Una nuova P2, secondo il ministro della Difesa Guido Crosetto. Una fabbrica dei ricatti o dei dossier, i titoli più eclatanti delle testate giornalistiche. C’è chi ha evocato persino la stagioni in cui il giornalismo è stato utilizzato per minare le istituzioni democratiche, venendo meno alla funzione più alta: il controllo del potere. Ha scatenato tutto ciò l’indagine della procura di Perugia sul tenente della finanza che avrebbe avuto accesso in maniera abusiva a documenti riservati su politici. Nessuno si è però soffermato sulla genesi dell’indagine, cioè su come sia nata questa inchiesta della magistratura sui “dossieraggi” contro le istituzioni.

È nata dopo un articolo di Domani, che svelava per la prima volta le cifre reali e milionarie delle consulenze ricevute dal ministro della Difesa Crosetto. Compensi che arrivavano non da un settore qualunque. Ma dall’industria delle armi, ambito dunque che lo pone in palese conflitto di interessi con il suo ruolo: gli affari con Leonardo e altri aziende del settore sono proseguiti fino al suo incarico di governo. In molti ne avevano chiesto le dimissioni. Lui si era difeso alla Berlusconi: «Dati privati», ossia fatti suoi, insindacabili. Ma i cittadini, forse, non sono tenuti a conoscere se un ministro ha introiti inopportuni per la carica che ricopre? Forse in Italia funziona diversamente che nel resto dell’Unione Europea?

Caccia alle fonti

Il ministro reagì al nostro scoop minacciando querele. In realtà la denuncia per diffamazione non è mai arrivata perché ha scelto una strada ancora più violenta contro l’informazione. Violenta ma silenziosa: presentare un esposto per individuare chi aveva fornito le informazioni ai giornalisti autori dello scoop. In pratica ha chiesto alla procura di Roma di cercare le fonti di Domani.

Questo avrebbe dovuto suscitare reazioni indignate di tutta la politica, ma nessuno né a destra né a sinistra ha sollevato la questione. La richiesta del ministro è stata presa in carico dai pm romani, che hanno effettivamente iniziato un’indagine come da desiderio del ministro delle Armi. Non deve stupire: la procura capitolina ultimamente si è distinta per un atteggiamento ostile nei confronti del giornalismo di inchiesta, è la stessa che ha acquisito i tabulati dei giornalisti di Report (Sigfrido Ranucci e Giorgio Mottola) per indagare su una loro fonte dopo un esposto di Matteo Renzi; lo stesso ufficio ha mandato i carabinieri in redazione a Domani per sequestrare un articolo dopo che il sottosegretario Claudio Durigon ha presentato querela per diffamazione; è la stessa procura che ha rinviato a giudizio il nostro direttore, Emiliano Fittipaldi, per un articolo di cronaca giudiziaria su Giorgia Meloni e gli affari nelle mascherine. 

Questo è il contesto ostile contro il giornalismo di inchiesta in cui matura l’attività della procura di Perugia, che ha ricevuto da Roma gli atti dell’indagine iniziata su spinta di Crosetto per svelare le fonti di Domani. A Perugia l’indagine si è allargata e ha preso di mira il gruppo di lavoro interno alla procura nazionale antimafia, dove fino all’anno scorso lavorava il tenente Pasquale Striano. L’inchiesta ipotizza un’attività di dossieraggio contro politici. Nessuno però negli articoli pubblicati nei giorni scorsi ha spiegato in che modo sarebbe avvenuto e molte sono le omissioni sulla modalità di lavoro di questo pool di investigatori all’interno della procura antimafia, che analizzava e incrociava migliaia di dati fiscali, finanziari e giudiziari del passato e più recenti.

Il metodo che fa paura

Tra i vari atti con cui lavorava questo gruppo c’erano le segnalazioni per operazioni sospette (sos): sono i documenti dell’antiriciclaggio, l’Unità informazione finanziaria di Banca d’Italia, l’ufficio cioè che analizza e intercetta i flussi finanziari ritenuti sospetti. Le sos sono diventate negli anni uno strumento imprescindibile per la lotta alla corruzione, alle mafie, all’evasione e riciclaggio. Spesso in queste relazioni finiscono nomi di chi ricopre cariche istituzionali e siede in parlamento. Se i politici o persone a loro collegate compiono operazioni bancarie anomale, visto che ricadono nella categoria Pep (persone esposte politicamente), scatta l’alert dell’istituto di credito, il quale invia la segnalazione all’antiriciclaggio di Banca d’Italia, la Uif appunto.

La prima conseguenza dell’indagine di Perugia e Roma è che si è creato un blocco politico trasversale che vorrebbe demolire il sistema delle sos. Va ricordata la mansione dell’investigatore ora sotto accusa: era uno degli uomini più esperti del gruppo interno alla procura nazionale antimafia che si occupava di studiare le segnalazioni sospette per incrociarle con altre banche dati della procura nazionale. Il gruppo godeva fino all’arrivo del nuovo procuratore Giovanni Melillo della massima fiducia e il suo lavoro ha prodotto l’apertura di molte indagini in giro per l’Italia. Durante la pandemia, per esempio, lo stesso pool ha “lavorato” migliaia di dati incrociando atti dell’antiriciclaggio, dell’agenzia delle dogane e dell’antimafia stessa per arginare i sistemi corruttivi e criminali che ronzavano attorno agli affari mascherine, materiale sanitario e bonus edilizi. Spesso i detective, misti tra finanzieri, poliziotti e carabinieri, trovavano nomi eccellenti: imprenditori, politici, professionisti stimati. 

Spionaggio inventato

Con la denuncia di Crosetto e il clamore dell’indagine di Perugia, sos è diventato sinonimo di spionaggio. Una cosa possiamo dirla con certezza lo scoop sulle consulenze milionarie di Crosetto non nasce da una segnalazione dell’antiriciclaggio. Peccato però che pur sapendolo, i giornali che più hanno cavalcato la vicenda hanno dato un’informazione errata: hanno scritto che i dati finiti su Domani erano contenuti in una sos.

Questo ha prodotto il desiderio di vendetta contro l’antiriclaggio di un vasto blocco politico che va da Renzi a Fratelli d’Italia passando per Lega e Forza Italia, e anche nel Pd qualcuno sta ragionando su che fare. È curioso che la guerra alle sos la stiano combattendo soprattutto quei leader che in passato soni finiti nella rete dell’antiriciclaggio, e certamente non perché il finanziare gli ha teso una trappola. Piuttosto per le loro operazioni bancarie spericolate. Di certo però per raccontare i conflitti di interesse del ministro abbiamo usato altro materiale, non le ormai famigerate sos. Per noi le fonti sono sacre, e le proteggeremo a qualunque costo. Perciò non possiamo dare più dettagli su come è nato lo scoop su Crosetto. 

In questa confusione ormai generale una cosa è certa: dei soldi ricevuti da Crosetto dall’industria delle armi nessuno ne parla più, il paese l’ha digerito così come i giornali. Il conflitto di interesse resta lì, è più importante il presunto dossieraggio ordito da un tenente, che dopo decenni di lotta alle mafie in giro per l’Italia, si ritrova contro una somma di poteri che lo vorrebbero trasformare in uno spione delinquente, il quale avrebbe secondo l’accusa preso di mira Crosetto.  

Una cosa è certa: "lo spione delinquente” è arrivato al nome di Crosetto verificando alcuni nomi legati alla criminalità organizzata. Stava indagando sui fratelli Mangione, che hanno un profilo inquietante, un capitale relazione fatto di contatti con personaggi legati alla criminalità organizzata. I Mangione sono tutt’ora soci del ministro. Cosa avrebbe dovuto fare un investigatore? Lasciare perdere queste figure solo perché hanno un socio potente? 

L’impressione è che tutto questa polvere sollevata serva a sferrare l’attacco a strumenti decisivi per chi indaga. C’è chi ha proposto di togliere l’obbligo di segnalazione all’antiriciclaggio per i parlamentari e membri del governo (Enrico Borghi, Italia Viva). Vorrebbe dire che anche i casi di finanziamento illecito ai partiti resterebbero impuniti. O prendiamo un caso al limite: se un mafioso (o un suo complice) riuscirà a farsi eleggere godrà dello scudo bancario, per cui potrà far girare soldi sui conti senza più l’ansia di essere beccato. 

Ma è un articolo apparso su un foglio digitale poco conosciuto che dà conferma di un tentativo del potere di arginare ogni genere di controllo. L’articolo è a firma Guido Paglia, direttore di Sassate, persona molto vicina al ministro: racconta un retroscena sulla volontà del nuovo comandante generale della finanza, Andrea De Gennaro (nominato da questo governo), di voler approfondire quanti dei suoi finanzieri hanno accesso a dati sensibili dei politici. Il messaggio ai naviganti è chiaro: state attenti a dove mettete le mani, su chi indagate. Il potere vi osserva. 

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