Oltre tre milioni di euro spesi per un servizio che ancora non è entrato in funzione, nonostante sia atteso da anni. E ancora a luglio sono stati messi in conto altri esborsi per terminare il sistema di allerta via smartphone. Un messaggio avrebbe potuto avvertire la popolazione colpita dal maltempo, e dalla conseguente frana, a Casamicciola.

Sarebbe stata sufficiente una notifica di allarme sul telefono delle persone presenti nella zona flagellata dalle piogge che hanno provocato il disastro. Se tutto fosse secondo le previsioni, nel rispetto delle richieste europee, ci sarebbe stato così uno strumento di informazione in più: il sistema It-Alert del Dipartimento di Protezione civile, messo in cantiere dal 2019. Ma non è accaduto, perché è attivo solo in fase sperimentale come si legge sul sito ufficiale.

Pioggia di milioni

La gestione del dossier spetta appunto alla Protezione civile, al cui vertice nel frattempo è arrivato Fabrizio Curcio al posto di Angelo Borrelli che aveva seguito i primi passi dell’iniziativa. Il dipartimento ha stipulato una convenzione triennale, per un milione e mezzo di euro, con la fondazione Centro interuniversitario di monitoraggio ambientale (Cima), un ente di diritto privato con sede a Savona, controllato proprio dalla Protezione civile.

L’accordo, sottoscritto il 23 dicembre 2019, è entrato in vigore nel gennaio 2020, per la «realizzazione della nuova piattaforma di allertamento Nazionale It-Alert, per le attività necessarie all’entrata in operatività della versione 1.0», riporta la documentazione ufficiale. A dicembre 2020, Cima ha affidato per 650mila euro il compito di effettuare gli «studi di progettazione e realizzazione della piattaforma It-Alert» alla fondazione Acrotec, che a sua volta è la branca tecnologica di Cima, per cui opera in house.

Ma non è bastato: il 20 luglio di quest’anno la Protezione civile ha rinnovato l’accordo, fino al 31 dicembre 2023, con Cima per un milione e 496mila euro. Altri 200mila euro sono stati destinati invece all’Istituto di metodologie per l’analisi ambientale (Imaa) del Cnr per «servizi di interoperabilità funzionale ai sistemi informativi del dipartimento», sempre in merito alla realizzazione del progetto.

Come funziona It-Alert

Il sistema prevede «di recapitare brevi messaggi di testo su tutti i dispositivi smartphone e cellulari presenti nelle aree interessate da situazioni in grado di nuocere all’incolumità dei cittadini», spiega la Protezione civile. Ci sono vari livelli per indicare al cittadino la gravità della situazione, che vanno dall’allerta all’emergenza. Lo scopo è di favorire le misure di auto-protezione della popolazione, che passano per una comunicazione puntuale.

La novità di It-Alert risiede nell’impiego della tecnologia cell broadcast, che si aggancia alle celle di telefonia mobile, senza distinzione tra gli operatori. Di conseguenza l’utente non deve nemmeno scaricare un’app: è tutto automatico. Almeno in teoria.

Nell’ottobre del 2020 sembrava che si volesse procedere speditamente. Palazzo Chigi ha messo in conto una spesa di 87mila per la «campagna di comunicazione istituzionale sul lancio del sistema It-Alert», come specifica l’apposita determina. Poche settimnane prima, la presidenza del Consiglio aveva previsto due diversi bandi, per un esborso 47mila euro, per fornire le apparecchiature informatiche necessarie all’iniziativa, mentre stava diventando esecutiva la convenzione tra Protezione civile e la fondazione Cima.

Ritardi e silenzi

Da allora si è mosso poco. Dal 7 al 9 aprile scorso si è svolta un’esercitazione nell’isola di Vulcano, durante cui It-Alert ha raggiunto i presenti nella zona, emettendo un «allarme di eruzione vulcanica» e fornendo le indicazioni sulle azioni raccomandate per garantire l’incolumità di tutti. A inizio novembre, poi, c’è stata l’esercitazione Sisma nello stretto, in cui è stato testato il meccanismo.

«È emerso che il 96 per cento dei 20mila utenti che hanno compilato il questionario, ha dichiarato di aver ricevuto correttamente il messaggio», riferisce la nota diramata al termine delle esercitazioni, puntualizzando che proseguirà la fase sperimentale.

E a che punto siamo ora? «È stata realizzata l’infrastruttura che consente l’esecuzione di test», hanno spiegato, nelle scorse settimane, dal dipartimento, solo che ci sono ancora da rispettare i «requisiti richiesti nel perimetro di sicurezza nazionale cibernetica». Il servizio non è mai diventato operativo, perché ci sono «criticità» e «vulnerabilità, per cui servono «ulteriori interventi strutturali e non».

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