Immaginare il futuro del vino durante la vendemmia più difficile degli ultimi anni è un’impresa ardua. Ci vuole visione, ma anche dati dal campo e dal mercato mondiale. A leggere queste informazioni ci sono sempre più donne, sempre più giovani e in sintonia con il settore. Ferve l’interesse per l’Italia, complici bollicine e rosati. Ma il mercato sembra ricercare sempre più identità nazionale, vitigni autoctoni e tutto ciò che di unico si trova tra i nostri filari

Poca quantità, tanto valore

Quella del 2023 sarà ricordata come una vendemmia a due velocità. Secondo l’analisi del Centro Viticoltura ed Enologia al 30 agosto 2023 si stimava una contrazione del 5-10 per cento al centro sud, dovuta alla diffusione della peronospora. Al nord la situazione produttiva prevedeva un leggero incremento di circa il 10 per cento. La Romagna, funestata dall’alluvione del maggio scorso, stimava perdite fino al 15 per cento. Sofferenze produttive anche per la produzione in biologico, che ha patito di più le condizioni meteo avverse. Perdite medie stimate: -15 per cento al centro nord, con picchi oltre il 50 per cento al sud. Insomma, una vendemmia 2023 poco bio, ma con risultati diversi a seconda delle latitudini nazionali, fattore che condizionerà anche il lavoro in cantina.

«Gli effetti dei cambiamenti climatici iniziano a vedersi, spiega Marzia Varvaglione». Classe 1989 è responsabile marketing & sales di Varvaglione 1921 e presidente Associazione dei giovani imprenditori vinicoli italiani (Agivi). In Puglia la peronospora ha colpito duro. Ma nella cantina di Leporano (Ta), sono arrivate uve sane, solo in quantità ridotte.

Sabina Pellegrini definisce l’annata 2023 sorprendente. Classe 1996, è l’export manager di Villa Corniole, cantina di Giovo (Tn. Grazie alla ventilazione naturale della Valle di Cembra, le uve non hanno subito danni, complice anche la frammentazione dei vigneti. «I grappoli rossi sono un po’ più in ritardo, come avveniva in passato».

Nicole Vezzola, classe 1989, export manager di Costaripa, cantina di Moniga del Garda (Bs). Insieme a papà Mattia portano avanti la tradizione familiare, costruita su 50 ettari vitati a cavallo delle Doc Valtenesi e Lugana. Si è lottato contro grandine e caldo, ma si è raccolto anche ottimo Pinot Nero e Chardonnay, le uve del metodo classico. «La 2023 sarà un’annata che ci obbligherà a rappresentare e tutelare sempre di più la nostra identità territoriale. Fare grandi vini in grandi annate è facile. Quest’anno si dovrà lavorare di più».

Silvia Zucchi, classe 1990, è titolare con papà Davide di Cantina Zucchi a San Prospero (Mo), nel cuore della Doc del Lambrusco di Sorbara. La grandine ha dato parecchio da fare. Nelle annate più difficili come questa, a salvare il risultato ci pensano le vecchie vigne. «Non c’è bisogno di fare storytelling terroristico su questa vendemmia, ma bisogna avere sincerità nel racconto in bottiglia».

Sara Cecchetto, classe 1992, è responsabile sostenibilità dell’Azienda Agricola Giorgio Cecchetto, di Motta di Livenza (Tv). Premiata nel febbraio 2022 con il titolo “Giovane Imprenditrice” dalla Camera di Commercio di Venezia Rovigo, con suo fratello Marco puntano a portare l’azienda a trattenere più anidride carbonica di quella emessa entro il 2026. Terza generazione di produttori, dopo la prematura scomparsa di papà Giorgio, avvenuta durante la stesura di questo articolo, portano avanti una cantina con 32 collaboratori, 224 ettari di vigneti e circa dieci milioni di fatturato. «Sarà un anno dai toni moderati, in quanto alle incertezze legate alla vendemmia si aggiungono l’inflazione, l’aumento dei costi e un potere di acquisto strutturalmente in calo da anni. Fondamentale, dunque, avere una strategia di comunicazione che punti a valorizzare l’originalità e la sostenibilità dei vini».

Cambiamento climatico e sfide

Secondo gli esperti l’orizzonte temporale in cui agire per tentare di arginare gli effetti del cambiamento climatico è di corto raggio. Intanto, le aziende vitivinicole corrono ai ripari. Varvaglione si affida alla tecnologia. «Raccogliere dati è fondamentale. Abbiamo installato una colonnina weather forecast, che ci permette di analizzare il terreno, controllare l’umidità sulle foglie, programmare trattamenti mirati in modo da non sovraccaricare le piante. Usiamo droni per scansionare la vite dall’alto e attraverso spettro camere analizzarne le carenze. Ciò permette di diminuire le emissioni, compensando quelle emesse dai mezzi agricoli». L’azienda, certificata Qualitas, è al lavoro per migliorare l’efficienza energetica, il proprio consumo idrico e tutelare la biodiversità in campo.

A Villa Corniole il cambiamento climatico sta spingendo la famiglia Pellegrini a spostare i vigneti sempre più in quota. «Sperimentare con le varietà sarà la sfida al nuovo clima. Abbiamo iniziato con varietà resistenti come il Solaris e il Müller Thurgau», commenta Pellegrini.

«Le annate difficili da gestire non sono più un eccezione», spiega Vezzola, «noi stiamo investendo nella campagna: vogliamo rendere le nostre viti autosufficienti, con un sistema immunitario predisposto all’adattamento climatico. Per farlo, bisogna investire sull’apparato radicale, portandolo sempre più in profondità. L’anno scorso ci sono state poche piogge e noi avevamo vigneti verdi senza irrigazione. Contro la grandine non defogliamo: la miglior protezione è la foglia stessa. Non usiamo reti per non ostacolare il vento: serve per avere uve sane. La vite ha memoria: noi assecondiamo questo istinto».

Anche le nuove epidemie sono pericolose. «Lavoriamo il terreno per evitare l’evaporazione dell’acqua», aggiunge Zucchi. «Abbiamo creato sovesci, ma senza gli inverni freddi del passato, dobbiamo fronteggiare insetti “cattivi” come lo Scaphoideus titanus, la cicalina responsabile della flavescenza dorata. Inoltre, per mancanza di incentivi e attenzione, non c’è sinergia con i coltivatori sulle buone pratiche di campagna, come il taglio delle piante malate».

Negli ultimi anni l’Azienda Agricola Giorgio ha ridotto gli impatti lungo la filiera: dalla produzione, al packaging, fino al post acquisto, senza dimenticare l’ambito sociale, il coinvolgimento e l’inclusione delle comunità locali. «Cerchiamo di gestire al meglio l’acqua, adottando sistemi di monitoraggio dell’umidità del terreno, che ci permettono di capire quando e come irrigare il vigneto», spiega Zucchi, «Abbiamo adottato nuove tecniche agronomiche, come la corretta distribuzione dei grappoli e una minuziosa gestione della parete fogliare, attraverso sfogliature mirate durante tutta la stagione produttiva. Così l’aumento delle temperature e l’esposizione diretta dei grappoli non impattano su aromi e sulla freschezza del vino, facendo aumentare anche la componente alcolica. Inoltre, i vitigni autoctoni presentano un migliore adattamento ai cambiamenti climatici».

Export: cosa cercano gli stranieri nel nostro vino

Gli aumenti delle materie prime hanno provocato una crescita dei prezzi delle bottiglie, giunta anche al 15 per cento. Il prezzo alto è un fattore riconosciuto e percepito, che fa gioco nella conquista del mercato estero. «Le generazioni più mature sceglieranno vini più strutturati e austeri», spiega Varvaglione. «I più giovani cercheranno vini no/low alcool, anche se in Italia non ci sono ancora leggi chiare in merito. Si cercano vini dalla beva più facile per un consumo più consapevole. Importante però non demonizzare un alimento da sempre presente nella dieta mediterranea».

«Si va alla ricerca di freschezza, profumi e acidità», dice Pellegrini. «Inoltre, i vini di montagna stanno conquistando gli stranieri. C’è più spazio per il metodo classico Trentodoc e si va in cerca di varietà autoctone».

Forte della sua esperienza in Champagne, Vezzola spinge verso un pensiero radicale. »Dovremmo capire che è il territorio a comandare, e non il mercato. All’estero ci si aspetta vini italiani di identità. Basta Cabernet e Merlot: abbiamo un patrimonio da valorizzare. L’export deve iniziare a rispecchiare la volontà del mercato italiano». Le fa eco Cecchetto: «Si valuta il legame fra territorio-vite-vino, che rappresenta il vero valore aggiunto. Bisogna partire dal presupposto che il vino può essere imitato, mentre il territorio no».

Attraverso il suo lavoro Silvia Zucchi si è impegnata a valorizzare il Lambrusco. Vino spesso sottovalutato, oggi è ricercato nelle sue diverse sfumature, in Italia e all’estero. «Si aspettano verticalità, acidità e qualità. Il Lambrusco si presta all’invecchiamento grazie ai suoi conservanti naturali unici. Ciò ci aiuta a valorizzare il prodotto. Facciamo poche bottiglie anche per questo».

I trend nel bicchiere

Il trend più forte resta quello delle bollicine. La produttrice Diletta Tonello ha sfoggiato un cartello che recitava: “Smettetela di chiamare Prosecco ogni vino frizzante”. Rivolta agli stranieri, sottolinea un problema comunicativo. «Ma grazie ai consorzi sta aumentando la consapevolezza attorno a questo prodotto», aggiunge Varvaglione. «Si sta spumantizzando un po’ di tutto, ma la verità è che ci sono zone più vocate e altre meno», sottolinea Pellegrini. Oggi si fa metodo classico dall’Alta Langa all’Etna, «ma ci vuole cultura nella valutazione del prodotto», fa eco Vezzola.

Fortissima anche la spinta sul rosé. «Puglia e Abruzzo sono stati precursori di questo trend», dice Varvaglione. «Oggi dall’America giunge il white Zinfandel, detto anche white Zin, un rosato molto dolce, che sta saturando il mercato». «Il rosé non è un colore, ma un vino rappresentativo di un territorio», dichiara Vezzola. «Non si pretende che un Pinot Nero abbia lo stesso colore di un Cannonau. Così non si può pretendere che un rosé della Valtenesi sia uguale a un prodotto fatto in Salento». In questa tendenza il Lambrusco ha gioco facile, confermato dall’aumento di vendite.

Un altro trend è il ricambio generazionale in azienda. «Prima si faceva più marketing e si stava meno in campagna, oggi avviene il contrario perché parte tutto da lì», dice Zucchi. Le nuove leve spingono sulla sostenibilità a 360 gradi. Inoltre, si parla sempre più di enoturismo come un driver economico importante per l’economia italiana. «Chi si muove verso una cantina vuole visitare il territorio circostante, approfondire la storia, il contesto sociale e geografico, dando radici al prodotto sperimentato nel calice», spiega Cecchetto. «Grazie al Lambrusco e alle nostre attività in cantina, abbiamo dato al turista un motivo in più per visitare Modena».

Dove va il vino

«Il futuro del vino sarà legato alla sostenibilità della sua produzione. Le persone, e in particolare i giovani, non cercano più la miglior azienda “al” mondo, ma la migliore “per” il mondo», afferma Sara Cecchetto. Per Marzia Varvaglione «ci sarà più attenzione all’abbinamento cibo vino». In più, aprire una bottiglia non sarà un atto scontato perché «il vino non sarà più per tutti», spiega Silvia Zucchi, «sarà più difficile produrlo e, per questo, bisognerà sottolineare il valore delle bottiglie e non l’abbondanza». La tecnologia aiuterà i viticoltori a lavorare, ma anche a comunicare con i consumatori del futuro. «Al Prowein c’era un intero padiglione dedicato ai vini dealcolizzati. Una buona percentuale di consumatori chiedono vini a bassa gradazione alcolica: bisogna valutare il percorso, senza snaturare la nostra tradizione. In più, si cercheranno vini legati a storie di famiglia, unici e riconoscibili. La gente berrà meno, ma spenderà di più alla ricerca di storie, qualità e innovazione», aggiunge Sabina Pellegrini. «Il cambiamento climatico porterà a fare una selezione naturale dei vini di identità e vocazion»,  sottolinea Nicole Vezzola: «Le nuove generazioni avranno una visione del vino più profonda».

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