Sono almeno 215 i morti nel Mediterraneo da inizio anno. Si tratta di stime al ribasso sia perché non si è quasi mai a conoscenza del numero esatto a bordo delle imbarcazioni che partono, sia perché i dispersi non vengono contati nelle statistiche finché non viene trovato il loro corpo e, spesso, questo non avviene.

Il numero delle vittime è aumentato negli ultimi giorni con il naufragio di un gommone salpato dalla Libia e soccorso dalla nave ong Ocean Viking su cui sono stati recuperati tra i 50 e i 60 cadaveri. A questi si sommano i 21 morti di ieri nel Mar Egeo (di cui cinque bambini). Mentre la nave della Sos Mediterranée si dirigeva verso il porto di Ancona per far sbarcare le 226 persone che si trovavano a bordo, nel tragitto ne sono state salvati altre 135 in area sar maltese. Questo certifica la ripresa delle partenze dal nord Africa.

Ma il dato più preoccupante che emerge in questi primi tre mesi del 2024 è che i morti in mare sono di più di quelli del 2023, il più letale dal 2016.

Sono avvisaglie che preoccupano le ong ma non il governo di Giorgia Meloni. Alle navi che salvano vite in mare continuano a essere assegnati porti di sbarco lontani, mettendo in pericolo l’incolumità dei sopravvissuti e ritardando il rientro in mare dell’imbarcazione.

Inoltre il Viminale, forte del decreto Ong varato dal ministro Matteo Piantedosi, continua a sanzionare le organizzazioni non governativi con fermi amministrativi della durata di diverse settimane. Tutto questo si traduce con il fatto che le imbarcazioni che operano nel Mediterraneo sono sempre meno. Meloni, al momento, continua a sbandierare come una vittoria un dato “temporaneo”, quello che vede gli sbarchi diminuiti del 67 per cento rispetto al 2023.

Il ritorno delle partenze

Ma non c’è dubbio che, conclusa la stagione invernale, i gommoni e i barchini carichi di persone torneranno a solcare i nostri mari. Anche perché la situazione economica e politica in nord Africa e nel Sahel non è migliorata.

Il calo delle partenze a cui abbiamo assistito è quindi fisiologico ed è dovuto sia alle cattive condizioni meteorologiche, sia all’assestamento di nuovi percorsi migratori. A dirlo sono anche i documenti della missione Afic, condotta dall’Agenzia europea per il controllo delle frontiere (Frontex) con i partner africani: i trafficanti di esseri umani cambiano i percorsi in base alle decisioni di contrasto prese dai paesi europei o da quelli di transito.

Secondo gli ultimi dati di Frontex, la rotta dell’Africa occidentale, quella più mortale, ha fatto segnare un aumento delle partenze del +541 per cento rispetto ai primi tre mesi dello scorso anno. Secondo i dati del Viminale, a differenza di quanto accaduto lo scorso anno, sono aumentate anche le partenze dalla Libia, soprattutto dalla Tripolitania, l’area sotto il controllo del governo riconosciuto dall’Onu di Abdel Hamid Dbeibeh.

Dal 2022 a oggi

Il tema migratorio è sempre stato il cavallo di battaglia di Meloni e Salvini, che ora si apprestano a inaugurare la campagna elettorale per le elezioni europee. Ma da quando la maggioranza si è insediata, le misure adottate per governare il fenomeno migratorio hanno trovato parecchi ostacoli e faticano ancora a ottenere risultati.

La premier ha puntato tutto sull’accordo con l’Albania, sul Piano Mattei – di cui ieri c’è stata la prima riunione della cabina di regia – e sugli accordi tra Bruxelles e i paesi nordafricani. L’intesa con Tirana rischia di essere smontato da Bruxelles o di avere un costo eccessivamente sproporzionato rispetto ai presunti “benefici” ottenuti. Il Piano Mattei per ora è più che altro un brand da sbandierare a favore dei paesi in cui l’Italia ha interessi economici, energetici e di natura migratoria.

Rimangono gli accordi tra l’Ue e i paesi nord africani, utili a rimpinguare le casse delle autorità securitarie magrebine, pronte sempre ad allentare il contrasto in certi periodi dell’anno per chiedere più soldi a Bruxelles.

A livello nazionale, invece, il governo sovranista ha varato il decreto Cutro e ha iniziato a progettare la costruzione di un Centro di permanenza per il rimpatrio in ogni regione. Il primo è stato congelato dalla Corte di giustizia europea chiamata a sindacare sulla sua legittimità, mentre il piano per i nuovi Cpr sta incontrando l’opposizione di sindaci e presidenti di regione.

Fallimento nord Africa

In Tunisia, paese dell’autocrate Kais Saied, le cose non sono cambiate e il Memorandum of understanding (Mou) annunciato in pompa magna da Meloni e dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, non ha spostato gli equilibri. È la stessa Commissione europea a confermarlo, dopo aver annunciato di aver erogato la prima tranche dei fondi promessi: 150 milioni di euro.

È accaduto durante la conferenza stampa di mercoledì scorso, quando i giornalisti hanno chiesto ai portavoce se avessero un resoconto sui progressi fatti dal paese nord africano da quando è stato firmato l’accordo. Alle domande hanno fatto seguito risposte vaghe in cui sono stati citati generali «miglioramenti negli indicatori macroeconomici», senza dati alla mano. Neanche Bruxelles ha contezza di come vengano impiegati i soldi al di là del Mediterraneo.

Nell’ultima settimana diversi eurodeputati hanno accusato la Commissione europea di «finanziare dittatori». Dopo la Tunisia, infatti, von der Leyen, Meloni e i primi ministri di Belgio e Grecia andranno domani in Egitto. L’obiettivo è firmare un accordo simile a quello tunisino con il presidente Abdel Fattah al Sisi. Sul piatto ci sono circa 7,4 miliardi di euro. L’ennesima esternalizzazione senza risultati.

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