«Sicurezza e legalità, certo, riguardano anche una corretta gestione dei flussi migratori. Secondo un principio semplice: in Italia, come in qualsiasi altro stato serio, non si entra illegalmente; si entra legalmente, attraverso i “decreti flussi”».

Queste le dichiarazioni di Giorgia Meloni, all’indomani della nomina a presidente del consiglio. Il suo esecutivo sta rendendo la lotta all’immigrazione uno dei punti del suo discorso programmatico su cui Meloni non è intenzionata a cedere. Ma, mentre il ministro dell’interno, Matteo Piantedosi, ha adottato la linea degli sbarchi selettivi attuando un blocco temporaneo delle navi delle Ong, le promesse fatte dalla leader di Fratelli d’Italia descrivono una realtà differente da quella che il diritto delinea: è pressoché impossibile per un richiedente asilo entrare in un paese diverso dal proprio «legalmente», come sostiene Meloni.

Come si entra “legalmente” da rifugiati

Accedere in modo regolare significa avere con sé i documenti necessari all’ingresso, il cui controllo, secondo quanto previsto dai regolamenti dell’Ue, è posto a carico delle autorità del paese di partenza. Viene, dunque, da chiedersi come dei richiedenti asilo, ovvero persone costrette a lasciare il proprio paese perché oggetto di persecuzioni da parte delle istituzioni possano chiedere ai funzionari da cui scappano di apporre un timbro sul loro passaporto.  

«Fermare le partenze illegali», come sostenuto da Meloni, equivale a bloccare i richiedenti asilo all’interno dei paesi che su di loro esercitano violenze e persecuzioni. D’altra parte è anche vero che per coloro che vogliono fuggire l’unica possibilità è affidarsi ai trafficanti. 

I trafficanti

La presidente li cita, dichiarando di voler spezzare «finalmente il traffico di esseri umani nel Mediterraneo». Un’iniziativa da attuare – «in accordo con le autorità del Nordafrica». In altre parole con la Libia. Quel paese con cui pochi giorni fa, il 2 novembre, si è rinnovato in automatico il Memorandum d’intesa nonostante negli anni diversi rapporti dell’Unhcr abbiano dimostrato e denunciato a più riprese le violazioni dei diritti umani che in quel paese avvengono.

Non solo, le condizioni di detenzione degradanti, le torture e gli omicidi che avvengono nelle prigioni libiche sono diventati verità processuale con la condanna a Milano di Osman Matamud, un carceriere libico. L’uomo rintracciato nella città meneghina nel 2016 è stato condannsato all’ergastolo in quanto responsabile di violenze sessuali, lesioni, traffico di esseri umani e omicidio aggravato dal sequestro di persona. 

Il sistema Hawala

Osman Matammud è solo una delle tessere di un mosaico più ampio e così ben organizzato da aver meritato la qualifica di sistema. Il “sistema Hawala”, appunto. In un libro del 2018, L’attualità del male, Maurizio Veglio ha ricostruito, attraverso le testimonianze di alcuni immigrati, le metriche che regolano questa struttura. Chi vuole scappare dal proprio paese si affida a uomini che si incaricano di organizzare il viaggio. Il prezzo richiesto per sostenere le spese di organizzazione è di circa 7 mila dollari. Se durante il viaggio nel deserto a bordo di pick-up qualcuno si sente male, viene lasciato a morire nel deserto. Chi arriva a destinazione viene segregato dai trafficanti e torturato da loro mentre i familiari ascoltano al telefono le grida di dolore del proprio caro. Un escamotage pensato per indurre le famiglie a pagare altri soldi, che vengono consegnati a mano a persone di fiducia dell’organizzazione.

I report, la condanna di Matammud, il sistema Hawala dimostrano la contraddizione in cui Meloni è caduta nel suo discorso: ha dichiarato di voler «fermare il traffico di esseri umani» in accordo con chi è parte di quel traffico. 

L’esternalizzazione delle frontiere

Ma non è tutto, Meloni ha dichiarato che la sua proposta per gestire il fenomeno dell’immigrazione prevede la «creazione sui territori africani di hotspot gestiti da organizzazioni internazionali, dove poter vagliare le richieste di asilo e distinguere chi ha diritto a essere accolto in Europa da chi quel diritto non ce l’ha». In altre parole, Meloni ha dichiarato di voler esternalizzare le frontiere, un’operazione che, come spiega l’avvocata Ilaria Boiano, esperta in diritto dei migranti, «è in atto già dal 2015. Non è niente di nuovo, anche se ciò non lo rende meno grave». La gravità dell’esternalizzazione è data dal fatto che «spostare i controlli in zone extra-territoriali, dove non sono valide le regole della Costituzione e della Convenzione di Ginevra, permette di svincolarsi da una serie di obblighi volti a tutelare i diritti dei migranti», conclude Boiano. 

Il ruolo di Oim e Unhcr

A ciò si aggiunga che le organizzazioni umanitarie cui fa riferimento Meloni, in primis Oim e Unhcr, sono in un rapporto di co-dipendenza con le autorità dei paesi di transito. 

Come dimostrato in un report di Asgi, l’Associazione per gli studi sulle migrazioni, tali associazioni sono non solo destinatarie ma anche «soggetti attuatori» delle finalità e degli obiettivi previsti da alcuni fondi, tra cui il Fondo per l’Africa, pensati per controllare e bloccare i migranti. Scopi questi ben distanti, se non confliggenti con quelli di tutela delle persone e rispetto dei diritti umani per cui Oim e Unhcr sono nate. 

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