È una storia di adattamento e di ricerca, quella della viticoltura siciliana, come quella iniziata fin dai primi anni Sessanta del secolo scorso nella tenuta Regaleali. È qui che, ad esempio, venne piantata la prima pianta per la produzione di vino da vigna unica in Sicilia. Quello che verrà poi chiamato Rosso del Conte. Ma è una storia che riguarda buona parte delle aziende vitivinicole siciliane, fatte di vitigni unici, di piccole parcelle, di terreni con caratteristiche diverse racchiuse in pochi metri di superficie. Una rarità certo, ma anche un valore aggiunto, che ha reso queste terre un laboratorio a cielo aperto su cui sperimentare nuovi modi di produrre vino, in una sorta di patto con il territorio. Un patto che potrebbe essere definito “di rigenerazione”, in una delle terre al centro del Mediterraneo e tra le più esposte agli effetti dei cambiamenti climatici.

«Quest'anno avremo una produzione inferiore del 40 per cento», racconta Michele Brusaferri agronomo presso Tasca d'Almerita arrivato sull'Etna dopo aver studiato la vite in mezza Europa. «La vendemmia si è conclusa da poche settimane, ed è stata una corsa contro il tempo». La Sicilia infatti, dopo un 2022 generoso di precipitazioni, ha dovuto affrontare un anno particolarmente siccitoso e caldo. Fluttuazioni annuali certo, ma che si inseriscono in una tendenza ormai piuttosto consolidata. «Ciò a cui stiamo assistendo è un incremento dei periodi caldi e siccitosi, con un aumento delle temperature medie, in particolare quelle estive» conferma Gaetano Maccarone, direttore tecnico di produzione.

«Questo sta portato all'accorciamento del periodo di maturazione delle uve: prima la vendemmia andava da agosto a fine ottobre, ora abbiamo solo agosto e settembre». Una corsa contro il tempo – dato che si parla di una contrazione di un terzo del periodo di vendemmia – che porta ad avere molto raccolto in pochissimi giorni, con tutte le difficoltà nel gestirlo. Ecco allora che già quindici anni fa in queste zone si è iniziato a piantare innesti più resistenti alla siccità, grazie anche alla ricerca portata avanti nelle università italiane.

La certificazione SOStain

Ma c'è di più e qui in Sicilia pare che i viticoltori abbiano le idee piuttosto chiare: fare rete creando un programma innovativo per la vitivinicoltura siciliana. La Sicilia infatti è stata la prima regione italiana a sviluppare, nel 2020, un protocollo di sostenibilità nato proprio dalle esigenze dei produttori. SOStain, così il nome del programma nato dalla collaborazione tra il Consorzio di tutela vini Doc Sicilia e da Assovini Sicilia, ha lo scopo di certificare la sostenibilità del settore vitivinicolo regionale.

Una parola forse abusata negli ultimi anni, in tutti i settori, ma che se perseguita con trasparenza e ricerca, può dare le risposte di cui l'agricoltura, ma non solo, ha bisogno in questo periodo di crisi ecologica. L'idea stessa alla base sembra quasi scontata, ma è invece visionaria e certamente non di semplice applicazione in un settore – come quello del vino – estremamente competitivo nel mercato globale. Ecco allora che i principi si basano sul coinvolgimento delle comunità locali, sulla valorizzazione del territorio circostante e la conservazione delle risorse naturali.

Un disciplinare composto da dieci requisiti minimi che includono aspetti che vanno dalla misurazione dell'impronta idrica, passando dalla carbon footprint (impronta di carbonio, ovvero le emissioni di CO2 prodotte dalle varie attività), alla conservazione della biodiversità floristica e faunistica. «Con questo approccio ci occuperemo non solo di agricoltura ma di gestione aziendale a tutto tondo» spiegava Alberto Tasca, presidente della Fondazione durante il lancio dell'iniziativa.

Non solo uve e vino, certo fondamentali, ma anche filiera. E il vetro in questo senso diventa uno dei protagonisti di questo progetto, materiale nobile e fondamentale per l'industria alimentare. Da qui la nascita del progetto “Cento per Cento Sicilia” con l'obiettivo di promuovere l’economia circolare e di ridurre gli sprechi nel settore, grazie ad una bottiglia locale realizzata completamente dalla vetreria O-I dello stabilimento di Marsala e composta da almeno il 90 per cento di vetro riciclato proveniente esclusivamente dalla regione e con un peso di 410 grammi che garantisce un significativo risparmio energetico nella fase di produzione. Una singola bottiglia rappresenta un territorio, le sue industrie, le materie prime recuperate e riciclate.

Un vino biodiverso

Ma le aziende con una superficie maggiore di quindici ettari che decidono di entrare a fare parte del programma, accettano anche di mantenere zone naturali per almeno il 5 per cento della superficie aziendale. Questo significa mantenere le alberature di roverella o castagno e altre specie vegetali adatte a quel particolare microclima. «Pratichiamo l'inerbimento, ovvero un prato erboso tra i filari che permette ad esempio di ridurre il dilavamento e l'erosione dei terreni» spiega Maccarone.

«Inoltre adottiamo la tecnica del sovescio, che ci ha permesso di ridurre la concimazione che avviene ogni tre o quattro anni». Infatti il disciplinare prevede che i pesticidi, i fertilizzanti, e prodotti chimici in generale, siano soggetti a restrizioni, utilizzando i prodotti di sintesi solo quando e se strettamente necessari, scegliendo molecole a bassa tossicità (quindi niente diserbanti o sistemici).

Lo scorso anno, lo stesso Consorzio, in collaborazione con l'università di Palermo e l'università di Milano, cinque imprese enologiche e un'impresa vivaistica, hanno lanciato il progetto Bi.Vi.Si (Valorizzazione della biodiversità viticola siciliana), con l'obiettivo di valorizzare alcuni vitigni autoctoni e le cosiddette reliquie. Ciò avverrà attraverso uno profondo programma di studio che permetterà di definire strategie agronomiche ed enologiche volte alla realizzazione di nuovi vini, attraverso ad esempio la valutazione di nuovo materiale di impianto o il trasferimento delle migliori pratiche agronomiche per la gestione dei biotipi, dei vitigni minori e delle reliquie oggetto del programma.

Tradizione e ricerca quindi, in un continuum tra generazioni e saperi antichi. E sostenibilità quella vera, misurabile e replicabile, scelta da una filiera radicata sul territorio e che vuole fare parte del futuro del vino, tra innovazione e conservazione del territorio. E che si spera possa essere da esempio nel resto d'Italia e perché no, nel mondo.


 

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