Alle 9 del mattino di lunedì 18 marzo ha preso il via il primo dei tre “click day” legati al decreto flussi, un provvedimento del governo che stabilisce il numero massimo di cittadini stranieri provenienti dal paesi extra Ue che ogni anno possono fare ingresso in Italia per lavorare.

Per il 2024 saranno complessivamente 151.000 le quote di ingresso, in particolare: 61.250 per lavoro subordinato non stagionale, 700 per lavoro autonomo e 89.050 per lavoro subordinato stagionale. Il secondo click day ha riguardato gli apolidi, i rifugiati e i lavoratori per assistenza familiare in ambito sociosanitario mentre l’ultimo era dedicato al lavoro subordinato stagionale. Secondo i dati del ministero dell’interno, le istanze presentate nei tre click days sono state 690 mila. Di queste, solo 151 mila potranno essere accettate, lasciando fuori la stragrande maggioranza dei richiedenti.

Un momento fondamentale per decine di migliaia di lavoratori stranieri che cercano di ottenere un permesso di soggiorno per entrare in Italia in maniera regolare, ma il provvedimento presenta criticità importanti.

Cosa non va

Prima di tutto, i nulla osta per entrare in Italia vengono distribuiti fino a esaurimento quote. Una specie di “gara” telematica che premia il dito più veloce e che ricorda la corsa per i biglietti dei concerti più attesi, non fosse che si tratta delle prospettive di vita e di lavoro di un grande numero di persone.

Non solo lavoratori che ancora risiedono nel paese di origine e cercano di entrare in Italia, ma anche stranieri già residenti in Italia - spesso da anni - senza permesso di soggiorno e che cercano di regolarizzare la propria situazione. Il decreto flussi assume così le sembianze di una sanatoria mascherata.

In questo caso, infatti, il lavoratore irregolare per ambire ad ottenere il permesso di soggiorno attraverso il meccanismo del decreto flussi sarà costretto a tornare nel paese di origine, ricevere il visto al consolato a seguito del rilascio del nulla osta al lavoro, per poi tornare in Italia regolarmente, a svolgere lo stesso lavoro che svolgeva in nero. Una messinscena che coinvolge collaboratori domestici (badanti, colf e baby-sitter) ma anche lavoratori agricoli.

Il governo Meloni ha inoltre aggiunto una clausola per cui i datori di lavoro, prima di cercare lavoratori stranieri non stagionali, dovrebbero verificare presso l’ufficio per l’impiego competente che non ci siano lavoratori italiani disponibili. L’idea è che la precedenza vada data alle risorse già presenti sul territorio.

Vista l’impraticabilità di questo sistema poiché l’adempimento rischia di essere solo formale e i tempi stretti (15 giorni per avere una risposta) ne minano l’applicazione, il tutto si risolve con un’autocertificazione: dichiari che hai provato a cercare lavoratori italiani e non li hai trovati, quindi ne chiami uno dall’estero. Si tratta di una lungaggine burocratica inutile e che spreca risorse in un sistema già lento e in difficoltà. Infatti, le prefetture sono sotto organico da anni, e le pratiche rimangono sulle scrivanie a lungo compromettendo ulteriormente la riuscita del processo.

Le testimonianze raccolte da decine di organizzazioni impegnate nella tutela dei diritti delle persone straniere sottolineano infatti le storture che vengono dal fatto che a fare la richiesta non è direttamente il lavoratore ma il suo datore di lavoro, che in alcuni casi arriva a chiedere al primo un ulteriore contributo economico per concludere la procedura volta al rilascio del permesso per lavoro: una sorta di ricompensa o tangente per aver avviato la pratica.

In altri casi, invece, il datore si avvale della prestazione del lavoratore finché gli serve e poi si rifiuta di formalizzare il rapporto. Nello scenario peggiore, invece, i lavoratori incorrono in vere e proprie truffe: promesse di assunzione da parte di aziende che non esistono in cambio di centinaia o migliaia di euro.

Da qui il quadro scoraggiante: secondo i dati del Viminale analizzati dalla Campagna Ero straniero, solo il 32 per cento degli stranieri che entra in Italia attraverso questo sistema ottiene di fatto il permesso di soggiorno. Il restante 68 per cento è composto da una quota di persone che non partono mai, e un’altra, più importante, di persone che, quando non incappano in uno dei casi menzionati, una volta in Italia, tra il momento in cui fanno ingresso e quello in cui vengono convocate in prefettura per la sottoscrizione del contratto di soggiorno, hanno perso il lavoro e si trovano quindi a rimpiombare in uno stato di irregolarità, senza documenti per far valere i propri diritti, per cercare un impiego regolare, per sottoscrivere un contratto d’affitto e quindi in generale per farsi spazio nella società e dare forma ad una nuova vita.

La società civile

La Campagna Ero Straniero, insieme a oltre 30 tra sindacati e associazioni da tempo impegnate nel lavoro di analisi delle politiche in materia di immigrazione, il 14 marzo ha inviato una lettera per chiedere al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi di facilitare il rilascio del permesso di soggiorno per attesa occupazione a lavoratrici e lavoratori che, pur avendo fatto ingresso in Italia attraverso il decreto flussi, non sono stati poi assunti dal datore di lavoro o sono incappati in truffe, perdendo la possibilità di ottenere i documenti e rimanere legalmente in Italia. Persone costrette a una situazione di irregolarità giuridica e di estrema precarietà sociale per cause a loro non imputabili, ma a cui l’ordinamento non offre risposte né tutele adeguate.

I numeri emersi dall’analisi dei dati sugli ingressi pubblicati nel dossier “La lotteria dell’ingresso per lavoro in Italia: i veri numeri del decreto flussi” parlano da soli: relativamente al 2022, su un totale di 55.013 nulla osta rilasciati, solo 17.951 sono stati i contratti di soggiorno sottoscritti. «In sintesi è un sistema per gli ingressi regolari disegnato così male da produrre irregolarità» afferma Fabrizio Coresi, migration expert di ActionAid e ricercatore per Ero Straniero.

Un provvedimento probabilmente utile a un governo che fa della lotta all’immigrazione irregolare uno dei suoi cavalli di battaglia. «È la stessa normativa che, nonostante la retorica del contrasto all’immigrazione irregolare, produce nei fatti l’emergenza che dice di voler avversare. L’obiettivo del sistema immaginato dal governo è quindi quello di soddisfare la richiesta di manodopera senza tutele e senza curarsi delle conseguenze di una mancata conclusione della procedura. Queste persone non accedono a diritti e rimangono sul territorio in condizione di estrema precarietà e ricattabilità, quando non sfruttamento» conclude Coresi.

© Riproduzione riservata