La finale Italia - Inghilterra è molto di più che una partita di calcio: è un evento culturale, antropologico, che ha assunto venature geopolitiche.

La storia delle relazioni tra i due popoli ha inizio con la civiltà romana. Fino al Rinascimento è l’Italia da fungere da faro. A partire dal XVII secolo, in virtù della Rivoluzione scientifica e delle Rivoluzioni industriali, il Regno Unito diventa la prima potenza globale e coloniale – capace di esercitare grande influenza sulla nostra penisola divisa in staterelli e, una volta unificata, (come
dimenticare il sostegno militare, economico, diplomatico per la
cosiddetta “liberazione del Mezzogiorno”), incapace di risolvere divari e divisioni interne e di promuovere l’interesse nazionale. La Seconda guerra mondiale porrà il suggello alla supremazia anglosassone, con l’Italia schiacciata dalla follia della partecipazione al conflitto.

Il football, si sa, è nato in Inghilterra. Anche qui per decenni sono stati dolori. Ernesto Ferrero, nel suo Amarcord bianconero (in realtà il libro è dedicato in egual misura al Torino, la squadra del popolo, dei “proletari”, dei lavoratori, degli artigiani). Lo scrittore ricorda il 4-0 subito allo stadio ex Mussolini dalla nazionale – è il 16 maggio 1948 – evento paragonato alle disfatte di Custoza, Lissa e Caporetto. «I britannici erano di una superiorità umiliante, oltreché di austera eleganza, con quelle loro casacche bianche, e i braghettoni neri». Ferrero non concede sconti: eravamo un «piccolo paese arcaico ... addirittura patetico nella sua presunzione di poterli sfidare».

Poi i rapporti di forza nel calcio – e non solo: ma talvolta e ad intermittenza – si sono equilibrati: data di inizio il 10 novembre 1973 quando Fabio Capello viola il Tempio, Wembley.

Gli scozzesi

Oggi la prima pagina del quotidiano scozzese The National è diventata virale: «Save us Roberto, you’re our ... Final Hope».

Il dissidio della Scozia con Londra ha radici lontane. Il muro finale tra le due comunità è stato eretto il 23 giugno 2016 quando il 51,89 dei cittadini britannici (solo il 38 per cento degli scozzesi) ha votato in favore dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea. 

La Scozia era beneficiaria di importanti sussidi; ma non era il sostegno economico l’unico beneficio: l’appartenenza all’Europa consentiva una apertura dell’isolamento ed una immersione nella comunità internazionale.

Il sentimento dei popoli verso l’Inghilterra è spesso ambivalente: amore e ammirazione per lo stile, la bellezza, il glamour, l’aria, le acque – senza dimenticare la musica, la cultura, i college universitari, le biblioteche, i musei, il tube; insofferenza per una storia secolare di isolamento e di sopraffazioni.

Domenica 11 luglio gran parte dei cittadini europei – persino i francesi, che hanno conteso per secoli a Londra la supremazia sui mari – tiferà Italia, da sempre paese che ispira simpatia, percepito come inaffidabile, e che oggi è tornato ad essere credibile ed ammirato.

Non resta che incrociare le dita, consapevoli che se l’esito dell’incontro fosse sfavorevole dovremo ispirarci alla nobiltà e alla profondità dell’anima e del cuore del più illustre dei nostri tifosi: Luis Enrique.

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