Poco più di quattrocento chilometri dividevano ieri il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, e il segretario di Stato americano, Antony Blinken. Il primo ha tenuto un discorso trasmesso in una Beirut gremita di persone intente ad ascoltare le sue prime parole dall’inizio del conflitto tra Israele e Hamas. Il secondo si trovava a Tel Aviv per compiere il suo secondo tour diplomatico nella regione per evitare un allargamento del conflitto e trovare una mediazione.

Nasrallah e Blinken hanno parlato pubblicamente quasi alla stessa ora. Nel suo discorso a Tel Aviv, il capo della diplomazia americana ha dettato le linee guida di Washington nel conflitto. Come da giorni ha già detto la Casa Bianca, gli Stati Uniti non sono d’accordo con il cessate il fuoco perché permetterebbe ad Hamas di riorganizzarsi. Non è in dubbio neanche il sostegno a Israele. «Sosteniamo fermamente la tesi secondo cui Israele non ha solo il diritto ma anche l’obbligo di difendersi e di assicurarsi che il 7 ottobre non si ripeta mai più», ha affermato Blinken che si è detto inorridito dal fatto che l’attentato di Hamas sia già dimenticato nella memoria dell’opinione pubblica internazionale. Se il cessate il fuoco è lontano, si spinge, però, per pause temporanee e localizzate. L’obiettivo è far evacuare i civili e continuare a distribuire gli aiuti umanitari nella Striscia.

Poco dopo l’incontro con il segretario di Stato americano, però, Netanyahu ha respinto le «pause umanitarie» richieste da Blinken, almeno finché Hamas non avrà liberato gli oltre 200 ostaggi israeliani.

L’emissario del presidente Joe Biden ha anche iniziato a gettare le basi per il post guerra rimarcando la necessità di lavorare subito insieme agli altri attori della regione per garantire gli accordi sui due stati. «L’unica strada per la pace sia una soluzione a due Stati, unica garanzia per uno Stato ebraico sicuro e democratico e per una realizzazione dei legittimi diritti dei palestinesi», ha detto Blinken che sta provando a dare un obiettivo alla campagna militare del governo di Israele nei giorni in cui i suoi soldati sono entrati a Gaza City.

Netanyahu ha ribadito: «Non demorderemo fino alla vittoria e ripristineremo la sicurezza per i nostri cittadini». E ha aggiunto: «Ai nostri nemici dico: ogni errore vi costerà caro e il prezzo che pagherete non lo potete neppure immaginare». Le forze israeliane stanno operando a pieno regime su più fronti sia all’interno della Striscia ma anche in Cisgiordania, dove ieri una serie di attacchi aerei hanno ucciso sei persone. L’esercito ha anche annunciato di aver ucciso Mustafa Dalul, un comandante di Hamas che avrebbe diretto i combattimenti a Gaza. Ma su queste non ci sono ancora conferme. Intanto, il ministro degli Affari esteri degli Emirati Arabi Uniti ha avvertito che la temperatura nella regione «si sta avvicinando al punto di ebollizione». Dalla Turchia Erdogan ha alzato nuovamente i toni: «Per dirla senza mezzi termini: crimini contro l’umanità sono stati commessi a Gaza esattamente da 28 giorni». E ha annunciato che sta lavorando per ospitare una conferenza internazionale di pace. L’ultima si è tenuta al Cairo qualche settimana fa, ma non ha portato ad alcun risultato. La Francia ospiterà invece una «conferenza umanitaria» il prossimo 9 novembre.

Per Blinken le prossime tappe saranno domani in Giordania e domenica in Turchia, dove incontrerà il presidente Recep Tayyip Erdogan a pochi giorni dalla visita ad Ankara del ministro degli Esteri iraniano Hossein Amirabdollahian

La linea libanese

Il leader di Hezbollah ha attaccato gli Stati Uniti e Israele, ha espresso solidarietà alla causa palestinese e ha definito come giusto e senza precedenti l’attacco di Hamas del 7 ottobre scorso. «A Gaza c’è una guerra storica, nulla sarà più come prima», ha detto Nasrallah che ha tenuto comunque un discorso “distensivo” rispetto alle aspettative. Il leader sciita ha specificato a migliaia di arabi musulmani tra Iran e Iraq che Hezbollah non ha avuto alcun coinvolgimento nelle azioni di Hamas. «L’operazione è stata completamente decisa ed eseguita dai palestinesi, per la causa e le persone della Palestina, e non per altre cause». Ha chiesto l’apertura di corridoi umanitari, sulla falsa riga del suo nemico politico Blinken. «Dobbiamo fare di più per proteggere i civili palestinesi – ha infatti detto il segretario di Stato – Siamo stati chiari sul fatto che, mentre Israele conduce la sua campagna per sconfiggere Hamas, il modo in cui lo fa è importante».

Crisi umanitaria

Ieri il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, ha annunciato che altri sette concittadini sono riusciti a lasciare Gaza passando per il valico di Rafah. In totale sono 17 gli italiani con doppia cittadinanza italo-palestinese e i relativi familiari palestinesi evacuati finora. Ma la crisi umanitaria è senza precedenti. Secondo il portavoce dell’ufficio delle Nazioni unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (Ocha), Jens Laerke, il numero di sfollati è vicino a 1,5 milioni unità. Ovvero circa il 70 per cento della popolazione. Circa metà degli sfollati hanno trovato rifugio all’interno di 150 edifici e strutture gestite dall’Onu. Ieri è stata anche bombardata la sede dell’agenzia France Presse a Gaza che è gravemente danneggiata. Mentre secondo Al Jazeera è di almeno 15 morti e decine di feriti il bilancio del raid sull’ingresso dell’ospedale al-Shifa di Gaza City.

La tutela dei giornalisti

Durante la conferenza stampa, Blinken ha anche chiesto tutele per i giornalisti che nell’ultimo mese «stanno svolgendo un lavoro straordinario nelle condizioni più pericolose per raccontare la storia al mondo, questo è qualcosa che ammiriamo profondamente, rispettiamo profondamente e vogliamo assicurarci che siano protetti». Poche ore prima è stato ucciso il 36esimo giornalista dall’inizio del conflitto (31 palestinesi, 4 israeliani e un libanese). Si tratta di Mohammed Abu Hatab. Lavorava per una televisione locale e insieme a lui sono stati assassinati anche undici membri della sua famiglia. Dal 7 ottobre scorso è morto più di un giornalista al giorno.

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