrico Crasso, esperto di finanza e per lunghi decenni gestore dei fondi della segreteria di Stato, è stato condannato a 7 anni di reclusione con interdizione perpetua dai pubblici uffici; monsignor Mauro Carlino, segretario personale dei due sostituti della segreteria di Stato, (accusatore estorsione e abuso di ufficio) è stato assolto; il finanziere Raffaele Mincione (peculato, truffa, abuso d'ufficio, appropriazione indebita e autoriciclaggio) condannato a 5 anni e se mesi di reclusione; l'avvocato Nicola Squillace, (truffa, appropriazione indebita, riciclaggio ed autoriciclaggio) previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, è stato condannato “alla pena – sospesa – di anni uno e mesi dieci di reclusione”.

Fabrizio Tirabassi, ex dipendente della segreteria di Stato, (corruzione, estorsione, peculato, truffa e abuso d'ufficio) 7 anni e 6 mesi di reclusione e interdizione perpetua dai pubblici uffici; il broker Gianluigi Torzi, (estorsione, peculato, truffa, appropriazione indebita, riciclaggio ed autoriciclaggio) 6 anni di reclusione, per Cecilia Marogna, infine 3 anni e 9 mesi. 

Infine, «il Tribunale ha ordinato la confisca per equivalente delle somme costituenti corpo dei reati contestati per oltre 166 milioni di euro complessivi. Gli imputati sono stati infine condannati, in solido tra loro, al risarcimento dei danni a favore delle parti civili, liquidati complessivamente in oltre 200 milioni di euro».

Ora ci sarà l'appello, i legali di Becciu hanno ripetuto che: «Nonostante la pronuncia ci amareggi profondamente, abbiamo una solida certezza: il Cardinale Becciu, fedele servitore del Papa e della Chiesa, ha sempre agito nell'interesse della segreteria di Stato e non ha avuto per sé e per i suoi familiari alcun vantaggio».

Tuttavia, allo stato delle cose, sembra difficile che nel secondo grado di giudizio possa esserci uno stravolgimento della sentenza.

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