A pochi mesi dallo scoppio delle proteste in Iran legate alla morte della giovane Mahsa Amini, uccisa mentre era in custodia della polizia morale che l’aveva arrestata per non aver indossato correttamente il velo islamico, si sono diffusi in alcune città iraniane casi di avvelenamento che hanno colpito soprattutto giovani studentesse.

Negli ultimi giorni i casi sono aumentati a dismisura, soprattutto nelle città di Qom e Borujerd dove oltre duecento studentesse di 14 scuole diverse hanno riportato sintomi di avvelenamento da agenti chimici.

Il movente

Gli avvelenamenti sono frutto di azioni «intenzionali», ha spiegato il viceministro della Salute Younes Panahi ma non ha fornito informazioni riguardo a eventuali arresti da parte delle forze di polizia. «È stato scoperto che alcune persone volevano che tutte le scuole, specialmente quelle femminili, fossero chiuse».

Non è un caso, infatti, che parte dei casi si sono registrati nella città di Qom, la città sacra iraniana al centro della rivoluzione islamica degli ayatollah del 1979 e che conta ancora un vasto numero di fedeli conservatori ostili ai diritti civili, umani e politici per le donne.

La pericolosità degli avvelenamenti

«È stato rivelato che i composti chimici usati per avvelenare gli studenti non sono prodotti chimici di guerra, e che gli studenti avvelenati non hanno bisogno di cure specifiche, e che una grande percentuale degli agenti chimici usati sono curabili», ha detto il viceministro.

Gran parte di loro hanno riportato sintomi comuni: nausea, mal di testa, tosse, difficoltà respiratorie. Benché i pericoli per la salute delle giovani studentesse non siano elevati, gli avvelenamenti vengono utilizzati come un gesto intimidatorio per ostacolare il loro diritto all’istruzione. Negli ultimi giorni i loro genitori sono scesi in strada per chiedere più tutele da parte delle autorità locali e nazionali.

Il ruolo delle donne nelle proteste di massa

Gli avvelenamenti sono collegati anche al ruolo di riferimento che hanno le giovani iraniane da quando sono iniziate le proteste di piazza lo scorso settembre. La morte di Mahsa Amini ha dato vita a un movimento che si è espanso in quasi tutto il paese.

Sui social sono circolate foto e video in cui le iraniane si tagliavano i capelli e bruciavano il velo islamico, in segno di protesta per la morte della loro connazionale. Gesti considerati un affronto nei confronti degli ayatollah e della cultura islamica radicale del paese.

Le forze di polizia hanno represso le manifestazioni con la violenza causando anche centinaia di morti (sono 481 secondo le ong del paese) e migliaia di arresti (cento persone rischiano anche la pena di morte). In tutto il mondo, invece, si sono svolte manifestazioni in sostegno e solidarietà delle giovani iraniane che sfidano il regime di Teheran.

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