A mezzogiorno la piazza del comune di Nembro è vuota come in quei giorni di marzo e aprile 2020, quando il virus si è portato via una generazione. «Oggi però non c’è nessuno perché la gente o è a pranzo o è al lavoro». Sorride Filippo Carobbio, riguardando la piazza dallo stesso ufficio che è stato casa sua per quasi tre mesi. Il piccolo borgo della Val Seriana è stato il centro più colpito dal Covid-19 durante la prima ondata. A Nembro se ne sono andati il presidente della casa di riposo, il primo storico bibliotecario, la commerciante di casalinghi, l’ostetrica, il contabile della parrocchia, la bidella. Le campane avevano perfino smesso di suonare, per alleviare il senso di morte. La prima vittima è del 24 febbraio, l’ultima del 30 aprile: 188 persone, 94 solo nelle prime due settimane. «Erano la nostra storia», spiega il sindaco Claudio Cancelli.

Per scrivere la storia della nuova Nembro, quella post lockdown, c’è stato bisogno di tante piccole storie di solidarietà. Come un ex calciatore di Serie A che si mette a rispondere al centralino del Municipio. «Pronto, sono Filippo, come posso aiutarla?». Niente San Siro, niente Olimpico, solo una finestra su una piazza vuota. Una vista surreale, come la sua architettura metafisica anni ’30. «Qui sotto c’è un crocevia dalla mattina alla sera, affacciarmi e vedere sempre il deserto è l’immagine che ho in mente ancora adesso», rivela Carobbio.

Voce di paese

In paese lo conoscono tutti, perché ha marcato Vieri e Shevchenko, ma anche perché è stato condannato per il calcio scommesse. Diventato collaboratore di giustizia, ha scontato una squalifica di 26 mesi. «Per tutti era una situazione nuova - racconta - Ho sentito che il Comune cercava volontari e ho contattato il vicesindaco Massimo Pulcini. Il giorno dopo mi hanno spiegato cosa dovevo fare. Non sapevo neanche per quanto avrei prestato servizio». Lo ha fatto per 77 giorni, dal lunedì alla domenica, dalle 8 alle 10:30. «Con i dipendenti a casa, tutti col virus, ero io a dare le informazioni», rivela l’ex Reggina. Prima c’è stato il periodo delle certificazioni: «Ci si può spostare? Se sì, dove?», poi quello delle mascherine ormai introvabili. A volte, più semplicemente, si trattava di consolare qualcuno che era rimasto da solo.

Credits: Marco Quaranta

Per pudore si presentava solo con il nome, per non farsi riconoscere. «In questi anni in tanti mi hanno giudicato senza sapere realmente come stavano le cose», confessa. «Non si è pensato alla mia persona e al male che potevano farmi certe cose». Carobbio ha sopportato e mandato giù, «doveva comportarsi così». Sono stati momenti difficili. Pochi mesi dopo la condanna ha provato a iscrivere una piccola squadra all’oratorio. Gli hanno detto di sì, ma solo dopo esser passati da una votazione. Il motivo? In tanti non lo volevano.

Gli occhi di mio figlio

Quasi dieci anni dopo, ha fondato un scuola calcio dedicata anche ai bambini disabili e ha fatto dei  valori sportivi la sua missione. «Non puoi vincere se prima non impari a perdere», si legge sulla homepage della Nembrese Accademy. E di cose Carobbio ne ha perse tante: soldi (il motivo per cui va ancora a lavorare), credibilità e anche il rispetto di una parte dei suoi concittadini. «Ho tenuto duro, ma non mi andava di lasciare il posto in cui sono cresciuto. Ci ho pensato tante volte, più che altro per proteggere la mia famiglia», svela. Le stesse persone che credeva di dover tutelare sono state invece la sua forza. Quando ha dovuto spiegare al figlio di 5 anni cosa avesse combinato, la risposta l’aveva spiazzato: «Papà, hanno fatto bene a punirti». Quando parla dei suoi ragazzi, Carobbio si illumina in volto. «Spero che ora siano orgogliosi di me e del mio piccolo contributo». Non solo con il volontariato. Carobbio ha infatti creato una speciale linea di magliette, devolvendo il ricavato alle varie associazioni del paese.

Se lo tiene per sé, sono altri a riferirlo. «È stato un esempio di umiltà», ammette Floria Lodetti, assessore ai Servizi Sociali. «Non era facile gestire le lamentele dei nembresi. In quel momento rappresentava il Comune e più che gli onori, si prendeva gli oneri. Il buono in lui c’è sempre stato, ora qualcuno si sarà ricreduto». La pensa così anche il fotografo Marco Quaranta, che gli ha dedicato una pagina di “Preghiera per Nembro”, un libro di scatti della pandemia che nei primi due giorni ha venduto più di mille copie: «C’era sempre, anche nei giorni più complicati, quando la gente aveva paura di andare all’Anagrafe per denunciare la morte dei propri cari».

Il riscatto sul campo

Non vuole parlare di rivincite Carobbio, ma fa un’eccezione per il campo. Da giugno allena il Brusaporto, nel girone B di Serie D. Dopo qualche difficoltà a inizio stagione, la squadra sta andando decisamente bene ed è quarta in classifica, in piena zona play-off. Una promozione significherebbe per l’ex calciatore il rientro tra i professionisti per la prima volta dopo la squalifica. «C’ero già andato vicino col Ciliverghe. Nel 2014 ero tornato a giocare e siamo arrivati secondi - confessa con un filo di malinconia - Avevo detto al mio presidente che in caso di vittoria del campionato mi sarei incatenato allo spogliatoio pur di fare almeno un’ultima stagione in C. Ora c’è questa nuova opportunità, a cui penso continuamente».

È un ambizioso, Carobbio, ha sempre in mente il futuro e se guarda al passato, lo fa solo con la consapevolezza di essere una persona diversa: «Spero di allenare in Serie B tra cinque anni, in A è più complicato, non so se me lo permetteranno». Ma questi sono pensieri lontani, di un tempo che ancora non c’è. Ora invece sono le due e la piazza del Comune è tornata a riempirsi. Un anziano aiuta un operatore ecologico a pulire delle cartacce. In questo borgo in mezzo incastrato tra le montagne funziona così. Nella vita come sui sentieri: se qualcuno si trova in difficoltà, gli si dà una mano. È la legge del paese. Quella che ha seguito anche Carobbio.

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