Kelly Duda, regista americano e autore di una delle più importante inchieste sullo scandalo del sangue infetto degli anni Ottanta e Novanta, si trova sotto processo a Roma per il reato di “offesa all’onore o il prestigio di un magistrato”, un reato che risale ai tempi del regime fascista.

Si tratta dell’ennesimo caso di un giornalista internazionale inquisito dalla magistratura italiana e per questo ha suscitato la preoccupazione di diverse organizzazioni italiane e internazionali che si occupano della difesa della libertà di stampa.

Angela Giuffrida, corrispondente da Roma del quotidiano britannico Guardian, ha raccontato che mercoledì si è svolta a Roma la prima udienza del processo. Duda, processato in contumacia, era assente. Il processo dovrebbe riprendere a luglio.

Il caso

Duda è l’autore di Factor 8, il documentario in cui ha raccontato come migliaia di persone in tutto il mondo si sono ammalate a causa di trasfusioni di sangue infetto prelevato dai prigionieri di un carcere in Arkansas.

In Italia, le trasfusioni sono avvenute a cavallo degli anni Ottanta e Novanta. Oltre 2.600 pazienti emofiliaci si sono ammalati di Hiv ed epatite C a causa del plasma e di altri emoderivati infetti.

Mentre il ministero della Salute ha pagato decine di milioni di euro in risarcimenti a seguito delle cause civili intentate dalle persone danneggiate, il processo penale per lo scandalo del sangue infetto è stato uno dei più lunghi e tormentati della storia recente. In tutto è durato 23 anni e si è concluso soltanto nel 2019 con l’assoluzione di tutti gli imputati.

Tra loro, il più noto era Duilio Poggiolini, importante dirigente del ministero della Salute, coinvolto nello scandalo Tangentopoli e all’epoca ribattezzato dai giornali “Il Re Mida della sanità” (in occasione di una perquisizione della sua casa furono trovate opere d’arte, gioielli e persino lingotti d’oro nascosti nell’imbottitura dei divani). Gli altri imputati erano nove dirigenti e tecnici dell’azienda farmaceutica Marcucci. La richiesta di assoluzione è arrivata dalla stessa procura.

Il ruolo di Duda

Duda è stato chiamato a testimoniare nel processo sul sangue infetto nel 2017 e ha raccontato a Giuffrida di aver valutato a lungo se presentarsi o meno, decidendo alla fine che portare la sua testimonianza era la cosa giusta da fare.

Nel dicembre di quell’anno, Duda si è recato a Napoli per essere ascoltato. A quel punto però, sostiene, l’accusa non era più interessata alla sua testimonianza e il procuratore Lucio Giugliano è arrivato al punto di cercare di ostacolare la sua testimonianza, che puntava a sottolineare un legame tra il sangue infetto proveniente dall’Arkansas e il gruppo Marcucci. 

Sorpreso dall’atteggiamento della procura, che prima della fine del processo avrebbe chiesto l’assoluzione degli impiegati, quando al termine dell’udienza Duda si è trovato a stringere la mano a Giugliano gli ha rivolto un commento: «In my country, what you did today as a prosecutor would be disgraceful», cioè: «Nel mio paese, quello che lei ha fatto oggi sarebbe una vergogna».

A quel punto, il magistrato ha detto Duda che aveva appena commesso un reato e ha cercato di farlo immediatamente arrestare dagli agenti presenti in tribunale. Dopo poco è diventato chiaro che Duda non poteva essere trattenuto. Ma la storia era appena iniziata. Il procuratore aveva deciso di portare avanti la sua denuncia e, nel 2019, a Duda è stata comunicato l’inizio del suo procedimento.

Le reazioni

Duda è assistito da Ossigeno per l’informazione, un’associazione che si occupa della difesa della libertà di stampa in Italia. «Ossigeno considera questa vicenda giudiziaria strategicamente importante per la difesa della libertà di stampa e di espressione», è scritto sul sito dell’associazione.

Anche il Consiglio d’Europa, un’organizzazione internazionale che si occupa della tutela dei diritti fondamentali, ha preso le parti di Duda, chiedendo all’Italia spiegazioni per un gesto che ritiene costituisca «minaccia e molestia» nei confronti di un giornalista.

Non è la prima volta che i magistrati italiani finiscono sotto lo scrutinio internazionale per aver denunciato dei giornalisti. Il caso più noto è quello di Lorenzo Tondo, il giornalista del Guardian che ha scoperto uno dei più importanti scambi di persona commessi dalla giustizia italiana in tempi recenti.

Tondo ha racconto come la procura di Palermo ha arrestato e processato per anni un falegname eritreo scambiandolo per uno dei più noti trafficanti di esseri umani. Attualmente Tondo si trova sotto processo per via di una querela sporta dal sostituto procuratore di Palermo Calogero Ferrara. Anche sul suo caso il Consiglio d’Europa ha pubblicato un avviso di potenziale intimidazione di giornalisti.

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