Domenica la chiesa cattolica si è svegliata con due papi. Il pontefice Bergoglio era a Budapest, per celebrare la messa conclusiva del 52esimo Congresso eucaristico internazionale e incontrare le autorità politiche e religiose prima di partire alla volta della Slovacchia. Nelle stesse ore, papa Francesco dalle colonne di Repubblica e Corriere della Sera metteva in guardia dal fondamentalismo religioso e invitava a rispettare il prossimo come fratello.

Se per vedere bene con un paio di occhiali è necessario equilibrare entrambe le lenti, è difficile leggere la visita del papa nell’Ungheria di Viktor Orbán e non tenere conto del tempismo delle sue parole su carta stampata. È ancora più arduo farlo se le parole spese dal papa nelle poche ore di permanenza ungherese si rifanno in larga parte alla Fratelli tutti, «enciclica sociale» per sua stessa ammissione.

Francesco ha visitato un paese dove si professa cristiano il 60 per cento della popolazione, incluso un governo che ha fatto della religione il vessillo di una lotta contro un presunto secolarismo europeo. Temi che non sono stati affrontati direttamente nell’incontro a porte chiuse tra il papa, il presidente e il primo ministro ungheresi nel Museo delle belle arti di Budapest, ma che Bergoglio ha affidato alla carta stampata qualche ora prima.

Un viaggio spirituale

Nei giorni scorsi, il portavoce della sala stampa vaticana, Matteo Bruni, ha invitato a non «mischiare letture di altro genere» su un viaggio dall’accento strettamente spirituale.

Eppure, basta leggere le parole del discorso del papa al G20 Interfaith Forum che si è aperto a Bologna – apparse in anteprima ieri su Repubblica – per capire ciò che il papa stesso vuole mostrare in controluce.

Rivolgendosi ai partecipanti al Forum di Bologna, Francesco invita infatti a «liberare l’orizzonte del sacro dalle nubi oscure della violenza e del fondamentalismo, rafforzandoci nella convinzione che l’Oltre di Dio ci rimanda all’altro del fratello».

Le parole sono state pronunciate mentre il papa celebrava in uno stato al centro della rotta balcanica delle migrazioni, che il partito al potere Fidesz ha frenato con una legge oggettp di biasimo da parte dell’Unione europea. Una frattura per nulla risanata, se pochi giorni fa alla stampa tedesca il diplomatico ungherese Peter Györkös invitava l’Ue a «esportare il suo aiuto, non importare problemi irrisolvibili sul suolo europeo». Di tutt’altro avviso, si sa, è Francesco, che ritiene l’accoglienza una base imprescindibile del dirsi cristiani, come spiega lui stesso chiosando il suo discorso al Forum: «Davvero non è più tempo per alleanze degli uni contro gli altri, ma per la ricerca comune di soluzioni ai problemi di tutti. I giovani e la storia ci giudicheranno su questo».

Bergoglio il pontefice

Il papa ha visitato Budapest come pontefice. Richiamandosi al «ponte delle catene» che unisce le due parti della capitale, Francesco ha voluto ricordare che per unire non basta una soluzione sommaria di raccordo, ma che ciascuno faccia la sua parte: «Un ponte mette insieme due parti. In questo senso richiama il concetto, fondamentale nella Scrittura, di alleanza».

Stavolta, però, il fulcro della metafora francescana predilige la parte per il tutto: «Il ponte ci istruisce ancora: esso è sorretto da grandi catene, formate da tanti anelli. Siamo noi questi anelli e ogni anello è fondamentale: perciò non possiamo più vivere nel sospetto e nell’ignoranza, distanti e discordi». In questo modo, Francesco identifica l’anello coi singoli membri, perché a un cedimento dell’unione presagisce sempre un indebolimento del dialogo.

Per questo, nel discorso al Forum di Bologna, Francesco auspica che nell’agenda al G20 sia tenuta in considerazione la missione di pace: «Una quarta p che si propone di aggiungere a people, planet, prosperity, nell’auspicio che l’agenda del prossimo G20 ne tenga conto in una prospettiva che sia la più ampia e condivisa possibile, perché solo insieme si possono affrontare problemi che nell’interconnessione odierna, non riguardano più qualcuno, ma tutti».

Con lo stesso spirito ecumenico il papa si è rivolto ai rappresentanti delle chiese e della comunità ebraica: «Il Dio dell’alleanza ci chiede di non cedere alle logiche dell’isolamento e degli interessi di parte. Non desidera alleanze con qualcuno a discapito di altri, ma persone e comunità che siano ponti di comunione con tutti». È inevitabile non pensare al recente isolamento di Budapest e Varsavia, a più riprese condannate dall’Europa per la presunta regressione democratica dei loro governi in termini di accoglienza e inclusione sociale.

Due visioni di Dio

Sulla rivista cattolica americana First Things, l’editorialista Filip Mazurczak ha fatto una lunga disamina sul «risveglio cristiano dell’Europa orientale» dal momento che, a più riprese, il primo ministro ungherese Viktor Orbán si è fatto portavoce di una minoranza politica cristiana in lotta con il «secolarismo» che imperversa in Europa.

Ieri mattina il Corriere della Sera ha pubblicato in anteprima l’introduzione di papa Francesco a un libro scritto dal papa emerito Benedetto XVI sulla missione dell’Europa – La vera Europa, ed. Cantagalli, in libreria del 16 settembre –. Nel testo di Ratzinger, che pure mette in dubbio le «rivoluzioni culturali» che metterebbero a rischio la sacralità della vita, si riflettono le parole di Francesco, che fa coincidere la negazione di Dio con la negazione della dignità dell’uomo: «Alla base dell’Europa, della sua creatività, della sua sana prosperità e, prima di tutto, della sua umanità c’è l’umanesimo dell’incarnazione» riporta il Corriere.

Ieri nella celebrazione in piazza degli Eroi, il papa ha ricordato che «c’è sempre il rischio di annunciare una falsa messianicità, secondo gli uomini e non secondo Dio». L’eucarestia è per Francesco l’occasione per purificare la propria fede: «La differenza non è tra chi è religioso e chi no. La differenza cruciale è tra il vero Dio e il dio del nostro io. Quanto è distante Colui che regna in silenzio sulla croce dal falso dio che vorremmo regnasse con la forza e riducesse al silenzio i nostri nemici!».

L’accento su due immagini opposte di Dio trova terreno fertile nella nazione ungherese, con una parte del clero che sostiene la religione di stato di Viktor Orbán: il vescovo László Kiss-Rigó aveva affermato che «il papa si sbaglia sui migranti». Ancora una volta, Francesco non entra nel merito delle questioni, ma quando menziona l’invito di Cristo a tacere, chiede che ai fatti seguano le parole, se si vuole avere una voce apostolica.

La religione incendiaria

Il discorso del pontefice al G20 Interfaith Forum permette di leggere in controluce le sue preoccupazioni. Al deleterio cambiamento climatico fa corrispondere una mutazione della «temperatura della religiosità». Il riferimento è al fondamentalismo religioso che genera attentati, ma anche a quella «predicazione incendiaria di chi, in nome di un falso dio, incita all’odio».

Sarebbe riduttivo confinare queste parole alle storture confessionali di natura terroristica, è il pontefice stesso a chiarirlo poco dopo: «Dichiarare senza paure e infingimenti il male quando è male, anche e soprattutto quando viene commesso da chi si professa seguace del nostro stesso credo. Dobbiamo inoltre aiutarci, tutti insieme, a contrastare l’analfabetismo religioso che attraversa tutte le culture: è un’ignoranza diffusa, che riduce l’esperienza credente a dimensioni rudimentali dell’umano».

Contro questa ignoranza diffusa, la croce non è più mezzo di isolamento, ma strumento di unità: «La croce, piantata nel terreno, oltre a invitarci a radicarci bene, innalza ed estende le sue braccia verso tutti: esorta a mantenere salde le radici, ma senza arroccamenti; ad attingere alle sorgenti, aprendoci agli assetati del nostro tempo» ha ricordato il papa all’Angelus, prossimo alla partenza per Bratislava. Un messaggio anche politico, ça va sans dire.

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