I dettagli dell’inchiesta giudiziaria sui vertici (dimissionari) della Juventus, accusati a vario titolo di manipolazione del mercato, falso in bilancio, fatture false e ostacolo all’esercizio delle funzioni dell’autorità di vigilanza, continuano da giorni a terremotare la Juventus e il calcio italiano.

Non solo perché i reati contestati ad Andrea Agnelli, Pavel Nedved e Fabio Paratici sono gravi e, se accertati, potrebbero condurre a pene pesanti. Ma anche perché non è impossibile – come segnalato da esperti di diritto sportivo come l’avvocato Mattia Grassani – che se i crimini fossero infine accertati anche la squadra potrebbe essere sanzionata. Con il rischio di ammende e penalizzazioni, fino alle ipotesi più severe come «l’esclusione dal campionato di Serie A e la conseguente retrocessione».

Uno scenario da incubo causato dalle accuse incrociate della procura di Torino, della Consob e perfino dei revisori dei conti di Deloitte, che la Juventus rifiuta con sdegno considerandolo non realistico. La preoccupazione, in casa dei soci di maggioranza di Exor, è comunque enorme. Così da giorni, dopo aver allontanato suo cugino Andrea dalla presidenza facendo decadere l’intero cda, John Elkann e i suoi consiglieri stanno cercando di capire chi può essere l’uomo o la donna giusta a cui affidare il timone della Juventus in tempi che si annunciano, eufemisticamente, impegnativi.

I papabili

Il nuovo consiglio di amministrazione è previsto tra poco più di un mese, il 18 gennaio 2023, e i nomi sul tavolo che potrebbero prendere le redini della società sono più di uno. Il nuovo direttore generale Maurizio Scanavino, manager di cui Elkann si fida ciecamente, ha il profilo giusto. Ma difficilmente potrebbe rimanere anche amministratore delegato del gruppo editoriale Gedi. Dunque in molti credono che la sua nomina potrebbe essere pro tempore, a meno che da Exor non decidano di lasciare Scanavino alla Juventus come nuovo ad, trovando contemporaneamente un nuovo manager per guidare il colosso che controlla Repubblica, La Stampa e Radio Deejey.

Tra i papabili alla successione dell’ad uscente Maurizio Arrivabene, oltre a Scanavino, c’è Alessandro Nasi: vicepresidente di Exor, cugino di John e Andrea e finanziere che ha lavorato per lustri a Wall Street, potrebbe puntare però anche alla presidenza (Alessandro Del Piero è dato possibile vicepresidente in sostituzione di Nedved). In alternativa, qualcuno fa il nome di Evelina Christillin, membro del Fifa Counsil e manager da sempre stimata in casa Agnelli.

Ma in pole position oggi, risulta a Domani, ci sarebbe Francesco Calvo. La sua biografia dice poco al grande pubblico, ma i tifosi che seguono la Juve lo conoscono bene: bocconiano, ex direttore del marketing della Philip Morris (dove ha gestito anche i rapporti con la Ferrari), entra nella società bianconera nel 2011. Considerato competente e rigoroso, viene promosso direttore commerciale dopo soli tre anni, finché qualcosa tra lui e il presidente Agnelli (di cui Calvo è sempre grande amico) si rompe.

Alcuni giornali ipotizzarono al tempo che i dissapori siano legati a questioni extra professionali: è un fatto che la moglie di Calvo, l’ex modella turca Deniz Akalin, dal 2015 sia diventata la compagna di Agnelli. Il Fatto ipotizzò lo scandalo e parlò pure di buonuscite milionarie. «Si tratta di totali inesattezze. Con Francesco c’è stata una risoluzione consensuale», disse Andrea Agnelli.

Rivincita

Sia come sia, Calvo nel 2015 va al Barcellona e poi passa alla Roma, prima di rientrare alla Juventus ad aprile di quest’anno come chief of staff. Mossa voluta fortemente da Arrivabene. Nel recente tsunami che ha travolto tutto lui è rimasto in piedi, tanto che qualche giorno fa è stato Calvo a rappresentare la Juventus all’assemblea di Lega. Vedremo se il dirigente riuscirà davvero, come vaticinana qualcuno dentro Exor, a prendersi la sua rivincita con una promozione che fino a pochi anni fa mai nessuno avrebbe potuto immaginare.

Del manager che potrebbe essere chiamato a timonare la società in mari perigliosi, tuttavia, è necessario ricordare anche un inciampo avvenuto quattro anni fa: Calvo è stato deferito insieme ad Agnelli e altri due dirigenti per la vicenda dei biglietti alla curva e dei rapporti con il tifo organizzato, talvolta infiltrato da esponenti considerati vicino alla ‘ndrangheta.

Calvo e Agnelli (mai indagati nell’inchiesta della procura di Torino sui clan e gli ultras),sono stati però giudicati dalla corte d’appello federale della Figc, che nel 2018 ha confermato la tesi d’accusa della procura sportiva, e condannato l’attuale capo dello staff della Juve a pagare una multa di 20mila euro, condita con un anno di inibizione.

Calvo ha giustificato i rapporti con le frange estreme della tifoseria adducendo motivazioni pratiche: nella sua memoria difensiva evidenziava «come l’attività di intrattenimento con i gruppi organizzati fosse stata dettata dalla tutela dell’ordine pubblico all’interno degli impianti sportivi». Negava invece ogni ingerenza o semplice contatto con le organizzazioni criminali organizzate.

Alla fine la corte d’appello ha concluso confermando solo la responsabilità “sportiva” di Calvo e come «Calvo (e altri…) abbiano verosimilmente agito in una condizione, soggettiva, vicina alla “coercizione psicologica” che li ha indotti, nella situazione di intimidazione di cui si è ampiamente detto, ad operare un “autonomo” (i.e. personale) bilanciamento di interessi, all’esito del quale hanno ritenuto preferibile cedere alle pressanti richieste di benefit provenienti da alcuni gruppi ultras, così pensando di evitare un male peggiore, contestazioni, disordini e altro che potessero portare nocumento alla Juventus FC Spa e/o pregiudicare l’ordine pubblico e le normali condizioni di sicurezza all’interno dello stadio)». Calvo comunque non si muoveva mai di propria iniziativa, tanto che la corte federale ha riconosciuto la responsabilità della società.

Nuove carte

Intanto, la lettura delle carte dell’accusa regala ogni giorno dettagli inediti dell’inchiesta sulle plusvalenze. Nelle informative della guardia di Finanza emergeva già nell’estate del 2021 l’insofferenza degli azionisti di maggioranza nei confronti della gestione «dissennata» della dirigenza bianconera, soprattutto nel periodo in cui il ras del mercato era Fabio Paratici, le cui modalità operative con cessioni e acquisti spesso usati come mere operazioni di compensazione per generare plusvalenze fittizie, erano contestate dagli altri suoi colleghi intercettati.

È in questo contesto di allerta rossa per i conti della Juventus, con la Consob (la commissione di vigilanza delle società quotate in borsa) già alle calcagna, che i soci optano per un aumento di capitale sostanzioso: 400 milioni di euro, 75 versati subito, gli altri entro il 2022. Liquidità necessaria non a ripartire, ma «a sanare il vecchio», come ammesso dal successore di Paratici, Federico Cherubini. E lo sostiene, intercettato, pure dal nuovo ad Arrivabene: «L’aumento di capitale non è servito ad andare sul mercato ma è servito a coprire! A coprire una situazione estremamente negativa dal punto di vista finanziario».

L’intercettazione-simbolo del caos interno e delle guerre latenti tra dirigenti e società è un’altra. Si tratta della telefonata, finora inedita, tra Paratici e Luca Percassi, patron dell’Atalanta calcio. In riferimento al presidente Agnelli, il direttore sportivo juventino, dice: «Non gliene frega niente, perché fanno la ricapitalizzazione. Quello che lui non deve far vedere adesso non è che lui butta via soldi, una questione di immagine non di soldi…stan facendo una ricapitalizzazione da 400 milioni ... è già accordata, è già fatta …. L’unica cosa la società visto che vi diamo 400 milioni comandiamo noi, quindi amministrazione controllata, quindi lui non deve far vedere che da soldi, che butta via soldi». In pratica Paratici dice che l’iniezione di capitale ha una funzione anche strategica: limitare il potere del presidente Agnelli e del suo gruppo.

Tutti sapevano, peraltro, cosa aveva prodotto il disastro finanziario. È lo stesso Agnelli a dirlo mentre parla con Arrivabene: «Sì ma non era solo il Covid e questo lo sappiamo bene! Perché noi abbiamo due elementi fondamentali: da un lato il Covid, ma dall’altro abbiamo ingolfato la macchina con ammortamenti… E soprattutto la merda ... perché è tutta la merda che sta sotto che non si può dire». La risposta dell’amministratore delegato è laconica: «Ne sono al corrente e non si può dire!».

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