Su YouTube circola un video pubblicato nel 2016 dal portale cattolico Keresztény Élet: era appena stata annunciata Budapest sede del congresso eucaristico internazionale che si sarebbe dovuto tenere nel 2020 – procrastinato per la pandemia –, ma la maggior parte degli intervistati ungheresi (in larga parte giovani), non sapeva cosa fosse un congresso eucaristico. Con dieci milioni di cristiani, fra cattolici, greco-cattolici e ortodossi, l’Ungheria del governo di Viktor Orbán ha fatto del cattolicesimo una religione di stato e ora che papa Francesco si appresta a celebrare la messa conclusiva del congresso in piazza degli Eroi il prossimo 12 settembre, la sua presenza tra nazionalisti e conservatori sarà come quella di un elefante in una cristalleria.

Visite apostoliche

Papa Francesco vuole evitare che la sua visita venga utilizzata per legittimare il nazionalismo di Orbán, poco importa se celebrerà la statio orbis e la messa finale nella piazza dove s’erigono le statue dei leader delle sette tribù fondative del paese: «Non vado al centro di Budapest» si è limitato a dire il pontefice a Radio cope qualche giorno fa, ridimensionando il contraccolpo politico della sua visita: «Alla fine della messa si saluta formalmente. Non so chi manderanno. Una cosa che faccio io è non andare con un copione. Quando incontro una persona la guardo negli occhi e lascio che escano le cose» ha spiegato, incalzato su un possibile incontro con il leader del partito Fidesz, omettendo però quanto nel programma ufficiale era già stato scritto nero su bianco, cioè un meeting con il presidente della Repubblica e il primo ministro nei pressi del museo delle Belle arti di Budapest.

Per giunta, ha stupito la visita apostolica di tre giorni consecutivi annunciata da Francesco nella vicina Slovacchia, che inizierà il giorno stesso della celebrazione ungherese. Portavoce apicale di una chiesa che incarna l’opposto della linea del governo Orbán, Francesco vuole, così, offrire ai cattolici ungheresi la possibilità di fare ammenda di una linea non coincidente col Vangelo, specialmente in tema di migranti e diritti: «Tutto il mondo guarderà al papa» ha di recente dichiarato l’arcivescovo Péter Erdő.

Punti di discordia

Sui temi sociali, quelle di Bergoglio e Orbán appaiono come due linee parallele e non coincidenti. Il peso politico della spaccatura è tale da aver creato distanza anche tra il papa stesso e parte del clero nazionale.

Quando nel 2019 Francesco era in procinto di partire per la Romania, dove avrebbe visitato il santuario mariano di Csíksomlyó, punto d’incontro dei nazionalisti ungheresi e dei sostenitori di Orbán, i gesuiti della rivista statunitense America lo invitarono a diffidare dei «populisti di destra che potrebbero cercare di sfruttare il viaggio per incoraggiare atteggiamenti ostili nei confronti di migranti e rifugiati».

Il giornalista Marc Roscoe Loustau si riferiva alla legge voluta dall’esecutivo Orbán, che di fatto condanna chi promuove e fornisce assistenza ai migranti privi di documenti, perché ritenuti fuori legge. Ma il provinciale dei gesuiti d’Ungheria, p. Vízi Elemér, criticò i confratelli americani per il taglio politico dell’articolo.

Alla vigilia di questo viaggio, un’altra legge potrebbe gettare discordia, ossia quella che vieta la rappresentazione e la promozione dell’omosessualità ai minori di 18 anni e stigmatizza le relazioni tra persone dello stesso sesso.

Ambedue le norme tracciano le linee programmatiche che Orbán aveva già svelato nel congresso dei popolari europei a Malta nel 2017: «La sinistra ha un chiaro piano d’azione per trasformare l’Europa. Vogliono far entrare milioni di musulmani […]. Sarebbe fatale per l’Europa. Perderemmo la nostra identità cristiana».

La chiesa cattolica ungherese, peraltro, non fa mistero di una certa consonanza con le istanze di governo. Nella parrocchia dell’Assunzione di Budapest, il prete e teologo Zoltán Osztie, già presidente dell’Associazione nazionale intellettuali cristiani, ha bollato la comunità Lgbt come «terrorista» in un’intervista sul portale Vasárnap: «Le persone nella lobby Lgbtq sono terroristi. Fanno violenza sui bambini». Diversa è la posizione della società civile: secondo un sondaggio effettuato da Rtl Klub su un campione di mille persone, più della metà (56 per cento) ha dichiarato di essere favorevole alle unioni Lgbt, con una maggiore accoglienza da parte di donne e giovani generazioni che vivono in grossi centri urbani.

Silenzio sugli abusi

Quella che l’Europa ha definito «legge anti-Lgbt» è una norma – votata anche dal partito di destra Jobbik – pensata per contrastare la pedofilia. Eppure, è singolare che vi manchi qualsiasi riferimento agli abusi nella chiesa: mentre dagli Usa alla Germania stanno riaffiorando casi caduti in prescrizione, finora in Ungheria nulla è emerso di antecedente alla caduta del blocco sovietico.

Péter Urfi, giornalista di 444 ed esperto del tema, ha finora rilevato un totale di 32 casi di abusi accertati, nonostante avesse colpito l’opinione pubblica la confessione video di Attila Pető, sopravvissuto agli abusi di un sacerdote, ma non al travagliato iter per ottenere giustizia.

Mentre nella vicina Polonia gli abusi nella chiesa stanno diventando un problema, a giugno scorso la Conferenza dei vescovi ungheresi rilasciava uno scarno, ma mordace comunicato in cui, pur schierandosi nella linea di prevenzione e contrasto di papa Francesco, rivelava una sorta di stigmatizzazione del tema: «Non serve agli interessi della società quando vengono fatte dichiarazioni unilaterali che suggeriscono un nesso sistemico e causale tra la vocazione della chiesa e la "tendenza" a commettere un crimine grave».

Chi la pensa diversamente è l’esponente democratica Vadai Ágnes di Demokratikus Koalíció, che il 16 giugno ha presentato in parlamento un disegno di legge anti-pedofilia che mira a contrastare e rintracciare i casi di occultamento dentro la chiesa. I vescovi l’hanno bollata come «provocazione politica», ma nella sostanza è quanto sta chiedendo il papa stesso, come dimostrano le capillari indagini nell’Europa continentale.

Budapest val bene una messa

Il tema degli abusi è l’ultimo tassello di un’alleanza politica-chiesa che negli anni è andata rafforzandosi, anche grazie a donazioni irrorate dal governo Orbán alla chiesa cattolica. Già nel 2010, il presidente ad interim dell’Ungheria, nonché tra i fondatori del partito Fidesz, Lászlo Kõvér, ricordava che dal 2010 lo stato ungherese ha speso oltre due miliardi di euro per sostenere le chiese, e oltre cento milioni di euro per le comunità ecclesiali cristiane di lingua ungherese al di fuori dell’Ungheria – 30 milioni di euro sono stati stanziati solo nell’ambito del programma Hungary Helps per aiutare i cristiani perseguitati o a rischio in diverse parti del mondo.

Accanto a questo atteggiamento distensivo, il governo ha soffocato le piccole enclave buddiste ed ebraiche – con circa 100mila ebrei residenti, l’Ungheria ospita la più grande comunità ebraica dell’Europa orientale –, comprese le micro-congregazioni cristiane, che sono le più strenue oppositrici alle politiche del governo ungherese.

Negli anni Fidesz si è giustificato dicendo di voler arginare l’abuso di sussidi statali, ma ha dovuto fronteggiare l’opposizione a viso scoperto di Iványi Gábor, capo della Comunità evangelica ungherese, che aveva battezzato gli stessi figli di Orbán. Con una norma del 2011 il governo ha, nei fatti, ridotto l’accesso a programmi di finanziamento a trecento piccole comunità, tanto da sollevare le obiezioni della Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha parlato di violazione della libertà religiosa.

Secondo le statistiche pubblicate nel Cia World Factbook, in Ungheria i cattolici rappresentano il 37,2 per cento della popolazione e Orbán non perde occasione di ricalcarne la sua affiliazione, come ha fatto partecipando alla 12esima riunione annuale dei legislatori cattolici tenutasi a Roma lo scorso 27 agosto.

Con una visione diametralmente opposta del mondo, trovare punti in comune tra papa Francesco Viktor Orbán è arduo. Annunciando la sua visita al congresso eucaristico, Tv2 – l’emittente acquistata dall’ex produttore di Hollywood Andy Vaina che, nominato commissario dell’industria cinematografica ungherese, l’ha di fatto resa una tv di propaganda – ha voluto ricordare che, oltre al pontefice, quest’anno parteciperanno per la prima volta i leader della chiesa ortodossa.

Per ora, le due parti si ridimensionano a vicenda. Non resta che vedere se Budapest varrà bene una messa.

© Riproduzione riservata